SAN GIOVANNI/20 GIUGNO: CE N’EST QU’UN DEBUT, CONTINUONS LE COMBAT - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 giugno 2015
Sabato 20 giugno un popol s’è desto. Da una folla immensa e 
colorata un grande sì alla famiglia e un inequivocabile ‘No pasaran’ 
all’indottrinamento gender e ai disegni di legge Cirinnà, Scalfarotto e 
Fedeli. Sarà ascoltata? Un duro richiamo alla realtà per il segretario 
generale della Cei Galantino, per i vertici di CL, per l’associazionismo
 cattolico collaterale al potere e per il governo del ‘cattolico’ Renzi.
Dagli atri muscosi, dai fori cadenti (…) un volgo disperso 
repente si desta/intende l’orecchio/solleva la testa/percosso da novo 
crescente romor…  E’ il coro del III atto dell’ ‘Adelchi’, tragedia
 di Alessandro Manzoni sul crollo del dominio longobardo in Italia e il 
conseguente ‘risveglio’ popolare, appena giunta notizia della sconfitta 
del re Desiderio ad opera del futuro Carlo Magno presso Susa. Fatte le 
debite distinzioni storiche, sabato 20 giugno piazza san Giovanni ha 
visto il risveglio inatteso di un popolo fin qui ufficialmente 
irrilevante per i grandi massmedia e per i Palazzi del potere, un po’ 
come è accaduto in Francia con gli esordi clamorosi della ‘Manif  pour tous’.
 Un popolo di tutte le età convenuto dalle Alpi alla Sicilia con la 
precisa volontà di sfidare l’avanzata della truce macchina da guerra del
 pensiero unico in materia di famiglia, vita ed educazione. Che s’è 
trovato a sfidare anche quel po’ po’ di acqua che il cielo (con la c 
minuscola) ha scaricato su piazza San Giovanni per quaranta minuti prima
 dell’inizio dell’incontro: quale altra manifestazione non si sarebbe 
dispersa? Invece le decine di migliaia già presenti in piazza hanno 
steso teli impermeabili sui passeggini, hanno stretto a sé i bimbi, si 
sono protetti alla bell’e meglio con ombrelli improvvisati e hanno avuto
 perfino la forza di cantare: anche il nubifragio s’è dovuto arrendere 
alla volontà di chi c’era.
Ce n’est qu’un début, continuons le combat (non è che un inizio, la battaglia continua): il celebre slogan del ’68 francese (poi ripreso anche dalla Manif pour tous transalpina),
 è una realtà: non sarà facile smobilitare la folla di piazza san 
Giovanni, cosciente di aver dato il primo, grande avvio a una stagione 
che si preannuncia lunga e combattuta. Le prime reazioni della nota 
lobby e dei suoi conniventi parlano un linguaggio violento, totalitario:
 manifestazione inutile e odiosa, piazzata omofoba, un salto nella preistoria. Anche: Ho visto un’Italia medievale (Cirinnà, prima firmataria del disegno di legge per il ‘matrimonio gay’), Una manifestazione inaccettabile (Il
 sottosegretario Scalfarotto, primo firmatario del disegno di legge 
liberticida ‘contro l’omofobia’). Non è finita: c’è chi vaneggia (Franco
 Grillini) del complotto gender completamente inventato nelle stanze vaticane.
 La piazza piena brucia e dunque le reazioni sono di una arroganza pari 
alla dolorosa sorpresa. Accresciuta, tale sorpresa, dal fatto che il 
nubifragio aveva fatto ben sperare la nota lobby e i suoi conniventi in 
un flop clamoroso della manifestazione. Insomma: dall’esultanza
 allo scoramento condito di una rabbia direttamente proporzionale alle 
illusioni maturate nel primo pomeriggio.
L’IRA FUNESTA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, IL CASO DI “AVVENIRE”. SI INCOMINCIA A PARLARE DI DIMISSIONI 
Molto stizzita anche la reazione del segretario generale della Cei, 
Nunzio Galantino, che ha lavorato tanto (ma proprio tanto) perché la 
manifestazione neppure nascesse e ha poi tentato di soffocarla in culla.
 Galantino si è sentito preso di mira da un passo dell’intervento di 
Kiko Arguello: “Sembra che il segretario generale della Cei (Galantino, 
già citato in precedenza da Arguello) abbia detto altro, ma il Santo 
Padre sta con noi”. Subito il nuovo portavoce della Cei, il mite don 
Ivan Maffeis, è stato ‘precettato’ e ha dovuto rilasciare una 
dichiarazione molto dura verso Arguello: “Kiko Arguello si è reso 
protagonista di una caduta di stile gratuita e grave. Contrapporre il 
Papa alla Cei, e in particolare al suo segretario generale, è 
strumentale e non veritiero”. C’è dell’altro. Il quotidiano ufficiale 
della Cei, ormai marcato a uomo da Galantino, non solo ha pressoché 
ignorato la manifestazione fino all’altro giorno. E sabato 20 ha 
pubblicato un commento del direttore, in cui – già nel titolo a tutta 
pagina e nel sommato – si esprimeva “qualche paura”. Quale? Che la 
manifestazione brandisse a mo’ di “battaglia” (termine odiatissimo dai 
cultori della ‘bandiera bianca’) termini come padre e madre.
 Stamattina, domenica 21, “Avvenire” ha fatto ancora di meglio. In prima
 pagina l’articolo principale è dedicato alla lotta all’azzardo, con 
commento. L’editoriale alla strage di Charleston, negli Stati Uniti. A 
centro pagina una grande foto per la visita del Papa a Torino. Sulla 
destra un richiamo con foto più piccola alla manifestazione: già nelle 
poche righe in prima pagina si è voluto inserire la frase: “Unica nota 
stonata la polemica pretestuosa di Kiko Arguello”. Dentro, a pagina 9 
(!) l’articolo di cronaca, un altro articolo dal titolo “La festa felice
 di chi non è contro” (NdR: dev’essere un’ossessione quel ‘non essere contro’)
 e un commento siglato “Avvenire” dal titolo “Grande, bella e pacifica 
(con un po’ di zizzania)”, in cui si legge: “Peccato solo per la 
pretestuosa e presuntuosa polemica di un oratore, uno solo: Kiko 
Arguello. Ha ceduto al vizio di emulare e assecondare chi cerca di 
seminare zizzania nella Chiesa. Peccato, davvero”. “Avvenire”, 
meritevole di tante lodi su battaglie antropologiche fondamentali per la
 dignità umana, sul 20 giugno è stato oggettivamente penoso e sta 
suscitando una forte indignazione in molti cattolici. Quanto scritto da 
“Avvenire” è il ringraziamento di Galantino a chi ha voluto 
caparbiamente (e c’è pienamente riuscito) portare in piazza centinaia di
 migliaia di cattolici per difendere la famiglia e contrastare il 
pensiero unico del gender. Forse il segretario generale della 
Cei, un vescovo-pilota perdipiù perdente, non sa che un pastore deve 
avere addosso l’odore delle pecore (ma allora legga meglio papa 
Francesco!). Galantino distingue palesemente tra le pecore di serie A, 
quelle docili e pronte a ogni compromesso sui valori fondamentali 
dell’uomo (pur di non guastare i rapporti con il governo di cattolici à la carte e
 poltronisti) e quelle che invece restano con forte volontà fedeli alla 
dottrina sociale della Chiesa, manifestandolo pubblicamente e dunque 
visibilmente davanti all’intera comunità. Più d’uno sabato pomeriggio si
 chiedeva se non sia ormai il caso che il segretario generale incominci a
 pensare alle dimissioni (o venga consigliato in tal senso) per ripetuta
 e manifesta incapacità di comprendere una parte consistente del suo 
popolo.
UN DURO RICHIAMO AI VERTICI DI CL E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE DI MASSA 
La manifestazione del 20 giugno si è rivelata un avvertimento molto 
doloroso anche per i vertici odierni di CL (ivi compreso lo stesso don 
Carron). La non adesione - motivata dalla curiosa opinione che le 
adunate di piazza non sarebbero mai servite e non servirebbero a niente -
 è stata letteralmente ignorata da decine di migliaia di ciellini. 
Quando dal palco Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, 
ha detto che “se fosse ancora vivo, oggi don Giussani sarebbe qui 
insieme con noi”, dalla piazza si è levato un vero boato di 
approvazione. C’è materia dunque per riflettere ai piani alti di CL.
Duro il richiamo anche per le altre associazioni e movimenti 
cattolici di massa assenti a piazza San Giovanni, dall’Azione cattolica a
 Rinnovamento nello Spirito, dai Focolarini agli scout dell’Agesci (che,
 come è noto, in alcune centinaia dopo aver sentito il Papa a San Pietro
 sono andati ad applaudire il Gay pride con tanto di cartelli 
politicamente corretti), dalle Acli a tutte quelle aggregazioni meno 
numerose ma molto influenti, a partire dalla Comunità di Sant’Egidio. 
Forse i vertici di tali associazioni avranno incominciato a capire che 
c’è un mondo cattolico, numericamente molto rilevante, che non è 
disposto ad alzare bandiera bianca per presunte convenienze ecclesiali o
 politiche.
LE DIFFERENZE CON IL ‘FAMILY DAY’ del 2007
La piazza di ieri era diversa da quella del ‘Family Day’ del 2007. 
Che è stato un grande successo, ma fondato su premesse differenti. Nel 
2007 è la Cei, grazie all’azione intelligente e tempestiva del cardinale
 Ruini, che ha stimolato (oltre che finanziato) la partecipazione della 
gran parte del mondo associazionistico. In quell’occasione “Avvenire”, 
diretto da Dino Boffo, aveva preparato con continuità, ricchezza di 
contributi e incisività l’appuntamento del 12 maggio. Erano stati 
coinvolti direttamente anche il mondo politico e quello sindacale di 
area cattolica.
Sabato 20 giugno 2015 invece la manifestazione è stata convocata da 
un Comitato di laici temerari (razionalmente c’erano molti dubbi sulla 
riuscita dell’evento), nato il 2 giugno precedente, dunque diciotto 
giorni prima. In tale lasso di tempo, i promotori -ignorati dai grandi 
massmedia fin quasi all’ultimo, sostanzialmente osteggiati dalla 
segreteria generale della Cei e da “Avvenire”, disdegnati dai vertici 
delle grandi associazioni cattoliche salvo il movimento neocatecumenale,
 avendo l’appoggio solo di qualche cardinale e vescovo coraggiosi -  
sono riusciti a portare in piazza una folla enorme di cattolici. Un vero
 ‘miracolo laico’, preparato attraverso centinaia di incontri svoltisi 
in tutta Italia sul tema del gender e dei disegni di legge in corso di 
esame parlamentare e organizzati in particolare da Massimo Gandolfini 
(portavoce della manifestazione), dalla ‘Croce’ di Mario Adinolfi, da 
“Notizie pro-vita”, dai Giuristi per la Vita di Gianfranco Amato, da 
Alleanza cattolica. E’ giusto aggiungere che il Comitato non è stato 
sponsorizzato da nessuno: anche la richiesta a Tremitalia di poter 
usufruire di un biglietto scontato sui treni, come l’azienda ha sempre 
fatto in casi analoghi, è stata respinta. Ognuno ha dunque pagato di 
tasca propria e si è sobbarcato in diversi casi viaggi notturni, lunghi e
 faticosi per poter raggiungere quella Roma in cui si è dovuto 
confrontare poi anche con i torrenti d’acqua che scendevano dal cielo. 
Qui una grande lode va anche a chi ha curato con successo i non facili 
aspetti tecnici dell’organizzazione, come Nicola Di Matteo e Maria 
Rachele Ruiu.
ANALOGIE E DIFFERENZE CON LA ‘MANIF POUR TOUS’ FRANCESE
Dapprima diverse analogie. La Manif pour tous è 
sbocciata in Francia in poco tempo. A novembre 2012 le prime 
manifestazioni con decine di migliaia di persone, a gennaio 2013 la 
prima adunata di massa a Parigi con oltre un milione di persone. La Manif pour tous è
 stata ignorata per mesi dai poteri massmediatici, fino a quando non è 
stato più possibile nascondere il fenomeno. Che allora è stato, bon gré mal gré,
 evidenziato, ma nel contempo accusato di “omofobia”, di “arretratezza 
culturale” proprio come hanno fedelmente testimoniato le prime reazioni 
italiane della nota lobby e dei suoi conniventi alla grande 
testimonianza di piazza San Giovanni. Non solo: si è cercato nel 
contempo di togliere credibilità alla Manif francese, 
irridendone i promotori. Il che sta accadendo puntualmente pure in 
Italia. Ancora: si è tentato di minimizzarne l’impatto sull’opinione 
pubblica (e però le foto e i video parlano da sé…), sostenendone 
l’inutilità. Altra analogia: la Manifè stata organizzata da laici, in buona parte cattolici. Ma nella Manif erano
 presenti anche persone di altre confessioni e religioni, oltre a non 
credenti. Proprio come sabato a San Giovanni: dal palco hanno parlato 
(suscitando grandi applausi) anche l’imam Mohamed di Centocelle
 (in nome della comunità islamica di Roma), l’evangelico Giacomo Ciccone
 (in nome della grande maggioranza del protestantesimo italiano), il 
rappresentante di varie etnie presenti a Roma. Molto gradito il 
messaggio del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, letto dal palco 
(data l’impossibilità di partecipare fisicamente essendo sabbath),
 sulla necessità di non lasciarsi travolgere dalle nuove ideologie 
antropologicamente sovversive. Un’ulteriore analogia: la presenza di 
persone omosessuali. Dal palco è stato letto il messaggio (anch’esso 
applaudito più volte a scena aperta) inviato dall’associazione Genitori e
 amici di persone omosessuali (Agapo), in cui si sostiene con forza che 
il disegno di legge Cirinnà “non fa il bene degli omosessuali” in genere
 e in particolare “dei nostri figli”, che sarebbero spinti alla 
“confusione”. Nel testo si sostiene che “il ‘matrimonio gay’ non ha 
senso sul piano antropologico” e costituirebbe “una grave ingiustizia 
sul piano sociale”. Altro messaggio letto: quello del presidente del 
Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia. 
Un’ultima analogia: la Chiesa di Francia, se ha stimolato con il 
cardinale Ving-Trois alla riflessione sull’argomento e con il cardinale 
Barbarin è voluta essere sempre presente agli appuntamenti della Manif,
 in genere non l’ha appoggiata, tenendosene assai distante nella 
maggioranza dei vescovi e delle associazioni cattoliche tradizionali.
Una differenza – enorme – però c’è: la Maniffrancese è sbocciata troppo tardi, quando alcune leggi liberticide erano già in vigore. La Manif italiana invece è ancora in tempo per bloccare i disegni di legge frutto dell’ideologia totalitaria del gender.
 Ora naturalmente, se al Comitato “Difendiamo i nostri figli” spetta di 
prefigurare rapidamente nuovi modi di intervento, per i parlamentari 
cattolici il compito è quello di agire immediatamente e incisivamente a 
Palazzo Madama e a Palazzo Montecitorio. Si deve dire che i segnali dai 
‘cattolici’ del Pd, quelli delle continue mediazioni a basso prezzo, non
 sono incoraggianti. E neppure quelle dei ‘cattolici à la carte’
 di Palazzo Chigi. Occorre insistere, come ha chiesto più volte 
coralmente la piazza, sul ‘no’ chiaro e inequivocabile ai disegni di 
legge Cirinnà e Scalfarotto e a quello Fedeli sulle ‘pari opportunità’, a
 meno che da quest’ultimo non venga tolto l’emendamento che prescrive 
l’indottrinamento gender nelle scuole. E’ interessante notare 
che la piazza ha accompagnato con un boato di disapprovazione la 
citazione delle “autorità istituzionali” che non hanno accettato 
l’invito a essere presenti. E con un boato di disapprovazione ancora 
maggiore la citazione  (da parte di Mario Adinolfi) del sottosegretario 
Scalfarotto, che in tempo reale ha definito “inaccettabile” la 
manifestazione.
Altra differenza: la presenza massiccia in particolare di un 
movimento cattolico, il Cammino neocatecumenale. In Francia invece i 
gruppi aderenti erano tanti e in genere minuscoli, poi naturalmente 
molto cresciuti. A Piazza San Giovanni si è levato un altro boato quando
 alle 15.20 – dieci muniti prima dell’inizio della manifestazione - si è
 affacciato sul palco Kiko Arguello, che si è presentato con poche 
parole: “Buonasera a tutti! Alla battaglia! Coraggio!”. Ancora una 
volta: complimenti al Cammino neocatecumenale che ha ritenuto 
fondamentale scendere in piazza hic et nunc, qui e ora, per 
cercare di impedire che il pensiero unico entri nella città di 
soppiatto, grazie ai conniventi e ci metta tutti con le spalle al muro.
SUL PALCO L’ICONA DELLA ‘SALUS POPULI ROMANI’ 
Oltre al logo della manifestazione sulla destra del palco, in alto, è
 stata affissa la copia di una icona particolarmente cara ai romani (e 
molto cara anche al Papa): quella della Salus populi romani, conservata in Santa Maria Maggiore: “E’ il saluto di Roma a tutti quelli che vengono da fuori”, ha detto Massimo Gandolfini.
QUALCHE SPUNTO DALLA MANIFESTAZIONE 
Da Cagliari. Usciamo verso le 12.30 da casa a Piazza Bologna e vediamo una colonna di persone con la bandiera dei Quattro Mori. Da dove venite? Da Cagliari. In quanti siete? Almeno in duecento. Come raggiungete piazza San Giovanni? A piedi, sono quasi cinque chilometri. Una signora in carrozzella: Io sono su gomma. E se dovesse piovere forte come previsto? Fa bene una rinfrescata. Questo lo spirito della manifestazione. 
Metropolitana. Scendiamo alla metropolitana: vagoni già pieni. Tante chitarre. Siete neocatecumenali? Come fa a saperlo? Si ride. Da dove? Da Palermo. Quanti siete? Trecento. Giungiamo a Termini e si cambia. La banchina della metro A è già piena di bresciani, anche di cremonesi (siamo ciellini). Arriva il convoglio, un vagone straripa  di marchigiani, da Macerata. Un buon inizio, no? 
Striscioni e cartelli. Sulla piazza, prima che 
scoppi il nubifragio, facciamo in tempo ad annotare i contenuti di 
alcuni striscioni e cartelli, intanto che risuonano i canti dei gruppi 
neocatecumenali. Centinaia di bandiere della Manif rosa e azzurre su modello francese. ‘Manif’ da Empoli (oltre cento). Difendiamo
 i nostri figli, no al gender nelle scuole. Maschio e femmina Dio li 
creò. Tutti nascono da mamma e papà. Nella famiglia il futuro 
dell’Italia. Citazioni dell’articolo 26 della dichiarazione universale 
dei diritti dell’uomo (quello sul diritto prioritario dei genitori per l’istruzione dei figli) e degli articoli 29 e 30 della Costituzione italiana (famiglia naturale, educazione dei figli). Mamma e papà, aiuto! No al disegno di legge Cirinnà (grande striscione della Manif pour tous). L’ideologia
 gender è più pericolosa dell’Isis. Teoria gender?No grazie. Sulle 
unioni omosessuali, Renzi, chi siamo noi per arrogarci il diritto di 
procreare in modo artificiale bambini orfani? Dalla sana educazione 
dipende la felicità di una Nazione (frase di san Giovanni Bosco).
Dal palco. La folla si estende a perdita d’occhio, 
non si riesce a intravvederne la fine. Grappoli umani si abbarbicano 
alla grande statua di san Francesco.
Oratori 1. Massimo Gandolfini introduce e spiega l’ideologia gender e un video che presenta il Papa mentre parla di ‘colonizzazione ideologica’ e chiede di “agire contro”. La famiglia Aquino racconta in breve la sua esperienza di educazione dei figli (11). La giornalista e scrittrice Costanza Miriano illustra
 con linguaggio colloquiale la differenza tra maschio e femmina nella 
quotidianità: “I figli sono generati, non comprati!”
Oratori 2. Dopo un bel video della Manif pour tous, parla l’avvocato umbro Simone Pillon:
 “E’ da tanto tempo che aspettavamo questa piazza! Il combattimento 
gigantesco che stiamo conducendo non è contro le persone, ma contro le 
ideologie! Noi ci siamo alzati in piedi! L’Italia ha un compito 
insostituibile, è l’ultimo baluardo di un’antropologia scritta 
nell’uomo” (boato della piazza). La famiglia Sergio Angori racconta
 poi l’esperienza della figlia che, in seconda media, ha avuto una 
docente che ha propagandato per tutto l’anno l’ideologia del gender.
Oratori 3. Subito un boato per il presidente dei Giuristi per la Vita Gianfranco Amato:
 “Non è vero che in questa piazza non ci sono le istituzioni, perché – 
secondo la Costituzione – la sovranità appartiene al popolo”. E “il 
popolo è qui per dire: Basta!”. Purtroppo “oggi viviamo in una democrazia totalitaria che sta tentando per legge di imporre l’ideologia gender.
 Occorre opporsi a ogni tentativo in tal senso” (boato). Amato cita 
ancora il Papa (“colonizzazione ideologica”, paragone con la “gioventù 
hitleriana”). Poi definisce la manifestazione “il primo grande atto 
collettivo di resistenza contro l’imposizione della dittatura del 
pensiero unico da parte di una lobby che non ha niente a che 
vedere con il popolo” (boato). Ricorda un passo del discorso di Winston 
Churchill del giugno 1940 per la resistenza al nemico nazista. E 
aggiunge: “Noi combatteremo nelle scuole, nelle piazze, nelle cabine 
elettorali” (boato). “Non ci arrenderemo mai! Mai mai!” (boato)
Oratori 4. Tocca poi all’ex-sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano,
 presidente dei Comitati “Sì alla famiglia” tener vive le emozioni della
 folla. Mantovano ricorda le “tante bombe sulla famiglia”, buttate sul 
popolo italiano in poco tempo: dal divorzio breve a quello facile (“Si 
impiega più tempo a disdire l’abbonamento telefonico che non a 
divorziare”), la fecondazione eterologa, la selezione genetica degli 
embrioni, il disegno di legge Cirinnà (travolto da un doppio, possente 
coro di ‘no!’). “Forza, coraggio e speranza!” conclude Mantovano 
(boato).
Oratori 5. Dopo un video molto chiaro sulla relazione tra madre e figlio, tocca a Mario Adinolfi ,
 direttore de “La Croce”. Già abbiamo detto dell’accenno a Scalfarotto, 
sepolto dalla disapprovazione corale della piazza. Adinolfi fa capire 
che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà introduce de facto (pur
 se scritto naturalmente in un burocratese incomprensibile ai più) la 
possibilità di adozione per i gay. Citando a tale proposito Elton John, 
ne ripercorre i tentativi fatti – dopo essersi “sposato” con un uomo – 
per comperare un figlio (“i soldi possono tutto”), ma il figlio – 
generato con l’utero in affitto e portato in grembo da un’altra donna - 
piange continuamente perché cerca inutilmente il seno della madre. Un 
vero capitolo di disumanità, dovuto al fatto che Elton John “vuol essere
 come Dio e non conosce il senso del limite naturale: l’uomo non può 
essere Dio!”. Per Adinolfi il disegno di legge Cirinnà “è il coronamento
 dell’ideologia gender”: “Perciò noi dobbiamo batterci per i veri diritti civili e senza vescovi-pilota!” (boato).
Oratori 6: Tocca a Kiko Arguello: 
la testimonianza pubblica “è indispensabile per essere coerenti con la 
propria condotta di vita”. In un momento in cui “l’Europa sta 
commettendo un grave peccato contro la Luce”. Il fondatore del Cammino 
neocatecumenale introduce un brano famoso dall’ “Apocalisse” di san 
Giovanni sulla donna vestita di luce, coronata di dodici stelle, cui un 
enorme drago rosso con sette teste e dieci corna cerca inutilmente di 
strappare il figlio appena partorito. L’arcangelo Michele con i suoi 
angeli sconfiggerà il drago, pure sostenuto da altri angeli, 
precipitandolo sulla terra. La folla neocatecumenale canta con forza il 
brano, accompagnando la voce di Arguello, in spagnolo e in italiano.
Si giunge alla fine con i ringraziamenti e l’ “arrivederci” di Massimo Gandolfini,
 mentre le nubi gonfie di altra pioggia si avvicinano e incominciano a 
scaricarsi di nuovo. La folla sciama rapidamente, anche perché le strade
 in un batter d’occhio si trasformano in torrenti. Per caso 
reincontriamo Adinolfi, che sta attendendo un bus che non arriva. Tanti 
(veramente tanti) che passano lo ringraziano ad alta voce, gli stringono
 la mano, perfino lo salutano dai finestrini abbassati delle auto che 
hanno incominciato a ripopolare la strada. Il bus non arriva, la 
metropolitana è lontana (chiusa la fermata di san Giovanni), non resta 
che sospirare un tassì. Che giunge e ci porta a Largo Argentina: intanto
 il tassista, spontaneamente parla della manifestazione e dice che “è 
stata una cosa buona, ci voleva, il matrimonio è solo tra uomo e donna”.
 Il popol s’è desto.
Fonte : Rossoporpora 
