lunedì 28 gennaio 2013

"Monsignor Lefebvre, un Vescovo nella tempesta" : il successo del film che ha smentito certi "vaticanisti" ...

Anche quando si realizzano lavori di alto livello c’è sempre qualcuno, che, con i propri pregiudizi, mette in circolo commenti senza fondamento.
Questa volta si tratta di un commento diretto al Film-documentario Monsignor Lefebvre. Un Vescovo nella tempesta. Di fronte a questo scritto, non si può tacere, per sfatare il clima di pregiudizio superficiale che esso induce: «Mi aspettavo di trovare solo quattro gatti corrucciati del partito lefebvriano e invece nella sala strapiena vedo molte persone in piedi, molti giovani, molti sacerdoti e religiosi […]. La Fraternità è molto più viva e normale di quanto ci venga normalmente dipinta dai c.d. “vaticanisti”».

Prima di parlare e, più ancora, prima di scrivere occorrerebbe sempre riflettere. 
Non esiste nessun partito lefebvriano, esiste una Fraternità di Sacerdoti legittimamente fondata nel 1970 che da più di quarant’anni lotta per amore della Chiesa, per amore del Santo Sacrificio dell’Altare (ovvero la Santa Messa tridentina, liberalizzata da Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007), per amore del Papa, per la formazione della santità sacerdotale (e in questa formazione sono compresi non solo la preparazione filosofica-teologica di san Tommaso d’Aquino, ma anche i sacrifici, che temprano la volontà, dominano la persona e favoriscono l’autocontrollo), per la Santa Tradizione, per difendere ciò che appartiene più al soprannaturale che alla terra. Per questi amori ha vissuto sofferenze che soltanto chi ha compreso l’insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo può misurarne il valore: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12).

Nella sala cinematografica «Le quattro fontane» di Roma, ebbene sì, c’erano molti giovani, molti sacerdoti e molti religiosi che pensano con la loro testa e non vengono condizionati dalle pitture deformate, condizionate, interessate e manipolate dei «vaticanisti».

Venendo in merito al Film-documentario, prodotto dall’Association pour la Défense du Patrimoine chrétien e diretto dall’abile regista Jacques-Régis du Cray, viene detto che due domande sono state frustrate, ovvero: «perché dal 1974 ha portato avanti la Fraternità Sacerdotale San Pio X nel momento in cui la Santa Sede gliel’ha sciolta» e «perché nel 1988 ha voluto ordinare quattro vescovi nel momento in cui la Santa Sede gliene stava concedendo uno».

Per rispondere al primo quesito c’è la bella e chiara intervista all’Abbé Jean-Yves Cottard. 
Egli, all’epoca giovane chierico del Seminario francese di Santa Chiara a Roma, con alcuni altri confratelli, implorò il Vescovo Lefebvre affinché li potesse seguire per continuare a ricevere la formazione sacerdotale secondo i canoni della Tradizione della Chiesa. Egli afferma che, nonostante i suoi 19 anni, osò fare questa richiesta, spinto dalla profonda preoccupazione di perdere tale patrimonio.

Per rispondere al secondo punto è sufficiente prestare attenzione all’intera narrazione storica, intercalata da solide testimonianze. Monsignor Lefebvre ordinò quattro Vescovi perché era necessario dare una continuità alla fondazione della Fraternità San Pio X, si stava, infatti, avvicinando la fine dei giorni per il Vescovo originario di Tourcoing e, senza altri episcopi non ci sarebbe stato un futuro all’Istituzione (come avrebbero desiderato in molti), perciò, per dare un domani più certo, non si limitò alla consacrazione di un Vescovo, bensì di quattro (il cui decreto di scomunica è stato abrogato da Sua Santità Benedetto XVI nel 2009), anche perché volle rispondere al continuo procrastinare, da parte delle autorità vaticane, della stessa consacrazione. 
Grande era la preoccupazione di Monsignor Lefebvre di morire prima, lasciando allo sbando figli, seminaristi, fedeli e, soprattutto, privando la Chiesa della ricchezza della Santa Messa di sempre e della Tradizione.

Il documento-video è stato realizzato con due scopi:

1) Raccontare la vita di Monsignor Lefebvre in termini storici.
2) Spiegare i cocenti problemi maturati dentro il Concilio Vaticano II.

Tali obiettivi sono stati egregiamente raggiunti.
Se poi la vita di Monsignor Lefebvre ha molti connotati che profumano di santità (a cominciare dalle radici familiari, per poi passare all’assunzione in toto dell’abito sacerdotale, allo spirito di monaco missionario – perché oltre a sacerdote, fu anche spiritano – fino all’assunzione della grave responsabilità episcopale) e seguono i canoni di chi ascolta più la volontà e i disegni di Dio che quelli del mondo, a costo di perdere la propria faccia, la “colpa” non è né dei committenti, né del produttore, né del regista, ma è la realtà dei fatti che parla e si difende da sé: più gli anni passano e più emergono prove e riscontri che egli visse soltanto per la maggior Gloria di Dio, per servire la Chiesa e per il bene delle anime.

La «debolezza» denunciata nel commento non è presente nel Film, ma nel commento stesso. I Film-documentari non hanno e non possono avere il compito di analisi, ma sono atti ad offrire un approccio, un “assaggio” ad una data tematica, con l’intento anche di invogliare il fruitore alla ricerca, all’indagine. I sussidi per approfondire non sono mai stati (e non lo possono essere, proprio per la loro fisionomia intrinseca) i documenti-video, ma i libri, i saggi, i dibattiti.

I pregiudizi non permettono di osservare con serenità e libertà. Occorre informarsi, leggere, ricercare, non fidandosi dei «vaticanisti», ma di coloro che da anni studiano e spendono le loro ore diurne, e talvolta notturne, per la sete di comprendere.

In questo misero commento si invoca ad una maggiore «pignoleria nell’esporre le ragioni che hanno convinto mons. Lefebvre». Ma si conoscono le esigenze cinematografiche? La pignoleria non appartiene al linguaggio e alla comunicazione audiovisiva. Il Film è già molto lungo (100 minuti) e in questo tempo vengono esposti quadri atti a far capire la vita di un uomo della Chiesa che non si conosce affatto, perché su di lui sono stati seminati, per bene, i pregiudizi (e il commento a cui ci riferiamo ne è una lampante dimostrazione).

Qui non sono presenti «slogan», tantomeno «vittimismi»: è l’occhio di «Nato Stanco» che, in malafede, vede ciò che non esiste. Prima di azionare le parole, ripetiamo, occorre riflettere, ma bisogna avere anche grande rispetto di fronte a drammi storici, religiosi, umani e di coscienza di una tale portata. E, qui, il dramma è stato vissuto in prima persona anche dai Sommi Pontefici, recando una profonda sofferenza, soprattutto quella di Paolo VI, al quale la Conferenza Episcopale francese, di ispirazione decisamente progressista, dipingeva la figura di Monsignor Lefebvre come quella di un infame.

Questo Film non «tace» affatto: la codardia non può appartenere all’istituzione di un Vescovo tanto coraggioso da avere l’audacia di ribellarsi… ribellarsi - si badi bene - non al Papa e ai Sacri Palazzi (questo è ciò che appare), ma alla rivoluzione modernista (questo il vero scopo del suo agire) che era penetrata, a causa delle filosofie e teologie in voga in quegli anni, all’interno della stessa Chiesa.

Infine «dannoso» non è questo ricco, intenso, curato e articolato Film (godibile anche dal punto di vista tecnico, basti pensare a quel gradevolissimo accorgimento di mostrare nitidamente, nelle fotografie, la figura di Marcel Lefebvre, bambino, sacerdote, missionario, Vescovo, mentre tutto il resto è sfocato, per identificare subito la sua immagine), ma futili e anonimi commenti come questo, che falsano la realtà, ingannando le persone.

Cristina Siccardi

" Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia ".