La Chiesa non deve parlare il linguaggio del mondo: «Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente»
Marco Tosatti
Roma
Il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il Cardinale Robert Sarah, ha concesso una lunga intervista alla rivista bimestrale francese “L’Homme Nouveau”,
in cui tocca numerosi temi: la fede, la liturgia, e l’Africa cattolica,
con le sue forze e le sue debolezze.
Il Porporato della Guinea ha
sottolineato che la Chiesa deve avere un ruolo materno e paterno, di
educatrice, ricordando l’enciclica «Mater et Magistra».
Si ha l’impressione che oggi non ci siano più frontiere definite fra
chi è fuori e dentro la Chiesa, ha detto l’intervistatore. Il Cardinale
ha risposto: «Credo che permettere a un prete o a un vescovo di dire
delle cose che scuotano o rovinino il deposito della fede, senza
chiedergliene ragione, è un grave errore. Al minimo bisogna chiamarlo e
chiedere di spiegare le ragioni delle sue affermazioni, senza esitare
nel chiedergli di riformularle in maniera conforme alla dottrina e
all’insegnamento secolare della Chiesa».
Permettere alle persone di dire
o scrivere quello che vogliono sulla dottrina e la morale «attualmente
disorienta i cristiani e crea una grande confusione su ciò che Cristo e
la Chiesa hanno sempre insegnato».
La Chiesa deve assumere un ruolo paterno e materno: «Un servizio
umile per il bene dell’umanità.
Soffriamo oggi di una mancanza di
paternità.
Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sulla
loro condotta, non agisce come un vero padre.
Tradisce la sua ragione e
la sua missione paterna».
E il primo dovere di un vescovo verso i
sacerdoti è analogo. «Sfortunatamente oggi l’autorità sovente tace per
timore di essere definita intollerante, e di essere decapitata.
Come se
mostrare la verità a qualcuno volesse dire essere intolleranti o
integralisti, mentre si tratta di un atto d’amore».
Sarah parla dell’Africa, della necessità di una maggiore esperienza e
preparazione da parte dei sacerdoti, («abbiamo molte vocazioni, ma non
abbastanza formatori solidi ed esperienza») e di quello che il
continente può dare al cristianesimo: «Oggi nel contesto di crisi
profonda che vede la fede stessa rimessa in causa, e i valori rigettati,
credo che l’Africa possa portare, nella sua povertà e nella sua miseria
i suoi beni più preziosi: la sua fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo
attaccamento alla famiglia, a alla vita, in un momento storico in cui
l’Occidente dà l’impressione di voler imporre valori contrari».
Il porporato ha poi toccato il tema della liturgia.
«Constatiamo
sempre di più che l’uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la
liturgia diventa un semplice gioco umano», ha lamentato Sarah.
«Se le
celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle
nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche partigiane che non
hanno nulla a che vedere con il culto spirituale di celebrare secondo il
modo voluto da Dio, il pericolo è immenso».
C’è bisogno di più cura e
fervore nella formazione liturgica dei futuri preti la cui «vita
interiore e fecondità del ministero dipenderanno dalla qualità della
relazione con Dio, nel faccia a faccia quotidiano della liturgia».
Sulla
riforma e le polemiche relative il Prefetto del Culto Divino ha detto:
«Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la Chiesa non si costruisce a
colpi di rotture, ma nella continuità. Sacrosanctum Concilium, il testo
conciliare sulla santa liturgia, non sopprime il passato. Per esempio,
non ha mai chiesto la soppressione del latino o la soppressione della
messa di san Pio V».
L’intervistatore ha poi chiesto quale deve essere l’atteggiamento
della Chiesa davanti alle pressioni del mondo e della cultura
relativistica. «Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad
adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettare di cambiare il suo
modo di giudizio morale, e di conseguenza dovrà abbandonare la sua
pretesa di guidare e rischiarare le coscienze… rinunciare alla sua
missione di essere per i popoli una luce di verità».
Allora, sottolinea
il Cardinale, «penso che il magistero deve restare fermo come una
roccia. Se si crea un dubbio, se il magistero si situa in rapporto al
momento in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare….
Il Vangelo resta lo stesso.
Non si muove.
Naturalmente dobbiamo trovare
un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non
possiamo, sotto il pretesto che non ci ascoltano più, adattare la
formulazione dell’insegnamento di Cristo e della Chiesa alle
circostanze, alla storia, o alla sensibilità di ciascuno.
Se si crea un
magistero instabile, si crea un dubbio permanente.
C’è un lavoro immenso
da compiere: rendere percettibile l’insegnamento della Chiesa
mantenendo intatto il nocciolo della dottrina.
Ecco perché è
inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza
dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia».
Fonte : Vatican Insider