Il 5 giugno 2015 Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti
all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom),
ringraziandoli cordialmente per il servizio che rendono alla Chiesa nel
«realizzare il mandato missionario di evangelizzare le genti fino agli
estremi confini della terra». L’annuncio del Vangelo è «la prima e
costante preoccupazione della Chiesa», «il suo impegno essenziale», «la
sua sfida maggiore, e la fonte del suo rinnovamento».
Poi Francesco
continua: «Davanti ad un compito così bello e importante, la fede e
l’amore di Cristo hanno la capacità di spingerci ovunque per annunciare
il Vangelo dell’amore, della fraternità e della giustizia. E questo si
fa con la preghiera, con il coraggio evangelico e con la testimonianza
delle beatitudini».
«Per favore, state attenti a non cadere nella
tentazione di diventare una Ong, un ufficio di distribuzione di sussidi
ordinari e straordinari. I soldi sono di aiuto ma possono diventare
anche la rovina della missione… Per favore, con tanti piani e programmi
non togliete Gesù Cristo dall’Opera Missionaria, che è opera sua. Una
Chiesa che si riduca all’efficientismo degli apparati è già morta».
Parole brevi ma dure di papa Francesco e il suo richiamo non riguarda solo le Pom, ma anche tutta la
cosiddetta “animazione missionaria”, i Centri missionari diocesani, gli
Istituti missionari, le associazioni di laicato missionario.
Per capire
bene la situazione attuale e le parole di Papa Francesco, occorre
ricordare il beato padre Paolo Manna (1872-1952), che Giovanni XXIII
definiva «Il Cristoforo Colombo della cooperazione missionaria» (nel
Congresso missionario dei seminaristi, novembre 1960). Missionario in
Birmania e poi direttore di Le Missioni Cattoliche, padre Manna
ha dato una svolta all’animazione missionaria con la sua Unione
Missionaria del Clero fondata nel 1916 e assunta da san Guido Maria
Conforti, vescovo di Parma e Fondatore dei missionari Saveriani, che ha
presentato l’associazione a Benedetto XV.
Nel gennaio 1917 gli Acta Apostolicae Sedis
pubblicano l'approvazione del Papa e i giornali ne danno notizia.
Nasce
così l'Unione missionaria del Clero (Conforti presidente e Manna
segretario), che ha subito un ottimo successo in Italia e all'estero.
Nel dicembre 1917 i soci erano 1.254, fra i quali Achille Ratti (Pio XI)
e Angelo Roncalli (Giovanni XXIII); 4.035 nel 1919, 10.255 nel 1920 e
23.000 nel 1924.
Delle quattro Pontificie Opere Missionarie, tre delle quali nate nell'ottocento francese (Propagazione della
Fede 1822, Sant'Infanzia 1843 e Clero Indigeno 1889), l'Unione
missionaria del Clero (1916) è la più attuale.
A quasi un secolo dalla
sua fondazione, siamo ancora ben lontani dall'ideale di padre Manna, che
la missione alle genti sia sentita come propria da tutte le persone
consacrate e quindi da diocesi, parrocchie, seminari, ordini religiosi.
Per questo l'Unione è stata così definita da Paolo VI nella Lettera
apostolica Graves et increscentes (5 giugno 1966, nel 50° di
fondazione): «La Pontificia Unione Missionaria ha un ruolo di primaria
importanza fra le Opere Pontificie. Se è l'ultima in ordine di tempo,
non è l'ultima per il suo valore spirituale. Essa dev'essere considerata
come l'anima delle Pontificie Opere». Manna voleva un'associazione che
trasmettesse ai sacerdoti l'entusiasmo per l'ideale missionario;
animando il clero si sarebbe raggiunto tutto il popolo cristiano. In
Birmania aveva sperimentato quanto fosse necessario il denaro per
l'opera missionaria, ma sul rapporto fra "propaganda missionaria" e
denaro scriveva in due articoli mentre stava iniziando l’Unione
Missionaria del Clero: «Oggi parlare di missioni è quasi come parlare di
denaro. Se prendiamo in mano qualsiasi periodico missionario non vi
troviamo che appelli per avere denaro; si escogitano mille industrie per
tirar su soldi... Non diamo troppo valore al denaro come mezzo di
apostolato... La cooperazione missionaria non è solo questione di
denaro: è una questione squisitamente, sovranamente spirituale... è
soprattutto questione di personale. La più urgente forma di cooperazione
è di favorire le vocazioni all'apostolato, di dare operai alla Chiesa».
Un altro suo articolo è un accorato invito alla preghiera: «Non tutti possono sempre mandare soccorsi di
elemosine, tutti però possono pregare e tutti ne hanno il dovere. La
preghiera per la conversione degli infedeli è anche più importante e
necessaria dell'elemosina, in affare tanto spirituale e soprannaturale
quale è quello della conversione delle anime... Preghiamo e invitiamo
tutti i nostri parenti, conoscenti e dipendenti a pregare per questa
santissima causa di Dio e della Chiesa».
Nel 1934 Il Pensiero missionario
pubblica uno studio di padre Manna intitolato: "La cooperazione
cristiana alla conversione del mondo e l'Unione missionaria del clero".
É
il testo fondamentale per comprendere il suo pensiero e la sua passione
missionaria, se i preti non vivono la passione di portare Cristo a
tutti gli uomini, anche il mondo cristiano non potrà fare miracoli;
«Quale triste spettacolo offriamo noi sacerdoti quando, sfiduciati,
lamentiamo impotenti la deplorevole condizione di gran parte del mondo e
dei nostri stessi paesi cristiani, quasi per piangere il fallimento del
nostro ministero, il fallimento di Dio! Ma Dio non fallisce mai e non
può venir meno la Chiesa; può però fallire un ministero di uomini deboli
e inetti per un'opera sì soprannaturale e divina...».
L'Unione missionaria del clero è nata sulla base di questa convinzione: la cooperazione dei fedeli alla
missione della Chiesa è in rapporto alla fede e alla passione
missionaria dei preti. Manna grida con forza: «Una diocesi, una
parrocchia in cui si coltivino nelle anime queste divine idealità, non
perderà mai la fede e avrà l'intelligenza di ogni opera buona... Teniamo
come assioma indiscutibile - suffragato dalla prova dei fatti - che
tutto quanto si fa per le missioni, prima di arrecar bene agli infedeli,
cade in benedizioni sulle nostre cristianità; mentre al contrario, una
fede che non si propaga, o è morta o è destinata a morire... Il
risveglio missionario in tutta la Chiesa è oggi più che mai urgente».
Manna continua: «L'Unione non ha mantenuto il suo carattere originale di
associazione altamente spirituale e apostolicamente educativa, quale
deve essere secondo l'ispirazione che ne diede il Signore…
Per parlare
bene e utilmente delle missioni bisogna parlarne da apostoli, da uomini
che amano molto Dio e le anime, come ne parlano i santi missionari.
Il
frutto vero, sostanziale che l'Unione missionaria trarrà dai suoi corsi
di studi, dalle sue conferenze, sarà proporzionato allo spirito con cui
tale propaganda sarà fatta.
Parlerà lo Spirito di Dio? Si avranno
infallibilmente frutti di vita. Parlerà lo spirito dell'uomo?
Si avrà
del fracasso, ma gli interessi che si vogliono favorire non
progrediranno di un passo».
Il beato Paolo Manna è convinto che «Bisogna spiritualizzare la propaganda… La missione è opera di
fede e di grazia dello Spirito Santo, è la Pentecoste che si perpetua
attraverso i tempi... L'Unione missionaria deve essere vivificata dallo
stesso Spirito. Solo animata da Esso deve operare e produrre frutti di
salute e di vita. Guai se nell'Unione missionaria si insinua lo spirito
umano... Le missioni fanno appello al cuore dei fedeli e li spronano a
pregare ed a sacrificarsi per esse, solo se sono presentate quale cosa
del tutto divina...
Nella nostra predicazione facciamo parlare l'amore
che ha avuto Dio per il mondo, facciamo parlare il Sangue che Gesù
Cristo ha sparso per le anime, facciamo parlare la miserevole condizione
degli infedeli... sono le voci che il nostro popolo comprende meglio di
ogni altro parlare...».