Ritrovati i resti "l'ultimo missionario del Sol Levante"
L’abate Giovan Battista Sidoti, sbarcato sull’isola di Yakushima
il 10 ottobre del 1708 e morto a Tokyo martire il 16 novembre del 1715.
Le sue ossa – conferma il governo nipponico – sono state trovate
nel luglio del 2014 nella capitale vicino a quelle di due coniugi giapponesi:
il sacerdote palermitano è stato ucciso 300 anni fa per aver battezzato i suoi
custodi Chosuke e Haru, cui spetterà la stessa fine.
Quando Sidoti sbarca nel Sol Levante, il Giappone da quasi un
secolo ha chiuso i confini a qualunque straniero. Per chi si professa cristiano
o, peggio, fa opera di evangelizzazione, è prevista la pena di morte. I martiri
sono diverse centinaia: di molti non si conosce nemmeno il nome.
Giovan Battista ha 40 anni, con la fregata Santa Trinidad,
costruita per questo viaggio da alcuni benefattori di Manila, dopo due mesi di
navigazione finalmente calpesta il suolo dell’isola. Ha con sé un altare
portatile, gli oli sacri, il breviario, un’immagine della Madonna del Dito, il
crocefisso appartenuto al gesuita Padre Marcello Mastrilli martirizzato in
Giappone e le credenziali che attestano che è mandato dal Papa. Vuole vedere l’Imperatore. Vuole che il Giappone apra i confini ai cristiani e permetta di annunciare Cristo.
Giappone e le credenziali che attestano che è mandato dal Papa. Vuole vedere l’Imperatore. Vuole che il Giappone apra i confini ai cristiani e permetta di annunciare Cristo.
Cosa lo porta a questo viaggio che si concluderà con il martirio?
Sette anni prima, il giovane sacerdote in servizio alla Curia
Romana chiede a Papa Clemente XI di essere inviato in Giappone a riprendere la
missione interrotta dalla persecuzione. Ha letto le vite e i resoconti di chi
si è speso per evangelizzare l’Oriente, primi tra tutti i missionari gesuiti, e
desidera ardentemente rompere l’isolamento di un popolo che non può conoscere
Gesù.
Il Papa acconsente ma lo invita a fermarsi a Manila dove aspettare
il tempo propizio per entrare in sicurezza in Giappone.
Dopo circa un anno di viaggio, circumnavigando l’Africa e facendo
tappa in India, Giovan Battista Sidoti arriva finalmente a Manila. Qui vive
quattro anni lasciando un segno profondo nella comunità cristiana. Riportano le
testimonianze del tempo che si dedica al Vangelo “insegnando la Dottrina
Cristiana ai fanciulli, predicando al popolo, sentendo notte e giorno le
confessioni, assistendo a ben morire ogni sorta di infermo, accettando
l’elemosina per impiegarla a sollievo dei poveri” vive in una piccola stanza
dell’Ospedale stando vicino ai malati, fonda un collegio per l’educazione dei
bambini e un Seminario intitolato a San Clemente in omaggio a Papa Clemente XI.
Ma non dimentica lo scopo che lo ha fatto partire e trova il tempo
per continuare a studiare la difficile lingua giapponese. A Manila ci sono
infatti molti cristiani che hanno lasciato il Giappone per non essere uccisi, e
Giovan Battista si fa insegnare da loro la lingua per annunciare Gesù nella
terra che tanti cristiani hanno lasciato.
L’arcivescovo della capitale filippina e il popolo non vogliono
che parta, ma si piegano prendendo atto di quanto è forte nel missionario il
desiderio di completare il viaggio.
Lo ritroviamo solo nell’inconsueto abito (travestito da samurai)
vicino ai contadini che, ben più bassi di lui, lo identificano subito come
straniero e per questo fuorilegge. Dopo vari e duri spostamenti viene
trasferito a Edo (il nome dell’attuale città di Tokyo), dove deve essere
processato. Lo Shogun incarica per questo scopo una persona di fiducia, un uomo
di cultura, un neoconfuciano: Arai Hakuseki.
Arai si trova davanti un pozzo di sapienza e di scienza a cui
attingere, un uomo che paziente risponde alle sue domande. Ci lascia così tre
volumi che trascrivono le risposte di Sidoti negli interrogatori e che vanno
dalla geografia alla politica, dai governi del resto del mondo alla fede, un
prezioso documento.
Il primo, il più importante per il Giappone, è “Notizie
dell’Occidente” (Seyko Kibun), uno strumento fondamentale per capire cosa
accade oltre i confini che lo hanno chiuso al resto del mondo.
La trascrizione che fa Arai dell’interrogatorio di Giovan Battista
ci tratteggia la fede e la santità di quest’uomo, fino al racconto del
martirio. Descrive come si è sistemato nella prigionia: “Ritagliò una croce
usando carta rossa e la incollò alla parete verso ovest. Ai piedi di quella
croce recitava le preghiere della sua fede”.
Terminato l’interrogatorio Arai Hakuseki riferisce allo Shogun
analizzando le tre soluzioni possibili: morte, prigionia o rimpatrio, e propone
quest’ultima anche se contraria a quanto afferma la legge. Lo Shogun decide
invece di tenerlo prigioniero per sempre. Ordina a due coniugi, Chosuke e Haru,
di servirlo. I due hanno già accudito durante la prigionia il gesuita p.
Giuseppe Chiara, di cui sono stati catecumeni.
Proprio il battesimo dei due custodi gli procura una condanna
ancor più grave: viene calato in una fossa, un pozzo quadrato profondo quattro
metri con una piccola apertura ed uno spazio angusto in cui stare. Poca luce,
poca aria, poco cibo.
Muore dopo sei mesi come pure i due coniugi convertiti. Come ha
vissuto gli ultimi momenti del martirio? Anche qui ci affidiamo alla cronaca
che ne fa Arai Hakuseki: “Allora si rivelarono i veri sentimenti del Romano, a
gran voce chiamava per nome i due coniugi e, rafforzando la loro fede, li
esortava a non mutare i loro propositi anche a costo della vita. Questo egli
faceva giorno e notte”.
Fedeltà e coraggio: guardare sempre alla propria origine, alla
propria missione, e per questo non temere per la propria vita.
Viene sepolto vicino al luogo del martirio nell’area chiamata
Kirishitan Yashiki, Residenza dei Cristiani, dove sono stati martirizzati tanti
cristiani che non si sono piegati alle torture e non hanno ripudiato la fede in
Gesù Cristo. Accanto a lui i due coniugi/custodi. Così sono stati ritrovati nel
mese di luglio del 2014.
L’esame del DNA conferma l’identità dei protagonisti della strana
sepoltura: sono due Giapponesi, un uomo e donna, con un italiano che anche per
età e altezza corrisponde all’abate Giovan Battista Sidoti.
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