INCONTRO CON I VESCOVI DEL MESSICO
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cattedrale, Città del Messico
Sabato, 13 febbraio 2016
Cari fratelli,
sono contento di potervi incontrare il giorno dopo il mio arrivo in
questo Paese, che, seguendo i passi dei miei Predecessori, anch’io sono
venuto a visitare.
Non potevo non venire! Potrebbe il Successore di Pietro, chiamato dal
lontano sud latinoamericano, fare a meno di posare lo sguardo sulla
Vergine “Morenita”?
Vi ringrazio per avermi accolto in questa Cattedrale, “casita”,
“piccola casa” diventata grande ma sempre “sacra”, che la Vergine di
Guadalupe domandò, e per le gentili parole di benvenuto che mi avete
rivolto.
Sapendo che qui si trova il cuore segreto di ogni messicano, entro
con passo delicato, come bisogna entrare nella casa e nell’anima di
questo popolo, e vi sono profondamente grato di aprirmi la porta. So che
guardando gli occhi della Vergine raggiungo lo sguardo della vostra
gente che, in Lei, ha imparato a manifestarsi. So che nessun’altra voce
può parlare tanto profondamente del cuore messicano come può parlarmene
la Vergine; Ella custodisce i suoi desideri più alti, le sue più
recondite speranze; Ella raccoglie le sue gioie e le sue lacrime; Ella
comprende i suoi numerosi idiomi e risponde loro con tenerezza di Madre
perché sono i suoi figli.
Sono contento di stare con voi, qui nelle vicinanze del “Monte del Tepeyac”,
come agli albori dell’evangelizzazione di questo Continente e vi chiedo
per favore di permettermi che tutto quanto vi dirò possa dirlo partendo
dalla Guadalupana. Come vorrei che fosse Lei stessa a recarvi, fino al
profondo delle vostre anime di Pastori, e, per mezzo di voi, a ciascuna
delle vostre Chiese particolari presenti in questo vasto Messico, tutto
ciò che fluisce intensamente dal cuore del Papa.
Come fece san Juan Diego e fecero le successive generazioni dei figli
della Guadalupana, anche il Papa da tempo nutriva il desiderio di
vederla.
Più ancora, vorrei io stesso essere raggiunto dal suo sguardo
materno.
Ho riflettuto molto sul mistero di questo sguardo e vi prego,
accogliete ciò che sgorga dal mio cuore di Pastore in questo momento.
Uno sguardo di tenerezza
Anzitutto, la Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza
capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò
che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie
dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge,
bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza
irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua
misericordia.
Un inquieto e illustre scrittore di questa terra, disse che a
Guadalupe non si chiede l’abbondanza dei raccolti o la fertilità della
terra, bensì si cerca un grembo in cui gli uomini, sempre orfani e
diseredati, vanno cercando una protezione, una casa.
A distanza di secoli dall’evento fondante di questo Paese e
dell’evangelizzazione del Continente, è stata forse diluita, è stata
forse dimenticata la necessità di un grembo a cui anela il cuore del
popolo che vi è stato affidato?
Conosco la lunga e dolorosa storia che avete attraversato, non senza
versare tanto sangue, non senza impietose e strazianti convulsioni, non
senza violenza e incomprensioni. A ragione il mio venerato e santo
Predecessore, che in Messico era come a casa sua, ha voluto ricordare
che «come fiumi talvolta occulti e sempre copiosi, da tre realtà che a
volte si incontrano e altre rivelano le loro differenze complementari,
senza mai confondersi del tutto: l’antica e ricca sensibilità dei popoli
indigeni che amarono Juan de Zumárraga e Vasco de Quiroga, che molti di
questi popoli continuano a chiamare padri, il cristianesimo radicato
nell’anima dei messicani e la moderna razionalità, di taglio europeo,
che tanto ha voluto esaltare l’indipendenza e la libertà» (Giovanni
Paolo II, Discorso nella cerimonia di benvenuto in Messico, 22 gennaio 1999).
E in questa storia, il grembo materno che continuamente ha generato
il Messico, benché a volte sembrasse una rete che raccoglieva 153 pesci
(cfr Gv 21,11), non si dimostrò mai infecondo, e le minacciose fratture si sono sempre ricomposte.
Perciò, vi invito a partire nuovamente da questa necessità di un
grembo che promana dall’anima del vostro popolo. Il grembo della fede
cristiana è capace di riconciliare il passato spesso segnato da
solitudine, isolamento ed emarginazione, con il futuro continuamente
relegato ad un domani che sfugge. Solo in quel grembo si può, senza
rinunciare alla propria identità, «scoprire la profonda verità della
nuova umanità, in cui tutti sono chiamati ad essere figli di Dio»
(Giovanni Paolo II, Omelia per la canonizzazione di san Juan Diego, 31 luglio 2002).
Chinatevi quindi, fratelli, con delicatezza e rispetto, sull’anima
profonda della vostra gente, scendete con attenzione e decifrate il suo
misterioso volto.
Il presente, spesso dissolto in dispersione e festa,
non è forse anche propedeutico a Dio che è l’unico e pieno presente?
La
familiarità con il dolore e la morte non sono forme di coraggio e vie
verso la speranza?
La percezione che il mondo sia sempre e solamente da
redimere non è antidoto all’autosufficienza prepotente di quanti credono
di poter prescindere da Dio?
Naturalmente, per tutto questo è necessario uno sguardo capace di
riflettere la tenerezza di Dio. Siate pertanto Vescovi di sguardo
limpido, di anima trasparente, di volto luminoso.
Non abbiate paura
della trasparenza. La Chiesa non ha bisogno dell’oscurità per lavorare.
Vigilate affinché i vostri sguardi non si coprano con le penombre della
nebbia della mondanità; non lasciatevi corrompere dal volgare
materialismo né dalle illusioni seduttrici degli accordi sottobanco; non
riponete la vostra fiducia nei “carri e cavalli” dei faraoni attuali,
perché la nostra forza è la “colonna di fuoco” che rompe dividendole in
due le acque del mare, senza fare grande rumore (cfr Es 14,24-25).
Il mondo nel quale il Signore ci chiama a svolgere la nostra missione
è diventato molto complesso.
E anche la prepotente idea del “cogito”,
che non negava che vi fosse almeno una roccia sopra la spiaggia
dell’essere, oggi è dominata da una concezione della vita considerata da
molti più che mai vacillante, mutevole e anomica, perché manca di un
sostrato solido.
Le frontiere, così intensamente invocate e sostenute,
sono diventate permeabili alla novità di un mondo in cui la forza di
alcuni non può più sopravvivere senza la vulnerabilità di altri.
L’irreversibile ibridazione della tecnologia rende vicino ciò che è
lontano ma, purtroppo, rende distante ciò che dovrebbe essere vicino.
E precisamente in questo mondo, Dio vi chiede di avere uno sguardo
che sappia intercettare la domanda che grida nel cuore della vostra
gente, l’unica che possiede nel proprio calendario una “festa del
grido”.
A quel grido bisogna rispondere che Dio esiste ed è vicino
mediante Gesù. Che solo Dio è la realtà sulla quale si può costruire,
perché «Dio è la realtà fondante, non un Dio solo pensato o ipotetico,
ma il Dio dal volto umano» (Benedetto XVI, Discorso inaugurale della V Conferenza generale del CELAM, 13 magio 2007).
Nei vostri sguardi, il Popolo messicano ha il diritto di trovare le tracce di quelli che “hanno visto il Signore” (cfr Gv
20,25), di quelli che sono stati con Dio.
Questo è l’essenziale. Non
perdete, dunque, tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle
chiacchiere e negli intrighi, nei vani progetti di carriera, nei vuoti
piani di egemonia, negli sterili club di interessi o di consorterie.
Non
lasciatevi fermare dalle mormorazioni e dalle maldicenze. Introducete i
vostri sacerdoti nella comprensione del ministero sacro.
A noi ministri
di Dio basta la grazia di “bere il calice del Signore”, il dono di
custodire la parte della sua eredità che ci è affidata, benché siamo
amministratori inesperti.
Lasciamo al Padre di assegnarci il posto che
ha preparato per noi (cfr Mt 20,20-28).
Possiamo forse essere
veramente occupati in altre cose se non in quelle del Padre?
Al di fuori
delle “cose del Padre” (cfr Lc 2,48-49) perdiamo la nostra identità e, colpevolmente, rendiamo vana la sua grazia.
Se il nostro sguardo non testimonia di aver visto Gesù, allora le
parole che ricordiamo di Lui risultano soltanto delle figure retoriche
vuote.
Forse esprimono la nostalgia di quelli che non possono
dimenticare il Signore, ma comunque sono solo il balbettare di orfani
accanto al sepolcro. Parole alla fine incapaci di impedire che il mondo
resti abbandonato e ridotto alla propria potenza disperata.
Penso alla necessità di offrire un grembo materno ai giovani.
Che i
vostri sguardi siano capaci di incrociarsi con i loro sguardi, di amarli
e di cogliere ciò che essi cercano con quella forza con cui molti come
loro hanno lasciato barche e reti sull’altra riva del mare (cfr Mc 1,17-18), hanno abbandonato banchi delle imposte pur di seguire il Signore della vera ricchezza (cfr Mt 9,9).
Mi preoccupano tanti che, sedotti dalla vuota potenza del mondo,
esaltano le chimere e si rivestono dei loro macabri simboli per
commercializzare la morte in cambio di monete che alla fine tarme e
ruggine consumano e per cui i ladri scassinano e rubano (cfr Mt
6,20). Vi prego di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il
narcotraffico rappresenta per la gioventù e per l’intera società
messicana, compresa la Chiesa.
Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause,
l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità
della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non
permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne
generiche – forme di nominalismo – bensì esigono un coraggio profetico e
un serio e qualificato progetto pastorale per contribuire,
gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti
saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia. Solo
cominciando dalle famiglie; avvicinandoci e abbracciando la periferia
umana ed esistenziale dei territori desolati delle nostre città;
coinvolgendo le comunità parrocchiali, le scuole, le istituzioni
comunitarie, la comunità politica, le strutture di sicurezza; solo così
si potrà liberare totalmente dalle acque in cui purtroppo annegano tante
vite, sia la vita di chi muore come vittima, sia quella di chi davanti a
Dio avrà sempre le mani macchiate di sangue, per quanto abbia il
portafoglio pieno di denaro sporco e la coscienza anestetizzata.
Con lo sguardo rivolto a Maria di Guadalupe, dirò una seconda cosa:
Uno sguardo capace di tessere
Nel manto dell’anima messicana Dio ha tessuto, con il filo delle
impronte meticce della sua gente, il volto della sua manifestazione
nella “Morenita”. Dio non ha bisogno di colori spenti per
disegnare il suo volto. I disegni di Dio non sono condizionati dai
colori e dai fili, bensì sono determinati dalla irreversibilità del suo
amore che vuole tenacemente imprimersi in noi.
Siate, pertanto, Vescovi capaci di imitare questa libertà di Dio
scegliendo ciò che è umile per manifestare la maestà del suo volto, e di
imitare questa pazienza divina nel tessere, col filo sottile
dell’umanità che incontrate, quell’uomo nuovo che il vostro paese
attende. Non lasciatevi prendere dalla vana ricerca di cambiare popolo,
come se l’amore di Dio non avesse abbastanza forza per cambiarlo.
Riscoprite poi la saggia e umile costanza con cui i Padri della fede
di questa Patria hanno saputo introdurre le generazioni successive nella
semantica del mistero divino.
Imparando prima e poi insegnando la
grammatica necessaria per dialogare con quel Dio, nascosto nei secoli
della loro ricerca e fattosi vicino nella persona del suo Figlio Gesù,
che oggi tanti riconoscono nell’immagine insanguinata e umiliata, come
figura del proprio destino. Imitate la sua condiscendenza e la sua
capacità di abbassarsi. Non comprenderemo mai abbastanza il fatto che
con i fili meticci della nostra gente Dio ha intessuto il volto col
quale si è fatto conoscere!
Mai saremo abbastanza grati a questo suo
chinarsi, a questa “synkatábasis”.
Uno sguardo di singolare delicatezza vi chiedo per i popoli indigeni,
per loro e le loro affascinanti culture, non di rado massacrate.
Il
Messico ha bisogno delle sue radici amerinde per non rimanere in un
enigma irrisolto.
Gli indigeni del Messico aspettano ancora che venga
loro riconosciuta effettivamente la ricchezza del loro contributo e la
fecondità della loro presenza per ereditare quella identità che vi fa
diventare una Nazione unica e non solamente una tra le altre.
Si è parlato molte volte del presunto destino incompiuto di questa
Nazione, del “labirinto della solitudine” nel quale sarebbe
imprigionata, della geografia come destino che la intrappola.
Per
alcuni, tutto questo sarebbe ostacolo per il disegno di un volto
unitario, di una identità adulta, di una posizione singolare nel
concerto delle nazioni e di una missione condivisa.
Per altri, anche la Chiesa in Messico sarebbe condannata a scegliere
tra il soffrire l’inferiorità in cui fu relegata in alcuni periodi della
sua storia, come quando la sua voce fu fatta tacere e si cercò di
amputare la sua presenza, o l’avventurarsi nei fondamentalismi par
recuperare certezze provvisorie – come quel “cogito” famoso –
dimenticando di avere inscritta nel cuore la sete di Assoluto e di
essere chiamata in Cristo a riunire tutti e non solo una parte (cfr Lumen gentium, 1).
Non stancatevi, invece, di ricordare al vostro Popolo quanto sono
potenti le radici antiche che hanno permesso la viva sintesi cristiana
di comunione umana, culturale e spirituale che si è forgiata qui.
Ricordate che le ali del vostro Popolo si sono spiegate già più volte al
di sopra di non poche vicissitudini.
Custodite la memoria del lungo
cammino fin qui percorso – siate “deuteronomici” – e sappiate suscitare
la speranza di nuove mete, perché il domani sarà una terra “ricca di
frutti” anche se ci pone sfide non indifferenti (cfr Nm 13,27-28).
Che i vostri sguardi, riposati sempre e solamente in Cristo, siano
capaci di contribuire all’unità del vostro Popolo; di favorire la
riconciliazione delle sue differenze e l’integrazione delle sue
diversità; di promuovere la soluzione dei suoi problemi endogeni; di
ricordare la misura alta che il Messico può raggiungere se impara ad
appartenere a sé stesso prima che ad altri; di aiutare a trovare
soluzioni condivise e sostenibili alle sue miserie; di motivare l’intera
Nazione a non accontentarsi di meno di quanto si attende dal modo
messicano di abitare il mondo.
Una terza riflessione:
Uno sguardo attento e vicino, non addormentato
Vi prego di non cadere nella paralisi di dare vecchie risposte alle
nuove domande.
Il vostro passato è un pozzo di ricchezze da scavare, che
può ispirare il presente e illuminare il futuro.
Guai a voi se dormite
sugli allori!
Occorre non disperdere l’eredità ricevuta custodendola con
un lavoro costante.
Siete seduti sulle spalle di giganti: vescovi,
sacerdoti, religiosi, religiose e laici fedeli “sino alla fine”, che
hanno dato la vita affinché la Chiesa potesse compiere la propria
missione. Dall’alto di tale podio siete chiamati a gettare uno sguardo
ampio sul campo del Signore per programmare la semina e aspettare il
raccolto.
Vi invito a stancarvi, a stancarvi senza paura nel compito di
evangelizzare e di approfondire la fede, mediante una catechesi
mistagogica che sappia far tesoro della religiosità popolare della
vostra gente. Il nostro tempo richiede attenzione pastorale alle persone
e ai gruppi che sperano di poter andare incontro al Cristo vivo.
Solamente una coraggiosa conversione pastorale – e sottolineo
conversione pastorale – delle nostre comunità può cercare, generare e
nutrire i discepoli odierni di Gesù (cfr Documento di Aparecida, 226, 360, 370).
Pertanto, è necessario per i nostri Pastori superare la tentazione
della distanza – e lascio ad ognuno di voi di fare la lista delle
distanze che possono esistere in questa Conferenza Episcopale; non le
conosco, ma superare la tentazione della distanza – e del clericalismo,
della freddezza e dell’indifferenza, del comportamento trionfale e
dell’autoreferenzialità. Guadalupe ci insegna che Dio è familiare,
vicino nel suo volto, che la prossimità e la condiscendenza – questo
abbassarsi e avvicinarsi – possono fare più della forza, di qualsiasi
tipo di forza.
Come insegna la bella tradizione guadalupana, la “Morenita”
custodisce gli sguardi di coloro che la contemplano, riflette il volto
di coloro che la incontrano. Occorre imparare che c’è qualcosa di
irripetibile in ciascuno di coloro che ci guardano alla ricerca di Dio.
Tocca a noi non renderci impermeabili a tali sguardi. Custodire in noi
ognuno di loro, conservandoli nel cuore, proteggendoli.
Solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che vanno a
bussare alla sua porta è capace di parlare loro di Dio. Se non
decifriamo le loro sofferenze, se non ci accorgiamo dei loro bisogni,
nulla potremo offrire. La ricchezza che abbiamo scorre solamente quando
incontriamo la pochezza di coloro che vanno elemosinando, e proprio tale
incontro si realizza nel nostro cuore di Pastori.
E il primo volto che vi supplico di custodire nel vostro cuore è
quello dei vostri sacerdoti. Non lasciateli esposti alla solitudine e
all’abbandono, preda della mondanità che divora il cuore. Siate attenti e
imparate a leggere i loro sguardi per gioire con loro quando si sentono
felici di raccontare ciò che “hanno fatto e insegnato” (cfr Mc
6,30), e anche per non tirarsi indietro quando si sentono un po’
umiliati e non possono far altro che piangere perché “hanno rinnegato il
Signore” (cfr Lc 22,61-62), e anche, perché no, per sostenerli,
in comunione con Cristo, quando qualcuno, già abbattuto, uscirà con
Giuda “nella notte” (cfr Gv 13,30). In queste situazioni, che non
manchi mai la vostra paternità di Vescovi verso i vostri sacerdoti.
Incoraggiate la comunione tra di loro; fate sì che possano perfezionare i
loro doni; inseriteli nelle grandi cause perché il cuore dell’apostolo
non è stato fatto per piccole cose.
Il bisogno di familiarità abita nel cuore di Dio. Nostra Signora di
Guadalupe chiese solamente una “casetta sacra”. I nostri popoli
latinoamericani capiscono bene il linguaggio diminutivo – una “casetta”
sacra – e molto volentieri lo usano. Forse hanno bisogno del diminutivo
perché altrimenti si sentirebbero perduti. Si sono adattati a sentirsi
sminuiti e si sono abituati a vivere nella modestia.
La Chiesa, quando si raduna in una maestosa Cattedrale, non potrà
fare a meno di comprendersi come una “piccola casa”, in cui i suoi figli
possono sentirsi a proprio agio. Davanti a Dio si può rimanere solo se
si è piccoli, se si è orfani, se si è mendicanti. Il protagonista della
storia di salvezza è il mendicante.
“Casetta” familiare e al tempo stesso “sacra”, perché la prossimità
si riempie della grandezza onnipotente. Siamo custodi di questo mistero!
A volte abbiamo perso questo senso dell’umile misura divina e ci
stanchiamo di offrire ai nostri la “casetta” in cui possano sentirsi in
intimità con Dio. Può anche darsi che avendo trascurato un po’ il senso
della sua grandezza si sia perso parte del timore reverenziale nei
confronti di un tale amore. Dove abita Dio, l’uomo non può accedere
senza essere ammesso, ed entra solamente “togliendosi i sandali” (cfr Es 3,5) per confessare la propria insufficienza.
E questo aver dimenticato di “togliersi i sandali” per entrare, non è
probabilmente alla radice della perdita del senso della sacralità della
vita umana, della persona, dei valori essenziali, della saggezza
accumulata lungo i secoli, del rispetto per la natura? Senza recuperare,
nella coscienza degli uomini e della società, queste radici profonde,
anche al lavoro generoso in favore dei legittimi diritti umani mancherà
la linfa vitale che può venire solo da una sorgente che l’umanità non
potrà mai darsi da sé stessa.
E, sempre guardando la Madre, per concludere:
Uno sguardo d’insieme e di unità
Solo guardando la “Morenita”, il Messico ha di sé una visione
completa. Pertanto vi invito a comprendere che la missione che la Chiesa
oggi vi affida – e sempre vi ha affidato – richiede questo sguardo che
abbracci la totalità. E questo non si può realizzare isolatamente, bensì
solo in comunione.
La Guadalupana è cinta di una cintura che annuncia la sua fecondità.
E’ la Vergine che porta in grembo il Figlio atteso dagli uomini. E’ la
Madre che sta generando l’umanità del nuovo mondo nascente. E’ la Sposa
che prefigura la maternità feconda della Chiesa di Cristo. Voi avete la
missione di cingere l’intera Nazione messicana con la fecondità di Dio.
Nessun pezzo di questa cinta può essere disprezzato.
L’Episcopato messicano ha compiuto passi notevoli in questi anni
conciliari; sono aumentati i suoi membri; è stata promossa una
formazione permanente, continua e qualificata; l’ambiente fraterno non è
mancato; lo spirito di collegialità è cresciuto; gli interventi
pastorali hanno influito sulle vostre Chiese e sulla coscienza
nazionale; i lavori pastorali condivisi sono stati fruttuosi nei campi
essenziali della missione ecclesiale come la famiglia, le vocazioni e la
presenza sociale.
Mentre ci rallegriamo per il cammino di questi anni, vi chiedo di non
lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà e di non risparmiare ogni
possibile sforzo per promuovere, tra di voi e nelle vostre diocesi, lo
zelo missionario, soprattutto verso le parti più bisognose dell’unico
corpo della Chiesa messicana. Riscoprire che la Chiesa è missione è
fondamentale per il suo futuro, perché solo l’entusiasmo, lo stupore
convinto degli evangelizzatori ha la forza di trascinare. Vi prego,
pertanto, di curare specialmente la formazione e la preparazione dei
laici, superando ogni forma di clericalismo e coinvolgendoli attivamente
nella missione della Chiesa, soprattutto rendendo presente, con la
testimonianza della propria vita, il vangelo di Cristo nel mondo.
A questo Popolo messicano gioverà molto una testimonianza unificante
della sintesi cristiana e una visione condivisa dell’identità e del
destino della sua gente. In questo senso, sarebbe molto importante che
la Pontificia Università del Messico fosse sempre più al centro degli
sforzi ecclesiali per assicurare quello sguardo di universalità senza il
quale la ragione, rassegnata a modelli parziali, rinuncia alla sua più
alta aspirazione di ricerca della verità.
La missione è vasta e portarla avanti richiede molteplici vie. E con
la più viva insistenza vi esorto a conservare la comunione e l’unità tra
di voi. Questo è essenziale, fratelli. Questo non c’è nel testo, ma mi
viene adesso. Se dovete litigare, litigate; se avete delle cose da
dirvi, ditevele; però da uomini, in faccia, e come uomini di Dio che poi
vanno a pregare insieme, a fare discernimento insieme; e se avete
passato il limite, a chiedervi perdono, ma mantenete l’unità del corpo
episcopale. Comunione e unità tra di voi. La comunione è la forma vitale
della Chiesa e l’unità dei suoi Pastori dà prova della sua veracità. Il
Messico e la sua vasta e multiforme Chiesa hanno bisogno di Vescovi
servitori e custodi dell’unità edificata sulla Parola del Signore,
alimentata con il suo Corpo e guidata dal suo Spirito che è il respiro
vitale della Chiesa.
Non c’è bisogno di “prìncipi”, bensì di una comunità di testimoni del
Signore. Cristo è la sua unica luce; è la sorgente di acqua viva; dal
suo respiro promana lo Spirito che distende le vele della barca
ecclesiale. In Cristo glorificato, che la gente di questo popolo ama
onorare come Re, accendete uniti la luce, ricolmatevi della sua presenza
che non si estingue; respirate a pieni polmoni l’aria buona del suo
Spirito. A voi spetta seminare Cristo nel territorio, tenere accesa la
sua luce umile che rischiara senza abbagliare, assicurare che con le sue
acque si sazi la sete delle vostra gente, alzare le vele affinché il
soffio dello Spirito le dispieghi e non s’incagli la barca della Chiesa
in Messico.
Ricordate che la Sposa, la Sposa di ognuno di voi, la Madre Chiesa, sa bene che il Pastore amato (Ct
1,7) sarà trovato solo dove i pascoli sono erbosi e i ruscelli
cristallini. La Sposa non si fida dei compagni dello Sposo che, a volte
per incuranza o incapacità, conducono il gregge per luoghi aridi e pieni
di rocce. Guai a noi pastori, compagni del Supremo Pastore, se lasciamo
vagare la sua Sposa perché nella tenda che abbiamo fatto lo Sposo non
si trova.
Permettetemi un’ultima parola per esprimere l’apprezzamento del Papa
per tutto quanto state facendo per affrontare la sfida della nostra
epoca rappresentata dalle migrazioni. Sono milioni i figli della Chiesa
che oggi vivono nella diaspora o in transito peregrinando verso il nord
in cerca di nuove opportunità. Molti di loro lasciano alle spalle le
proprie radici per avventurarsi, anche nella clandestinità che implica
ogni tipo di rischio, alla ricerca della “luce verde” che considerano
come loro speranza. Tante famiglie si dividono; e non sempre
l’integrazione nella presunta “terra promessa” è così facile come si
pensa.
Fratelli, i vostri cuori siano capaci di seguirli e raggiungerli al
di là delle frontiere. Rafforzate la comunione con i vostri fratelli
dell’episcopato statunitense affinché la presenza materna della Chiesa
mantenga vive le radici della loro fede, della fede di quel popolo, le
ragioni della loro speranza e la forza della loro carità. Non succeda ad
essi che appendendo le loro cetre, ammutolisca la loro gioia,
dimenticandosi di Gerusalemme e trasformandosi in “esiliati di sé
stessi” (cfr Sal 136/137). Testimoniate uniti che la Chiesa è
custode di una visione unitaria dell’uomo e non può accettare che sia
ridotto a mera “risorsa umana”.
Non sarà vana la premura delle vostre diocesi nel versare il poco
balsamo che possiedono sui piedi feriti di quanti attraversano i loro
territori e di spendere per loro il denaro duramente raccolto; il
Samaritano divino alla fine arricchirà chi non è passato indifferente
davanti a Lui quando stava per terra lungo la strada (cfr Lc 10,25-37).
Cari fratelli,
il Papa è sicuro che il Messico e la sua Chiesa arriveranno in tempo
all’appuntamento con sé stessi, con la storia, con Dio.
Talvolta qualche
pietra sulla strada rallenta la marcia e la fatica del tragitto
richiederà qualche sosta, ma mai al punto da far perdere la meta.
Infatti, può forse arrivare tardi chi ha una Madre che lo aspetta?
Chi
continuamente può sentire risuonare nel proprio cuore: “Non ci sono qui
io, io, che sono tua Madre?”. Grazie.
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Immagine : Il Beato Messicano José Luis Sánchez del Río (1913-1928) , Martire Cristero quattordicenne, di cui il Papa ha firmato il decreto per la canonizzzazione ( QUI )