lunedì 10 ottobre 2011

MONUMENTALE DISCORSO AI VESCOVI EUROPEI DI MONS.FISICHELLA

ROMA, sabato, 1 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato il 30 settembre da mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, in occasione dell’Assemblea plenaria dei Presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa, tenutasi per la prima volta in Albania, a Tirana.

Alcuni passi:

Resta, purtroppo, evidente che l’esistenza personale si costruisce ormai prescindendo dall’orizzonte di fede che è relegato a un ambito privato senza incidere nella vita delle relazioni interpersonali, sociali e civili.
Il nostro contemporaneo è fortemente caratterizzato dalla gelosia per la propria indipendenza personale.
Diventato allergico a ogni pensiero speculativo, si limita al semplice momento storico, all’attimo temporale, illudendosi che è vero solo ciò che è frutto della scienza e quindi anche lecito moralmente.
E’ precipitato in una sorta di empirismo pragmatico che lo porta ad apprezzare i fatti e non le idee. Senza alcuna resistenza cambia rapidamente il suo modo di pensare e di vivere, diventando un soggetto progressivamente più cinetico, sempre pronto cioè a sperimentare; desideroso di essere coinvolto in ogni gioco anche se più grande di lui, specialmente se lo rapisce in quel narcisismo non più neppure velato che lo illude sull’essenza della vita.
Insomma, siamo dinanzi a un’esplosione di rivendicazioni di libertà individuali che tocca la sfera della vita sessuale, delle relazioni interpersonali e familiari, delle attività del tempo libero come di quelle lavorative; pensare che questa dimensione non tocchi anche la fede è un’illusione da cui stare lontani.
La religione, infatti, non viene negata, ma pensata con un suo ruolo ben delimitato; interviene solo in parte e marginalmente nel giudizio etico e nei comportamenti. Per quanto paradossale possa sembrare, le rivendicazioni sociali sono sempre fatte in nome della giustizia e dell’uguaglianza, ma alla base si riscontra determinante il desiderio di vivere più liberi a livello individuale. A differenza del recente passato, si tollerano e si sopportano molto di più le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, piuttosto che le proibizioni che intaccano la sfera privata. Insomma, si è venuta a creare una situazione completamente nuova in cui si vogliono sostituire gli antichi valori, soprattutto quelli espressi dal cristianesimo. In un orizzonte di questo tipo, in cui l’uomo viene a occupare il posto centrale, baricentro di ogni forma di esistenza, Dio diventa un’ipotesi inutile e un concorrente da evitare. Tale svolta si è attuata in maniera relativamente facile, complici spesso una teologia debole e una religiosità fondata più sul sentimento e incapace di mostrare il più vasto orizzonte della fede.
Dio ha perso la centralità che possedeva.
La conseguenza è che l’uomo stesso ha perso il suo posto. L’eclissi del senso della vita riduce l’uomo a non sapersi più collocare, a non trovare più un posto all’interno del creato e della società. In qualche modo cade nella tentazione prometeica: s’illude di poter diventare padrone della vita e della morte, perche è lui a decidere quando, come e dove. Si vive una cultura tesa a idolatrare la perfezione del corpo, a rendere selettivo il rapporto interpersonale sulla base della bellezza e della perfezione fisica e si finisce dimenticando l’essenziale. Si cade così in una sorta di narcisismo costante che impedisce di fondare la vita su valori permanenti e solidi, per bloccarsi a livello dell’effimero. Qui, pertanto, si pone la grande sfida che attende il futuro: far comprendere che costringere al silenzio il desiderio di Dio radicato nell’intimo, non può mai far approdare alla vera autonomia dell’uomo. In questo contesto, è necessario che la nuova evangelizzazione si faccia carico di contenuti capaci di mostrare che l’enigma dell’esistenza personale non si risolve rifiutando il mistero, ma scegliendo di immettersi in esso. Questo è il sentiero da percorrere; ogni scorciatoia rischia di farci perdere nei meandri di una boscaglia, da cui e impossibile vedere sia l’uscita sia la meta da raggiungere.


L’uomo è in crisi. Non è più capace di ritrovare se stesso dopo le lusinghe cui aveva dato retta, soprattutto quando aveva creduto di aver raggiunto l’età adulta e di essere pienamente padrone di sé e indipendente da ogni autorità. Se l’opera di nuova evangelizzazione si svolgesse solo come la ripresa di una pratica religiosa sarebbe limitata e riduttiva. E’ necessario che essa entri nell’individuazione della patologia per portare una terapia efficace.
(...)
La scelta della neutralità di fronte alla religione, ideata e perseguita da molti, è il metodo più dannoso che si possa immaginare. Le religioni per l’Occidente non possono essere tutte uguali.
Non siamo in una notte oscura dove tutto e incolore. Il primato della ragione, conquistato nel corso dei secoli dalla nostra civiltà, non può appiattirsi su un egualitarismo da sabbie mobili che impedisce di discernere tra le religioni e di scegliere di riconoscere le proprie origini e l’apporto ricevuto dal cristianesimo. Vivere d’indifferenza, agnosticismo e ateismo non solo non consentirà mai di giungere a una risposta sul tema fondamentale del senso della vita, ma non permetterà neppure di centrare l’obiettivo dell’effettiva unità delle nazioni. Non è emarginando né esorcizzando il cristianesimo che si potrà forgiare una società migliore. Non potrà avvenire. Una lettura anticristiana non solo è miope, ma è sbagliata nelle sue stesse premesse. Non sarà possibile formare un’identità matura per i singoli e per i popoli prescindendo dal cristianesimo.

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