SAN GIOVANNI/20 GIUGNO: CE N’EST QU’UN DEBUT, CONTINUONS LE COMBAT - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 giugno 2015
Sabato 20 giugno un popol s’è desto. Da una folla immensa e
colorata un grande sì alla famiglia e un inequivocabile ‘No pasaran’
all’indottrinamento gender e ai disegni di legge Cirinnà, Scalfarotto e
Fedeli. Sarà ascoltata? Un duro richiamo alla realtà per il segretario
generale della Cei Galantino, per i vertici di CL, per l’associazionismo
cattolico collaterale al potere e per il governo del ‘cattolico’ Renzi.
Dagli atri muscosi, dai fori cadenti (…) un volgo disperso
repente si desta/intende l’orecchio/solleva la testa/percosso da novo
crescente romor… E’ il coro del III atto dell’ ‘Adelchi’, tragedia
di Alessandro Manzoni sul crollo del dominio longobardo in Italia e il
conseguente ‘risveglio’ popolare, appena giunta notizia della sconfitta
del re Desiderio ad opera del futuro Carlo Magno presso Susa. Fatte le
debite distinzioni storiche, sabato 20 giugno piazza san Giovanni ha
visto il risveglio inatteso di un popolo fin qui ufficialmente
irrilevante per i grandi massmedia e per i Palazzi del potere, un po’
come è accaduto in Francia con gli esordi clamorosi della ‘Manif pour tous’.
Un popolo di tutte le età convenuto dalle Alpi alla Sicilia con la
precisa volontà di sfidare l’avanzata della truce macchina da guerra del
pensiero unico in materia di famiglia, vita ed educazione. Che s’è
trovato a sfidare anche quel po’ po’ di acqua che il cielo (con la c
minuscola) ha scaricato su piazza San Giovanni per quaranta minuti prima
dell’inizio dell’incontro: quale altra manifestazione non si sarebbe
dispersa? Invece le decine di migliaia già presenti in piazza hanno
steso teli impermeabili sui passeggini, hanno stretto a sé i bimbi, si
sono protetti alla bell’e meglio con ombrelli improvvisati e hanno avuto
perfino la forza di cantare: anche il nubifragio s’è dovuto arrendere
alla volontà di chi c’era.
Ce n’est qu’un début, continuons le combat (non è che un inizio, la battaglia continua): il celebre slogan del ’68 francese (poi ripreso anche dalla Manif pour tous transalpina),
è una realtà: non sarà facile smobilitare la folla di piazza san
Giovanni, cosciente di aver dato il primo, grande avvio a una stagione
che si preannuncia lunga e combattuta. Le prime reazioni della nota
lobby e dei suoi conniventi parlano un linguaggio violento, totalitario:
manifestazione inutile e odiosa, piazzata omofoba, un salto nella preistoria. Anche: Ho visto un’Italia medievale (Cirinnà, prima firmataria del disegno di legge per il ‘matrimonio gay’), Una manifestazione inaccettabile (Il
sottosegretario Scalfarotto, primo firmatario del disegno di legge
liberticida ‘contro l’omofobia’). Non è finita: c’è chi vaneggia (Franco
Grillini) del complotto gender completamente inventato nelle stanze vaticane.
La piazza piena brucia e dunque le reazioni sono di una arroganza pari
alla dolorosa sorpresa. Accresciuta, tale sorpresa, dal fatto che il
nubifragio aveva fatto ben sperare la nota lobby e i suoi conniventi in
un flop clamoroso della manifestazione. Insomma: dall’esultanza
allo scoramento condito di una rabbia direttamente proporzionale alle
illusioni maturate nel primo pomeriggio.
L’IRA FUNESTA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, IL CASO DI “AVVENIRE”. SI INCOMINCIA A PARLARE DI DIMISSIONI
Molto stizzita anche la reazione del segretario generale della Cei,
Nunzio Galantino, che ha lavorato tanto (ma proprio tanto) perché la
manifestazione neppure nascesse e ha poi tentato di soffocarla in culla.
Galantino si è sentito preso di mira da un passo dell’intervento di
Kiko Arguello: “Sembra che il segretario generale della Cei (Galantino,
già citato in precedenza da Arguello) abbia detto altro, ma il Santo
Padre sta con noi”. Subito il nuovo portavoce della Cei, il mite don
Ivan Maffeis, è stato ‘precettato’ e ha dovuto rilasciare una
dichiarazione molto dura verso Arguello: “Kiko Arguello si è reso
protagonista di una caduta di stile gratuita e grave. Contrapporre il
Papa alla Cei, e in particolare al suo segretario generale, è
strumentale e non veritiero”. C’è dell’altro. Il quotidiano ufficiale
della Cei, ormai marcato a uomo da Galantino, non solo ha pressoché
ignorato la manifestazione fino all’altro giorno. E sabato 20 ha
pubblicato un commento del direttore, in cui – già nel titolo a tutta
pagina e nel sommato – si esprimeva “qualche paura”. Quale? Che la
manifestazione brandisse a mo’ di “battaglia” (termine odiatissimo dai
cultori della ‘bandiera bianca’) termini come padre e madre.
Stamattina, domenica 21, “Avvenire” ha fatto ancora di meglio. In prima
pagina l’articolo principale è dedicato alla lotta all’azzardo, con
commento. L’editoriale alla strage di Charleston, negli Stati Uniti. A
centro pagina una grande foto per la visita del Papa a Torino. Sulla
destra un richiamo con foto più piccola alla manifestazione: già nelle
poche righe in prima pagina si è voluto inserire la frase: “Unica nota
stonata la polemica pretestuosa di Kiko Arguello”. Dentro, a pagina 9
(!) l’articolo di cronaca, un altro articolo dal titolo “La festa felice
di chi non è contro” (NdR: dev’essere un’ossessione quel ‘non essere contro’)
e un commento siglato “Avvenire” dal titolo “Grande, bella e pacifica
(con un po’ di zizzania)”, in cui si legge: “Peccato solo per la
pretestuosa e presuntuosa polemica di un oratore, uno solo: Kiko
Arguello. Ha ceduto al vizio di emulare e assecondare chi cerca di
seminare zizzania nella Chiesa. Peccato, davvero”. “Avvenire”,
meritevole di tante lodi su battaglie antropologiche fondamentali per la
dignità umana, sul 20 giugno è stato oggettivamente penoso e sta
suscitando una forte indignazione in molti cattolici. Quanto scritto da
“Avvenire” è il ringraziamento di Galantino a chi ha voluto
caparbiamente (e c’è pienamente riuscito) portare in piazza centinaia di
migliaia di cattolici per difendere la famiglia e contrastare il
pensiero unico del gender. Forse il segretario generale della
Cei, un vescovo-pilota perdipiù perdente, non sa che un pastore deve
avere addosso l’odore delle pecore (ma allora legga meglio papa
Francesco!). Galantino distingue palesemente tra le pecore di serie A,
quelle docili e pronte a ogni compromesso sui valori fondamentali
dell’uomo (pur di non guastare i rapporti con il governo di cattolici à la carte e
poltronisti) e quelle che invece restano con forte volontà fedeli alla
dottrina sociale della Chiesa, manifestandolo pubblicamente e dunque
visibilmente davanti all’intera comunità. Più d’uno sabato pomeriggio si
chiedeva se non sia ormai il caso che il segretario generale incominci a
pensare alle dimissioni (o venga consigliato in tal senso) per ripetuta
e manifesta incapacità di comprendere una parte consistente del suo
popolo.
UN DURO RICHIAMO AI VERTICI DI CL E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE DI MASSA
La manifestazione del 20 giugno si è rivelata un avvertimento molto
doloroso anche per i vertici odierni di CL (ivi compreso lo stesso don
Carron). La non adesione - motivata dalla curiosa opinione che le
adunate di piazza non sarebbero mai servite e non servirebbero a niente -
è stata letteralmente ignorata da decine di migliaia di ciellini.
Quando dal palco Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita,
ha detto che “se fosse ancora vivo, oggi don Giussani sarebbe qui
insieme con noi”, dalla piazza si è levato un vero boato di
approvazione. C’è materia dunque per riflettere ai piani alti di CL.
Duro il richiamo anche per le altre associazioni e movimenti
cattolici di massa assenti a piazza San Giovanni, dall’Azione cattolica a
Rinnovamento nello Spirito, dai Focolarini agli scout dell’Agesci (che,
come è noto, in alcune centinaia dopo aver sentito il Papa a San Pietro
sono andati ad applaudire il Gay pride con tanto di cartelli
politicamente corretti), dalle Acli a tutte quelle aggregazioni meno
numerose ma molto influenti, a partire dalla Comunità di Sant’Egidio.
Forse i vertici di tali associazioni avranno incominciato a capire che
c’è un mondo cattolico, numericamente molto rilevante, che non è
disposto ad alzare bandiera bianca per presunte convenienze ecclesiali o
politiche.
LE DIFFERENZE CON IL ‘FAMILY DAY’ del 2007
La piazza di ieri era diversa da quella del ‘Family Day’ del 2007.
Che è stato un grande successo, ma fondato su premesse differenti. Nel
2007 è la Cei, grazie all’azione intelligente e tempestiva del cardinale
Ruini, che ha stimolato (oltre che finanziato) la partecipazione della
gran parte del mondo associazionistico. In quell’occasione “Avvenire”,
diretto da Dino Boffo, aveva preparato con continuità, ricchezza di
contributi e incisività l’appuntamento del 12 maggio. Erano stati
coinvolti direttamente anche il mondo politico e quello sindacale di
area cattolica.
Sabato 20 giugno 2015 invece la manifestazione è stata convocata da
un Comitato di laici temerari (razionalmente c’erano molti dubbi sulla
riuscita dell’evento), nato il 2 giugno precedente, dunque diciotto
giorni prima. In tale lasso di tempo, i promotori -ignorati dai grandi
massmedia fin quasi all’ultimo, sostanzialmente osteggiati dalla
segreteria generale della Cei e da “Avvenire”, disdegnati dai vertici
delle grandi associazioni cattoliche salvo il movimento neocatecumenale,
avendo l’appoggio solo di qualche cardinale e vescovo coraggiosi -
sono riusciti a portare in piazza una folla enorme di cattolici. Un vero
‘miracolo laico’, preparato attraverso centinaia di incontri svoltisi
in tutta Italia sul tema del gender e dei disegni di legge in corso di
esame parlamentare e organizzati in particolare da Massimo Gandolfini
(portavoce della manifestazione), dalla ‘Croce’ di Mario Adinolfi, da
“Notizie pro-vita”, dai Giuristi per la Vita di Gianfranco Amato, da
Alleanza cattolica. E’ giusto aggiungere che il Comitato non è stato
sponsorizzato da nessuno: anche la richiesta a Tremitalia di poter
usufruire di un biglietto scontato sui treni, come l’azienda ha sempre
fatto in casi analoghi, è stata respinta. Ognuno ha dunque pagato di
tasca propria e si è sobbarcato in diversi casi viaggi notturni, lunghi e
faticosi per poter raggiungere quella Roma in cui si è dovuto
confrontare poi anche con i torrenti d’acqua che scendevano dal cielo.
Qui una grande lode va anche a chi ha curato con successo i non facili
aspetti tecnici dell’organizzazione, come Nicola Di Matteo e Maria
Rachele Ruiu.
ANALOGIE E DIFFERENZE CON LA ‘MANIF POUR TOUS’ FRANCESE
Dapprima diverse analogie. La Manif pour tous è
sbocciata in Francia in poco tempo. A novembre 2012 le prime
manifestazioni con decine di migliaia di persone, a gennaio 2013 la
prima adunata di massa a Parigi con oltre un milione di persone. La Manif pour tous è
stata ignorata per mesi dai poteri massmediatici, fino a quando non è
stato più possibile nascondere il fenomeno. Che allora è stato, bon gré mal gré,
evidenziato, ma nel contempo accusato di “omofobia”, di “arretratezza
culturale” proprio come hanno fedelmente testimoniato le prime reazioni
italiane della nota lobby e dei suoi conniventi alla grande
testimonianza di piazza San Giovanni. Non solo: si è cercato nel
contempo di togliere credibilità alla Manif francese,
irridendone i promotori. Il che sta accadendo puntualmente pure in
Italia. Ancora: si è tentato di minimizzarne l’impatto sull’opinione
pubblica (e però le foto e i video parlano da sé…), sostenendone
l’inutilità. Altra analogia: la Manifè stata organizzata da laici, in buona parte cattolici. Ma nella Manif erano
presenti anche persone di altre confessioni e religioni, oltre a non
credenti. Proprio come sabato a San Giovanni: dal palco hanno parlato
(suscitando grandi applausi) anche l’imam Mohamed di Centocelle
(in nome della comunità islamica di Roma), l’evangelico Giacomo Ciccone
(in nome della grande maggioranza del protestantesimo italiano), il
rappresentante di varie etnie presenti a Roma. Molto gradito il
messaggio del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, letto dal palco
(data l’impossibilità di partecipare fisicamente essendo sabbath),
sulla necessità di non lasciarsi travolgere dalle nuove ideologie
antropologicamente sovversive. Un’ulteriore analogia: la presenza di
persone omosessuali. Dal palco è stato letto il messaggio (anch’esso
applaudito più volte a scena aperta) inviato dall’associazione Genitori e
amici di persone omosessuali (Agapo), in cui si sostiene con forza che
il disegno di legge Cirinnà “non fa il bene degli omosessuali” in genere
e in particolare “dei nostri figli”, che sarebbero spinti alla
“confusione”. Nel testo si sostiene che “il ‘matrimonio gay’ non ha
senso sul piano antropologico” e costituirebbe “una grave ingiustizia
sul piano sociale”. Altro messaggio letto: quello del presidente del
Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia.
Un’ultima analogia: la Chiesa di Francia, se ha stimolato con il
cardinale Ving-Trois alla riflessione sull’argomento e con il cardinale
Barbarin è voluta essere sempre presente agli appuntamenti della Manif,
in genere non l’ha appoggiata, tenendosene assai distante nella
maggioranza dei vescovi e delle associazioni cattoliche tradizionali.
Una differenza – enorme – però c’è: la Maniffrancese è sbocciata troppo tardi, quando alcune leggi liberticide erano già in vigore. La Manif italiana invece è ancora in tempo per bloccare i disegni di legge frutto dell’ideologia totalitaria del gender.
Ora naturalmente, se al Comitato “Difendiamo i nostri figli” spetta di
prefigurare rapidamente nuovi modi di intervento, per i parlamentari
cattolici il compito è quello di agire immediatamente e incisivamente a
Palazzo Madama e a Palazzo Montecitorio. Si deve dire che i segnali dai
‘cattolici’ del Pd, quelli delle continue mediazioni a basso prezzo, non
sono incoraggianti. E neppure quelle dei ‘cattolici à la carte’
di Palazzo Chigi. Occorre insistere, come ha chiesto più volte
coralmente la piazza, sul ‘no’ chiaro e inequivocabile ai disegni di
legge Cirinnà e Scalfarotto e a quello Fedeli sulle ‘pari opportunità’, a
meno che da quest’ultimo non venga tolto l’emendamento che prescrive
l’indottrinamento gender nelle scuole. E’ interessante notare
che la piazza ha accompagnato con un boato di disapprovazione la
citazione delle “autorità istituzionali” che non hanno accettato
l’invito a essere presenti. E con un boato di disapprovazione ancora
maggiore la citazione (da parte di Mario Adinolfi) del sottosegretario
Scalfarotto, che in tempo reale ha definito “inaccettabile” la
manifestazione.
Altra differenza: la presenza massiccia in particolare di un
movimento cattolico, il Cammino neocatecumenale. In Francia invece i
gruppi aderenti erano tanti e in genere minuscoli, poi naturalmente
molto cresciuti. A Piazza San Giovanni si è levato un altro boato quando
alle 15.20 – dieci muniti prima dell’inizio della manifestazione - si è
affacciato sul palco Kiko Arguello, che si è presentato con poche
parole: “Buonasera a tutti! Alla battaglia! Coraggio!”. Ancora una
volta: complimenti al Cammino neocatecumenale che ha ritenuto
fondamentale scendere in piazza hic et nunc, qui e ora, per
cercare di impedire che il pensiero unico entri nella città di
soppiatto, grazie ai conniventi e ci metta tutti con le spalle al muro.
SUL PALCO L’ICONA DELLA ‘SALUS POPULI ROMANI’
Oltre al logo della manifestazione sulla destra del palco, in alto, è
stata affissa la copia di una icona particolarmente cara ai romani (e
molto cara anche al Papa): quella della Salus populi romani, conservata in Santa Maria Maggiore: “E’ il saluto di Roma a tutti quelli che vengono da fuori”, ha detto Massimo Gandolfini.
QUALCHE SPUNTO DALLA MANIFESTAZIONE
Da Cagliari. Usciamo verso le 12.30 da casa a Piazza Bologna e vediamo una colonna di persone con la bandiera dei Quattro Mori. Da dove venite? Da Cagliari. In quanti siete? Almeno in duecento. Come raggiungete piazza San Giovanni? A piedi, sono quasi cinque chilometri. Una signora in carrozzella: Io sono su gomma. E se dovesse piovere forte come previsto? Fa bene una rinfrescata. Questo lo spirito della manifestazione.
Metropolitana. Scendiamo alla metropolitana: vagoni già pieni. Tante chitarre. Siete neocatecumenali? Come fa a saperlo? Si ride. Da dove? Da Palermo. Quanti siete? Trecento. Giungiamo a Termini e si cambia. La banchina della metro A è già piena di bresciani, anche di cremonesi (siamo ciellini). Arriva il convoglio, un vagone straripa di marchigiani, da Macerata. Un buon inizio, no?
Striscioni e cartelli. Sulla piazza, prima che
scoppi il nubifragio, facciamo in tempo ad annotare i contenuti di
alcuni striscioni e cartelli, intanto che risuonano i canti dei gruppi
neocatecumenali. Centinaia di bandiere della Manif rosa e azzurre su modello francese. ‘Manif’ da Empoli (oltre cento). Difendiamo
i nostri figli, no al gender nelle scuole. Maschio e femmina Dio li
creò. Tutti nascono da mamma e papà. Nella famiglia il futuro
dell’Italia. Citazioni dell’articolo 26 della dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo (quello sul diritto prioritario dei genitori per l’istruzione dei figli) e degli articoli 29 e 30 della Costituzione italiana (famiglia naturale, educazione dei figli). Mamma e papà, aiuto! No al disegno di legge Cirinnà (grande striscione della Manif pour tous). L’ideologia
gender è più pericolosa dell’Isis. Teoria gender?No grazie. Sulle
unioni omosessuali, Renzi, chi siamo noi per arrogarci il diritto di
procreare in modo artificiale bambini orfani? Dalla sana educazione
dipende la felicità di una Nazione (frase di san Giovanni Bosco).
Dal palco. La folla si estende a perdita d’occhio,
non si riesce a intravvederne la fine. Grappoli umani si abbarbicano
alla grande statua di san Francesco.
Oratori 1. Massimo Gandolfini introduce e spiega l’ideologia gender e un video che presenta il Papa mentre parla di ‘colonizzazione ideologica’ e chiede di “agire contro”. La famiglia Aquino racconta in breve la sua esperienza di educazione dei figli (11). La giornalista e scrittrice Costanza Miriano illustra
con linguaggio colloquiale la differenza tra maschio e femmina nella
quotidianità: “I figli sono generati, non comprati!”
Oratori 2. Dopo un bel video della Manif pour tous, parla l’avvocato umbro Simone Pillon:
“E’ da tanto tempo che aspettavamo questa piazza! Il combattimento
gigantesco che stiamo conducendo non è contro le persone, ma contro le
ideologie! Noi ci siamo alzati in piedi! L’Italia ha un compito
insostituibile, è l’ultimo baluardo di un’antropologia scritta
nell’uomo” (boato della piazza). La famiglia Sergio Angori racconta
poi l’esperienza della figlia che, in seconda media, ha avuto una
docente che ha propagandato per tutto l’anno l’ideologia del gender.
Oratori 3. Subito un boato per il presidente dei Giuristi per la Vita Gianfranco Amato:
“Non è vero che in questa piazza non ci sono le istituzioni, perché –
secondo la Costituzione – la sovranità appartiene al popolo”. E “il
popolo è qui per dire: Basta!”. Purtroppo “oggi viviamo in una democrazia totalitaria che sta tentando per legge di imporre l’ideologia gender.
Occorre opporsi a ogni tentativo in tal senso” (boato). Amato cita
ancora il Papa (“colonizzazione ideologica”, paragone con la “gioventù
hitleriana”). Poi definisce la manifestazione “il primo grande atto
collettivo di resistenza contro l’imposizione della dittatura del
pensiero unico da parte di una lobby che non ha niente a che
vedere con il popolo” (boato). Ricorda un passo del discorso di Winston
Churchill del giugno 1940 per la resistenza al nemico nazista. E
aggiunge: “Noi combatteremo nelle scuole, nelle piazze, nelle cabine
elettorali” (boato). “Non ci arrenderemo mai! Mai mai!” (boato)
Oratori 4. Tocca poi all’ex-sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano,
presidente dei Comitati “Sì alla famiglia” tener vive le emozioni della
folla. Mantovano ricorda le “tante bombe sulla famiglia”, buttate sul
popolo italiano in poco tempo: dal divorzio breve a quello facile (“Si
impiega più tempo a disdire l’abbonamento telefonico che non a
divorziare”), la fecondazione eterologa, la selezione genetica degli
embrioni, il disegno di legge Cirinnà (travolto da un doppio, possente
coro di ‘no!’). “Forza, coraggio e speranza!” conclude Mantovano
(boato).
Oratori 5. Dopo un video molto chiaro sulla relazione tra madre e figlio, tocca a Mario Adinolfi ,
direttore de “La Croce”. Già abbiamo detto dell’accenno a Scalfarotto,
sepolto dalla disapprovazione corale della piazza. Adinolfi fa capire
che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà introduce de facto (pur
se scritto naturalmente in un burocratese incomprensibile ai più) la
possibilità di adozione per i gay. Citando a tale proposito Elton John,
ne ripercorre i tentativi fatti – dopo essersi “sposato” con un uomo –
per comperare un figlio (“i soldi possono tutto”), ma il figlio –
generato con l’utero in affitto e portato in grembo da un’altra donna -
piange continuamente perché cerca inutilmente il seno della madre. Un
vero capitolo di disumanità, dovuto al fatto che Elton John “vuol essere
come Dio e non conosce il senso del limite naturale: l’uomo non può
essere Dio!”. Per Adinolfi il disegno di legge Cirinnà “è il coronamento
dell’ideologia gender”: “Perciò noi dobbiamo batterci per i veri diritti civili e senza vescovi-pilota!” (boato).
Oratori 6: Tocca a Kiko Arguello:
la testimonianza pubblica “è indispensabile per essere coerenti con la
propria condotta di vita”. In un momento in cui “l’Europa sta
commettendo un grave peccato contro la Luce”. Il fondatore del Cammino
neocatecumenale introduce un brano famoso dall’ “Apocalisse” di san
Giovanni sulla donna vestita di luce, coronata di dodici stelle, cui un
enorme drago rosso con sette teste e dieci corna cerca inutilmente di
strappare il figlio appena partorito. L’arcangelo Michele con i suoi
angeli sconfiggerà il drago, pure sostenuto da altri angeli,
precipitandolo sulla terra. La folla neocatecumenale canta con forza il
brano, accompagnando la voce di Arguello, in spagnolo e in italiano.
Si giunge alla fine con i ringraziamenti e l’ “arrivederci” di Massimo Gandolfini,
mentre le nubi gonfie di altra pioggia si avvicinano e incominciano a
scaricarsi di nuovo. La folla sciama rapidamente, anche perché le strade
in un batter d’occhio si trasformano in torrenti. Per caso
reincontriamo Adinolfi, che sta attendendo un bus che non arriva. Tanti
(veramente tanti) che passano lo ringraziano ad alta voce, gli stringono
la mano, perfino lo salutano dai finestrini abbassati delle auto che
hanno incominciato a ripopolare la strada. Il bus non arriva, la
metropolitana è lontana (chiusa la fermata di san Giovanni), non resta
che sospirare un tassì. Che giunge e ci porta a Largo Argentina: intanto
il tassista, spontaneamente parla della manifestazione e dice che “è
stata una cosa buona, ci voleva, il matrimonio è solo tra uomo e donna”.
Il popol s’è desto.
Fonte : Rossoporpora