Sul sito ufficiale della Curia Arcivescovile di Palermo - Ufficio IRC* - la Professoressa Lavinia Tagliaferri ha scritto  : 
 
L'Anglicanesimo- Successione Apostolica
4. La successione apostolica: una catena ininterrotta di autorità
 ...
I Dodici Apostoli sceglievano i vescovi in questo modo, quindi la persona che avevano scelto aveva il potere di ordinare nuovi vescovi a succedergli. 
E in seguito questi vescovi potevano ordinare nuove persone, e così di seguito, in una catena ininterrotta, che iniziò con Gesù e i Dodici Apostoli e continua da allora.
Prima che la Chiesa Anglicana si separasse da Roma nel 1533, gli uomini  che erano vescovi in Inghilterra erano scelti in questo modo. 
Essi erano  parte della successione apostolica.
Solo perché la Chiesa Anglicana  nel 1533 cessò di obbedire al Papa in Roma questo non implicava che  l’autorità dei vescovi scomparisse. 
Così negli anni che seguirono,  questi uomini scelsero nuovi uomini e li ordinarono quali vescovi allo  stesso modo di sempre. (Sottolineatura nostra N.d.R)
La successione apostolica continua anche oggi. 
Ogni vescovo nella Comunione Anglicana in ogni parte del mondo è stato  ordinato da altri vescovi, ed ha ricevuto il dono speciale dell’autorità  dallo Spirito Santo.
Anche altre Chiese continuano la successione  apostolica, quali la Chiesa Cattolica Romana ( ma daiiii non lo sapevamo N.d.R.) e le Chiese Ortodosse in  Grecia, Europa orientale e Russia.   (Sottolineatura nostra N.d.R)
 4.1 L’arcivescovo di Canterbury 
L'Arcivescovo di Canterbury è il capo della Chiesa d'Inghilterra (Chiesa Anglicana) e della Comunione Anglicana mondiale. 
ecc ecc
 
Com'è possibile che la Professoressa Tagliaferri non abbia accennato alla questione dell'invalidità delle ordinazioni anglicane, così chiaramente espressa dalla Bolla di Leone XIII ?  
Eppure Il Movimento di Oxford (Oxford Movement) fa parte, per lo splendore teologico ed ecumenico di cui è rivestito, della Storia della Chiesa : come può la Professoressa Tagliaferri, che scrive sul sito della Curia di Palermo, ignorare quel Movimento e con esso le tematiche strettamente congiunte alla triste e reale consapevolezza che gli Anglicani avevano aimè perso la successione apostolica? 
La sempre riconosciuta invalidità delle ordinazioni anglicane é oggi aggravata dal cosiddetto episcopato femminile. 
Gli Anglicani persero la successione apostolica non perché si  separarono da Roma, ma perché il rito usato per la consacrazione dei vescovi non  esprimeva più l'intenzione di consacrare dei vescovi, intendendo, per tali  ciò che la Chiesa ha stabilito che siano. 
L'Apostolicae Curae di Leone XIII parla  chiaro :
Lettera apostolica sulle ordinazioni anglicane.
13 settembre 1896
Leone vescovo servo dei servi di Dio a perenne memoria.
Alla   nobilissima nazione inglese Noi abbiamo dedicato una parte non piccola   della sollecitudine e della carità apostolica con cui cerchiamo in  forza  dell'ufficio di rappresentare e di imitare, col favore della sua   grazia, il grande pastore delle pecore, il Signore nostro Gesù Cristo   (Eb. 13,20). 
Peculiare testimonianza della Nostra benevolenza verso la   medesima [nazione] è la lettera che l'anno scorso abbiamo rivolto agli inglesi che cercano il regno di Cristo nell'unità della fede:   di questo popolo abbiamo ricordato naturalmente, richiamandola alla   memoria, l'antica unione con la chiesa madre, e, riacceso nelle anime lo   zelo di pregare Dio, ci siamo adoperati per portare a maturazione una   felice riconciliazione.  
E di nuovo, non molto tempo fa, quando da un   punto di vista generale e con una lettera pubblica si è voluto trattare   più ampiamente dell'unità della chiesa, non abbiamo certo dimenticato   l'Inghilterra; con la chiara speranza che i nostri documenti possano   dare fermezza ai cattolici e luce salutare ai dissidenti. 
E fa piacere   riconoscere, cosa che mette ugualmente in evidenza sia la benevolenza   della popolazione che la preoccupazione della salvezza eterna di molti,   come dagli inglesi sia stata valutata favorevolmente sia la Nostra   premura che la Nostra libertà di espressione, poste in essere senza   nessuna sollecitazione di calcolo umano. 
Ora poi con la medesima   intenzione e con lo stesso spirito Noi abbiamo deciso di rivolgere   l'attenzione ad una causa precisa di non minore importanza, che è in   linea con lo stesso problema e con i Nostri desideri. 
Presso gli inglesi   infatti, dopo un certo tempo dalla separazione dal centro dell'unità   cristiana, è stato introdotto pubblicamente, sotto il re Edoardo VI, un   rito completamente nuovo per il conferimento degli ordini sacri. 
Che  per  questo motivo sia venuto meno il vero sacramento dell'ordine, cosi  come  lo ha istituito Gesù Cristo, e contemporaneamente anche la  successione  gerarchica, fino a questo momento la sentenza comune lo ha  tenuto per  fermo, e gli atti e la costante disciplina della chiesa più  di una volta  l'hanno confermato. 
Tuttavia da qualche tempo e  soprattutto in questi  ultimi anni, si è ricominciato a discutere se le  sacre ordinazioni  compiute con il rito edoardiano abbiano o no la  natura e l'efficacia del  sacramento: danno corpo alla discussione, in  modo affermativo o  dubitativo, non solo diversi scrittori anglicani, ma  anche alcuni  cattolici, specialmente non inglesi. 
Gli uni certamente  li ha spinti la  grandezza del sacerdozio cristiano, nel desiderio di  non essere privi  della sua duplice potestà sul corpo di Cristo; gli  altri li ha spinti  l'intenzione di rendere loro in qualche modo più  facile il ritorno  all'unità. 
Gli uni e gli altri, essendo progrediti  col tempo gli studi  su questo argomento, ed essendo venuti alla luce  nuovi documenti  scritti, si sono detti persuasi che sarebbe stato  quanto mai opportuno  un nuovo esame della causa da parte della Nostra  autorità. 
Noi quindi,  non volendo assolutamente trascurare quei  consigli e quei desideri, e  soprattutto volendo assecondare la voce  della carità apostolica, abbiamo  ritenuto che non si dovesse  tralasciare nulla che in qualche modo  potesse portare ad una riduzione  dei danni o ad un accrescimento dei  vantaggi delle anime.
È  sembrato bene allora permettere, con  grandissima benignità, il riesame  della causa: e in modo tale che, con  la massima scrupolosità della  nuova inchiesta, fosse del tutto eliminata  per il futuro ogni  possibilità di dubbio.
Per questo, a un certo numero  di uomini insigni  per dottrina ed erudizione, e dei quali erano note le  contrapposte  opinioni su questo problema, abbiamo affidato il compito  di mettere per  iscritto i motivi del loro giudizio. 
Chiamatili poi  presso di Noi,  abbiamo chiesto loro di scambiarsi reciprocamente gli  scritti, e di  ricercare e valutare qualsiasi cosa che fosse meritevole  di più ampia  conoscenza per la soluzione del problema.
Abbiamo poi  stabilito che  costoro, senza limitazione alcuna, potessero riesaminare  negli archivi  vaticani gli opportuni documenti già conosciuti e rendere  pubblici  quelli non ancora noti; e che ugualmente avessero a  disposizione  qualsiasi atto su tale argomento conservato presso il sacro  Consiglio  chiamato Suprema,  come anche  tutto ciò che avessero pubblicato fino ad oggi le persone più  dotte da  una parte e dall'altra.
Abbiamo voluto che costoro, forniti di  tali  sussidi, si riunissero poi insieme in sedute particolari; se ne  sono  tenute dodici, sotto la presidenza di un cardinale della santa  chiesa  di Roma da Noi stessi designato, essendo stata data a tutti la  facoltà  di discutere liberamente. 
Gli atti infine delle loro riunioni,   unitamente agli altri documenti, abbiamo ordinato che fossero tutti   consegnati ai venerabili cardinali Nostri fratelli; così che questi,   avendo riflettuto sul problema, ed avendolo infine dibattuto in Nostra   presenza, potessero esprimere ciascuno il proprio parere.
Dopo   aver avviato questo modo di procedere, era giusto tuttavia che non si   affrontasse l'intima valutazione della causa, se prima non si fosse   esaminato con grandissima diligenza lo stato in cui essa già si trovava   secondo le determinazioni della sede apostolica e la consuetudine   consolidata; di questa consuetudine era senza dubbio estremamente   importante valutare il suo inizio e il suo valore. 
Sono stati così   esaminati prima di tutto i principali documenti con i quali i Nostri   predecessori, su richiesta della regina Maria, dedicarono particolari   premure alla riconciliazione della chiesa d'Inghilterra. 
Giulio III   infatti, designò a questo compito, come legato a latere, il cardinale   Reginaldo Pole, di nazionalità inglese, esimio per molteplici meriti, quasi suo angelo di pace e di amore, e gli assegnò compiti e poteri d'azione del tutto straordinari (ciò fu fatto nel mese di agosto 1552 con lettere pubblicate, Si ullo unquam tempore, Post nuntium Nobis   ed altre), che poi Paolo IV confermò e definì chiaramente. 
Per questo,   al fine di valutare esattamente quale importanza abbiano in sé i   documenti ricordati, è necessario stabilire, come punto di riferimento   fondamentale, che il loro proposito non fu mai astratto, ma totalmente   riferito alla specifica situazione e ad essa peculiare. 
Poiché infatti   le facoltà attribuite da quei pontefici al legato apostolico   riguardavano solo l'Inghilterra e la situazione della religione sul   posto, anche le direttive di comportamento dagli stessi assegnate al   legato inquirente, non potevano affatto avere lo scopo di determinare in   linea generale quali siano le cose in assenza delle quali le   ordinazioni sacre non sono valide; dovevano invece mirare esclusivamente   a prendere posizione riguardo agli ordini sacri in quel regno, per  quel  che mostravano le ben note condizioni dei tempi e delle  situazioni. 
Tutto questo, oltre al fatto di essere evidente per la  natura e la  modalità di quei documenti, risulta chiaramente anche per  il seguente  motivo: sarebbe stato del tutto assurdo, riguardo alle cose  che sono  necessarie per conferire il sacramento dell'ordine, volere  che fosse  istruito il legato, proprio lui, la cui dottrina aveva  brillato anche  nel Concilio di Trento.
A  coloro che bene intendono queste  cose, apparirà subito chiaro per  quale motivo nella lettera di Giulio  III al legato apostolico, scritta  1'8 marzo 1554, ci sia un distinto  riferimento prima di tutto a coloro  che, promossi secondo il rito e in modo legittimo, dovessero essere conservati nei loro ordini, e poi a coloro che non promossi ai sacri ordini potessero, se fossero stati trovati degni e idonei, essere promossi. 
Si indica infatti in modo certo e definito, come era in realtà, una   duplice categoria di persone: da una parte coloro che avessero veramente   ricevuto la sacra ordinazione, sia prima della secessione di Enrico,  o,  se anche successivamente per mezzo di ministri implicati nell'errore  e  nella separazione, tuttavia con il rito cattolico abituale;  dall'altra  coloro che fossero stati iniziati secondo l'Ordinale  edoardiano, e che  potessero quindi essere promossi,   dato che avevano ricevuto una ordinazione invalida. 
E che altro non   fosse stato il proposito del pontefice, lo conferma chiaramente la   lettera dello stesso legato del 29 gennaio 1555, che demanda le sue   facoltà al vescovo di Norwick. 
Si deve inoltre soprattutto considerare   ciò che la lettera stessa di Giulio III riporta riguardo alle facoltà   pontificie da usare liberamente, anche a vantaggio di coloro ai quali la   funzione di consacrare era stata conferita in modo non pienamente conforme al rito e senza osservare la forma consueta della chiesa:   con questa locuzione certamente venivano designati coloro che erano   stati consacrati con il rito edoardiano; al di fuori di questa forma   infatti e di quella cattolica, non ne esisteva altra in quel tempo in   Inghilterra.
Queste cose poi si  fanno più chiare ricordando la  missione che i re Filippo e Maria,  persuasi dal cardinale Pole,  inviarono a Roma, al pontefice, nel mese  di febbraio 1555. 
Gli  ambasciatori del re, tre uomini veramente insigni e forniti di ogni virtù,   fra i quali Thomas Thirlby, vescovo di Elie, avevano l'intenzione di   informare esattamente il pontefice con più complete notizie sulla   situazione della realtà religiosa in quel regno, e di chiedere che   fossero ritenute valide e confermate le cose che il legato aveva   trattato e ottenuto per la riconciliazione del medesimo regno con la   chiesa: per questo motivo furono portate al pontefice tutte le   testimonianze scritte che erano necessario, e le parti del nuovo   Ordinale che riguardavano più da vicino il problema. 
Accolta con grande   solennità l'ambasceria. Paolo IV, "dopo aver discusso diligentemente"  le  medesime testimonianze con alcuni cardinali fidati, pervenuto ad una deliberazione matura, pubblicò la lettera Praeclara carissimi   il giorno 20 giugno del medesimo anno. In questa, essendosi data piena   approvazione e conferito efficacia alle cose compiute dal Pole, così  si  prescrive a proposito delle ordinazioni: ...   coloro che sono stati promossi agli ordini ecclesiastici ... da altri e   non invece da un vescovo ordinato secondo il rito e il diritto, sono   tenuti a ricevere di nuovo ... gli stessi ordini. 
Quali poi fossero tali vescovi, ordinati non secondo il rito e il diritto,   lo avevano indicato già a sufficienza i precedenti documenti, e le   facoltà usate dal legato al riguardo: senza dubbio coloro che fossero   stati promossi all'episcopato, come agli altri ordini, senza che fosse osservata la forma consueta della chiesa, o senza che fosse osservata la forma e l'intenzione della chiesa,   come scriveva lo stesso legato al vescovo di Norwick. Questi altri poi   erano certamente quelli promossi secondo la nuova formula rituale; ad   esaminare la quale si erano attentamente impegnati i cardinali   prescelti. E non bisogna tralasciare un passo della stessa lettera del   pontefice, del tutto congruente al problema; dove, con gli altri   bisognosi del beneficio della dispensa, vengono elencati quelli che avevano ottenuto sia gli ordini che i benefici ecclesiastici in modo nullo e di fatto. Avere ottenuto gli ordini in modo nullo è la stessa cosa che con un atto invalido e con effetto nullo, cioè non validamente,   come chiarisce lo stesso significato di quella parola e il modo   consueto di parlare; soprattutto quando è affermata la stessa cosa in   ugual modo degli ordini e dei benefici ecclesiastici,   che secondo precisi istituti dei sacri canoni erano manifestamente   nulli, perché attribuiti con un vizio invalidante. A questo si aggiunge   che, essendo certuni nel dubbio su chi potesse, secondo la mente del   pontefice, dirsi ed essere realmente vescovo, ordinato secondo il rito e il diritto, questi, non molto tempo dopo, il giorno 30 ottobre, fece seguire un'altra lettera, in forma di breve e disse: Noi,   per togliere tale incertezza, e volendo adeguatamente provvedere alla   serenità di coscienza di coloro che durante lo scisma furono promossi   agli ordini, esprimendo più chiaramente il pensiero e l'intenzione che   abbiamo avuto nella Nostra lettera, dichiariamo che solo quei vescovi e   arcivescovi che furono ordinati e consacrati non nella forma della   chiesa, non possono dirsi ordinati secondo il rito e il diritto. 
Se questa dichiarazione non avesse dovuto riferirsi appositamente alla   situazione presente dell'Inghilterra, cioè al rituale edoardiano,   certamente il pontefice non avrebbe fatto la nuova lettera, con cui   "togliere l'incertezza e provvedere alla serenità di coscienza".
Del   resto, anche il legato non comprese affatto diversamente i documenti e  i  comandi della sede apostolica, e ad essi ottemperò nel modo dovuto e   con scrupolo: e ciò fu ugualmente fatto dalla regina Maria e dagli  altri  che con lei si impegnarono affinchè la religione e le istituzioni   cattoliche fossero ricondotte alla precedente situazione.
Gli   autorevoli comportamenti di Giulio III e di Paolo IV che abbiamo   richiamato, mostrano chiaramente l'inizio di quella dottrina a cui in   modo costante ci si attiene da più di tre secoli, e cioè che le   ordinazioni con il rito edoardiano sono ritenute invalide e nulle; a   questa dottrina sono poi di ampio sostegno le molte testimonianze di   ordinazioni che, anche in questa città, sono state frequentemente e   incondizionatamente ripetute secondo il rito cattolico. 
Nell'osservanza   poi di questa disciplina c'è un argomento favorevole alla tesi.  Infatti,  se qualcuno rimane ancora nel dubbio sul senso in cui debbano  essere  accolte quelle disposizioni dei pontefici, giustamente vale il  detto: la consuetudine è un'ottima interprete delle leggi.   Infatti, dato che nella chiesa si è sempre ritenuto in modo fermo e   stabile che la reiterazione del sacramento dell'ordine fosse contro il   diritto divino, non avrebbe potuto verificarsi in nessun modo che la   sede apostolica sopportasse e tollerasse tacitamente una tale   consuetudine. 
Orbene non solo non l'ha tollerata, ma ha anche sempre   valutato e sanzionato in modo univoco ogni volta che nella medesima   situazione si è dovuto giudicare un qualche evento particolare. 
Presentiamo ora due eventi di tal genere, tra i molti che sono stati   deferiti di volta in volta alla Suprema: uno nell'anno 1684, di un   calvinista francese, il secondo nell'anno 1704, di Giovanni Clemente   Gordon; entrambi avevano ricevuto gli ordini secondo il rituale   edoardiano. Nel primo caso, dopo un'accurata indagine del problema,   molti consultori misero per iscritto i loro responsi, i cosiddetti voti,   e gli altri concordarono con loro in un'unica sentenza, per l'invalidità dell'ordinazione:   tenendo quindi conto soltanto dell'opportunità, piacque ai cardinali   rispondere: Rinviata. Gli stessi atti poi sono stati ripetuti e   riesaminati nel secondo caso: sono stati per questo richiesti nuovi voti   dei consultori, si sono interrogati dottori famosi fra quelli della   Sorbona e di Kilmacduagh, e non si è trascurata nessuna risorsa di più   perspicace competenza nell'esaminare profondamente la cosa. E deve   essere tenuto presente che, anche se lo stesso Gordon, di cui si   trattava, come pure alcuni consultori, abbiano addotto anche quella   ordinazione, come si riteneva, di Parker fra le cause di rivendicazione della nullità,   tuttavia, nella sentenza che doveva essere promulgata, quella causa è   stata totalmente trascurata, come palesano documenti di fede certa, e   nessun'altra ragione è stata considerata se non il difetto di forma e di intenzione.   Riguardo poi a questa forma, affinchè il giudizio fosse più completo e   più sicuro, si era fatto in modo di avere davanti un esemplare   dell'Ordinale anglicano; e anche con questo sono state confrontate le   singole forme di ordinazione, ricavate dai vari riti degli orientali e   degli occidentali. Quindi Clemente XI, con i voti favorevoli dei   cardinali ai quali spettava, proprio lui personalmente, venerdì 17   aprile 1704, decretò: "Giovanni Clemente Gordon di nuovo e senza condizioni   sia ordinato a tutti gli ordini sacri e particolarmente al   presbiterato, e poiché non aveva ricevuto la confermazione, riceva per   primo il sacramento della confermazione". 
La sentenza, e questo deve   assolutamente essere tenuto presente, non attribuì nessuna importanza   alla mancanza di consegna degli strumenti: in quel caso infatti, sarebbe stato prescritto secondo la consuetudine che fosse disposta una ordinazione sotto condizione. 
Si deve poi soprattutto considerare che la medesima sentenza del   pontefice si riferisce in modo generale a tutte le ordinazioni degli   anglicani. 
Anche se ha riguardato una situazione particolare, tuttavia   non ha preso le mosse da una qualche ragione particolare, ma da un vizio di forma,   vizio dal quale sono colpite tutte quelle ordinazioni: al punto che,   tutte le volte che in seguito si è dovuto decidere in situazioni simili,   sempre ci si è riferiti al medesimo decreto di Clemente XI.
Stando   così le cose, non c'è nessuno che non veda come la controversia oggi   suscitata sia già stata definita da molto tempo dalla sede apostolica:   senza conoscere quei documenti in modo adeguato, come sarebbe stato   necessario, è accaduto forse che un qualche scrittore cattolico non   abbia dubitato di poter discutere liberamente al riguardo. 
Però, dato   che, come abbiamo dichiarato all'inizio, non c'è nulla per Noi di più   caro e gradito che poter essere utili con la più grande indulgenza e   carità agli uomini rettamente disposti, abbiamo ordinato di indagare di   nuovo con la massima cura nell'Ordinale anglicano, che è il fondamento   di tutta la causa.
Nel rito di conferimento e di amministrazione di qualsiasi sacramento, si distingue giustamente fra la parte cerimoniale e la parte essenziale, che si è soliti chiamare materia e forma. 
Tutti sanno che i sacramenti della nuova legge, in quanto segni   sensibili ed efficaci della grazia invisibile, debbono significare la   grazia che producono, e produrre la grazia che significano. 
Questa   significazione, anche se deve essere contenuta in tutto il rito   essenziale, nella materia cioè e nella forma, appartiene però   particolarmente alla forma, dato che la materia è parte di per sé non   determinata, che per mezzo di quella viene determinata. 
E questo, in   modo ancora più esplicito, appare nel sacramento dell'ordine, la materia   del cui conferimento, quale si manifesta in questo luogo, è   l'imposizione delle mani, che di per sé poi non significa nulla di   definito, e viene usata ugualmente per tali ordini e per la   confermazione.
Ora poi, le parole  che fino a questi ultimi  tempi vengono ovunque usate dagli anglicani  come forma propria  dell'ordinazione presbiterale, e cioè: "ricevi lo  Spirito Santo", non  significano affatto in modo determinato l'ordine  del sacerdozio, o la  sua grazia e potestà, che in particolare è la  potestà di consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del Signore (Concilio tridentino Sess. XXIII, de sacr. Ord. can. I, Denz. 1771), con quel sacrificio che non è una pura commemorazione del sacrificio compiuto sulla croce (Ib. Sess. XXII, de sacrif. Missae, can.3, Denz. 1753). 
Tale forma poi è stata arricchita più tardi con le parole: per la funzione e il compito di presbitero. 
Ma questo dimostra piuttosto che gli anglicani hanno visto loro stessi   che quella prima forma era imperfetta e non idonea alla situazione.
La   stessa aggiunta però, se anche fosse in grado di apportare alla forma   il legittimo significato, è stata introdotta troppo tardi, quando ormai   era trascorso un secolo dalla ricezione dell'Ordinale edoardiano, e   quando proprio per questo, essendosi estinta la gerarchia, la potestà di   ordinazione era ormai nulla. Inutilmente poi ultimamente si è cercato   un aiuto alla causa dalle altre preghiere dell'Ordinale. 
Infatti, anche   tralasciando tutto ciò che nel rito anglicano le dimostri  insufficienti  allo scopo, valga solo questo argomento fra tutti: dalle  stesse è stato  tolto di proposito tutto ciò che nel rito cattolico  designa chiaramente  la dignità e le funzioni del sacerdozio. 
Non può  dunque essere adatta e  sufficiente al sacramento quella forma che passa  sotto silenzio quello  che dovrebbe propriamente significare.
Le cose stanno allo stesso modo per quanto riguarda la consacrazione episcopale. 
Infatti, alla formula ricevi lo Spirito Santo, non solo sono state aggiunte troppo tardi le parole per la funzione e il compito di vescovo,   ma anche riguardo alle medesime, come subito diremo, si deve giudicare   altrimenti che nel rito cattolico. 
E non aiuta certo la causa il   richiamare la preghiera del prefazio Onnipotente Dio, dal momento che è ugualmente priva delle parole che dichiarano il sommo sacerdozio. 
In verità, non giova a nulla a questo proposito, esaminare se   l'episcopato sia un completamento del sacerdozio, o un ordine distinto   da quello; o se conferito, come si dice, per salto,   cioè ad un uomo che non sia sacerdote, abbia effetto oppure no. 
Ma lo   stesso [episcopato] senza dubbio appartiene con assoluta verità al   sacramento dell'ordine, secondo l'istituzione di Cristo, ed è sacerdozio   di grado supremo; questo appunto, dalla voce dei santi padri e dalla   nostra consuetudine rituale, è dichiarato sommo sacerdozio, pienezza del sacro ministero. 
Dal momento che il sacramento dell'ordine e il vero sacerdozio di   Cristo è stato totalmente eliminato dal rito anglicano, e che nella   consacrazione episcopale del medesimo rito in nessun modo è conferito il   sacerdozio, proprio da questo consegue che anche l'episcopato non può   essere in alcun modo veramente e giustamente conferito; e questo tanto   più perché tra i primi doveri dell'episcopato c'è appunto quello di   ordinare i ministri per la santa eucaristia e il sacrificio.
Tuttavia,   per la retta e piena valutazione dell'Ordinale anglicano, oltre a ciò   che è stato osservato su alcune sue parti, nulla vale sicuramente  quanto  il considerare attentamente in quali circostanze sia stato  composto e  pubblicamente costituito. 
Sarebbe lungo enumerare le singole  cose, e non  è necessario: la storia di quel tempo infatti, dice  abbastanza  chiaramente quali fossero i sentimenti degli autori  dell'Ordinale nei  confronti della chiesa cattolica, quali fautori si  associassero dalle  sette eterodosse, dove infine dirigessero i loro  progetti. 
Ben sapendo  infatti quale vincolo esista fra la fede e il  culto, fra la legge del credere e la legge del pregare,   con il pretesto di reintegrare la sua forma primitiva, hanno alterato   in molti modi l'ordinamento della liturgia secondo gli errori dei   novatori. 
Per questo, in tutto l'Ordinale, non solo non c'è nessuna   chiara menzione del sacrificio, della consacrazione e della potestà del   sacerdote di consacrare e di offrire il sacrificio; ma anzi, cosa di  cui  sopra ci siamo occupati, sono state deliberatamente eliminate e   distrutte tutte le tracce di queste cose che fossero rimaste nelle   preghiere non completamente rifiutate del rito cattolico. Così si   manifesta da sé il nativo carattere e lo spirito, come si dice,   dell'Ordinale. 
Di qui poi, avendo portato con sé l'errore fin   dall'inizio, se non ha potuto avere in nessun modo validità nella   pratica delle ordinazioni, neppure in futuro, con il passare del tempo,   essendo rimasto il medesimo, potrà avere valore. 
Ed hanno agito   inutilmente quelli che, fin dai tempi di Carlo I, hanno cercato di   introdurre qualcosa del sacrificio e del sacerdozio, avendo fatto   qualche aggiunta all'Ordinale; e ugualmente si dà da fare inutilmente   quella parte non certo molto grande di anglicani costituitasi in tempi   recenti, che ritiene che lo stesso Ordinale possa essere compreso e   ricondotto ad un significato sano e retto. Inutili, noi diciamo, sono   stati e sono questi tentativi: e ciò anche per questo motivo, perché, se   alcune parole dell'Ordinale anglicano, come ora si trova, si  presentano  in modo ambiguo, non possono assumere il medesimo senso che  hanno nel  rito cattolico. 
Infatti, come abbiamo visto, una volta  cambiato il rito  con cui veramente si è negato o corrotto il sacramento  dell'Ordine, e  dal quale è stato ripudiato qualsiasi concetto di  consacrazione e di  sacrificio, non ha più nessuna consistenza il Ricevi lo Spirito Santo, Spirito che viene infuso nell'anima con la grazia del sacramento; e non hanno alcuna consistenza le parole per la funzione e il compito di presbitero o di vescovo, e quelle simili, che restano nomi senza la realtà che Cristo ha istituito.
Moltissimi   fra gli stessi anglicani, interpreti più fedeli dell'Ordinale, hanno   ben conosciuto la forza di tale argomento; e questa apertamente   oppongono a coloro che interpretando in modo nuovo lo stesso [Ordinale],   con vana speranza attribuiscono agli ordini con esso conferiti il   valore e la forza che non hanno. 
Con questo medesimo argomento cade   anche l'opinione di coloro che dicono che come legittima forma   dell'ordine possa essere sufficiente la preghiera Onnipotente Dio, largitore di tutti i beni,   che si trova all'inizio dell'azione rituale; anche se forse potrebbe   essere ritenuta sufficiente in un qualche rito cattolico che la chiesa   avesse approvato. 
Con questo intimo vizio di forma, dunque, è congiunto un vizio dell'intenzione,   che il sacramento, per poter essere, richiede in modo ugualmente   necessario. Riguardo alla disposizione o intenzione, essendo di per sé   qualcosa di inferiore, la chiesa non giudica; ma dal momento che si   manifesta all'esterno, deve giudicarla. Ora poi, quando qualcuno per   compiere o conferire un sacramento, ha adoperato seriamente e   giustamente la materia e la forma dovute, proprio per questo si ritiene   che egli abbia inteso certamente fare ciò che fa la chiesa. 
Su questo   principio si fonda la dottrina che tiene per fermo che è veramente un   sacramento anche quello che è compiuto mediante il ministero di un   eretico o di un non battezzato, purché con il rito cattolico. 
Al   contrario, se il rito viene cambiato per introdurne un altro non   approvato dalla chiesa, e per respingere ciò che fa la chiesa e che   appartiene alla natura del sacramento secondo l'intenzione di Cristo,   allora è chiaro che manca non solo l'intenzione necessaria al   sacramento, ma che c'è anzi una intenzione contraria e opposta al   sacramento.
Tutte queste cose a  lungo e ripetutamente le  abbiamo considerate fra Noi e coi Nostri  venerabili fratelli giudici  nella Suprema, l'assemblea dei quali Ci è  piaciuto convocare presso di  Noi in modo straordinario il venerdì 16  luglio, nella commemorazione di  Maria, nostra Signora del Carmelo. 
Costoro concordemente hanno convenuto  che la causa proposta già da  tempo era stata conosciuta e giudicata  dalla sede apostolica e che,  istruita e trattata poi di nuovo la sua  discussione, era emerso nel  modo più chiaro con quale forza di giustizia  e di sapienza [la sede  apostolica] aveva deciso l'intera problematica. 
Abbiamo tuttavia  ritenuto che la cosa migliore da farsi fosse il non  pronunciare subito  una sentenza, per meglio valutare l'utilità e il  vantaggio di una nuova  dichiarazione sul medesimo argomento in virtù  della Nostra autorità, e  per implorare supplici una più copiosa  abbondanza di luce divina. 
Avendo poi Noi considerato che lo stesso  capitolo dottrinale, anche se  giustamente già definito, è stato da  certuni rimesso in discussione,  qualunque sia poi il motivo di questa  nuova discussione; e che da  questa situazione avrebbe potuto nascere  facilmente un pericoloso  errore per i non pochi che pensano di trovare  il sacramento dell'Ordine  e i suoi frutti dove invece non ci sono. 
Ci è  sembrato bene nel  Signore di rendere pubblica la Nostra sentenza.
Pertanto,   approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori su   questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza   della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. 
Noi   dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito   anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle.
Rimane questo: con lo stesso nome e con lo stesso animo del grande pastore   con cui ci siamo adoperati per dimostrare la verità assoluta di una   realtà così importante, vogliamo dare coraggio a coloro che con volontà   sincera desiderano e ricercano i benefici degli ordini e della   gerarchia. 
Forse fino ad ora, pur ricercando l'ardore della cristiana   virtù, riflettendo più devotamente sulle divine Scritture, raddoppiando   le pie preghiere, si sono tuttavia arrestati, incerti e inquieti, di   fronte alla voce di Cristo che già da tempo esorta interiormente. Vedono   già esattamente che Colui che è buono li invita e li vuole. Se   ritornano al suo unico ovile conseguiranno veramente sia i benefici   richiesti, sia i rimedi della salvezza che ne conseguono, e di cui egli   stesso ha fatto ministra la chiesa, quasi custode perpetua e   amministratrice della sua redenzione fra le genti. Allora veramente attingeranno l'acqua con gioia dalle fonti del Salvatore,   i suoi meravigliosi sacramenti; da questi le anime fedeli, rimessi   veramente i peccati, sono restituite all'amicizia di Dio, sono nutrite e   rafforzate con il pane celeste, e con gli aiuti più grandi pervengono   al raggiungimento della vita eterna. Assetati realmente di tali beni, il Dio della pace, il Dio di ogni consolazione,   voglia benigno con questi ricolmarli e appagarli. Vogliamo poi che la   Nostra esortazione e i Nostri desideri riguardino soprattutto coloro  che  sono considerati ministri della religione nelle loro comunità. Gli   uomini che per l'ufficio stesso sono superiori in dottrina e autorità, e   ai quali senza dubbio sta a cuore la gloria divina e la salvezza delle   anime, vogliano mostrarsi particolarmente alacri e obbedire a Dio che   chiama, e dare di sé un chiarissimo esempio.
Certamente  la  madre chiesa li accoglierà con gioia specialissima e li abbraccerà  con  ogni bontà e con ogni cura, perché una più generosa forza d'animo  li ha  ricondotti al suo seno attraverso ardue difficoltà. 
Per tale  forza, è  impossibile dire quale lode sia loro riservata nelle assemblee  dei  fratelli per l'orbe cattolico, quale speranza e fiducia davanti a  Cristo  giudice, quali premi da lui nel regno celeste! Noi poi, per  quanto sarà  possibile, con ogni mezzo, non cesseremo di favorire la  loro  riconciliazione con la chiesa; dalla quale e i singoli e gli  ordini,  cosa che desideriamo con forza, possono prendere molto per  imitarla. 
Frattanto preghiamo tutti e supplichiamo per le viscere di  misericordia  del nostro Dio affinchè cerchino fedelmente di assecondare  l'abbondante  flusso della verità e della grazia divina.
Noi  poi decretiamo  che la presente lettera, con tutte le cose in essa  contenute, non potrà  mai in nessun tempo essere censurata o impugnata  per vizio di surrezione  o di orrezione o di intenzione Nostra, o per un  qualsiasi altro  difetto; ma che sarà ed è sempre valida e in vigore, e  che deve essere  osservata infallibilmente da tutti, di qualsiasi grado  e onore, nel  giudizio e fuori; dichiarando anche invalido e nullo se  mai capitasse  che fosse portato contro di essa un attacco,  consapevolmente o  inconsapevolmente, da chiunque e con qualsiasi  autorità o pretesto,  nonostante qualsiasi cosa contraria.
Vogliamo  poi che alle  copie di questa lettera, anche stampate, sottoscritte  però dalla mano di  un notaio e munite del sigillo da un uomo costituito  in dignità  ecclesiastica, si debba la medesima fiducia che si avrebbe  alla  manifestazione della Nostra volontà mediante l'ostensione di  questa  presente.
Roma, presso San Pietro, 13 settembre dell'anno dell'incarnazione del Signore 1896, anno XIX del Nostro pontificato. 
Leone XIII
*** 
Da Famiglia Cattolica prendiamo una piccola parte del pregevole studio sull'invalidità delle ordinazioni anglicane :  
"L'esame delle consacrazioni dei primi vescovi avvenute al  tempo di Elisabetta ha pure rivelato delle grandi oscurità; tutto fa  indurre che esse avvennero alla chetichella, non volendosi da una parte  allarmare i cattolici e dar motivo alle loro proteste, le quali  avrebbero messo in evidenza le enormità che succedevano, e dall'altra  esasperare le fazioni, già anche troppo facinorose. Da tale mistero  l'origine di una quantità di favole e di leggende, di cui quella più  celebre è la «fabula tabernaria», secondo la quale Parker sarebbe stato consacrato di notte in una taverna, da vescovi senza insegne e con cerimonie strane.
Ma  il difetto delle ordinazioni anglicane non era soltanto d'indole  cronologica o in lacune rituali gravissime; la Lettera Apostolica ne  ricercava ragioni più profonde, nella carenza, cioè, dell'intenzione, la  quale deve concorrere col rito a fare ciò che la Chiesa intende fare; e  ciò collo scopo di provare e dimostrare agli anglicani che non  solamente tale intenzione non vi fu, ma ve ne fu una del tutto  contraria: quella cioè di non fare ciò che la Chiesa cattolica intende  generalmente fare.
Quindi difetto di forma e di intenzione. Per  la chiara intelligenza di cotesta non facile materia, ritengo sia  necessario ricordare al lettore che nel rito di tutti i sacramenti vi  sono due parti nettamente distinte: il cerimoniale, che può essere  mutabile nel tempo ed è diverso a seconda delle varie Chiese, perché non  è parte essenziale al compiersi del sacramento; un'altra parte, invece,  è essenziale ed immutabile, costituita alla sua volta dai due elementi  di materia e forma: la materia è la cosa sensibile di cui si fa uso per  significare il sacramento, per esempio l'acqua nel battesimo, la forma  consiste nelle parole colle quali si eleva la cosa sensibile alla  funzione spirituale di segno pratico della grazia, e sono atte quindi a  produrre un determinato effetto interiore e spirituale. Dice S. Agostino  scultoriamente: «Si aggiunge la parola all'elemento (materiale) e ne  nasce il sacramento».
Quindi  è evidente che le parole sacramentali non devono esser vaghe e  imprecise, ma devono avere un significato ben determinato, che,  congiunto ad una data materia sensibile, costituisca un segno pratico e  tangibile che il sacramento è compiuto; da ciò ne viene che ogni  sacramento deve avere una forma tutta propria, ed anche una materia  distinta e particolarmente opportuna.
Ora, nel sacramento  dell'Ordine la materia, per costante tradizione da tutti accettata,  anglicani compresi, sta nel fatto della imposizione delle mani, la quale  viene impiegata in tutti e tre i gradi dell'Ordine: diaconato,  presbiterato ed episcopato; perciò occorre che sia accompagnata da  parole di differenziazione, significanti particolarmente il carisma  donato e la potestà trasmessa, per cui la potestà conferita è piuttosto  l'una che l'altra.
Quando tale determinazione non si verifica, sorge il difetto di forma, che è appunto la grave lacuna lamentata nell'«Ordinale»  edoardiano, e ciò proprio contrariamente alle consuetudini di tutte le  antiche liturgie sia latine che slave, paleoslave e delle altre Chiese  autocefale d'Oriente.
In quanto al vizio d'intenzione, esso non è  meno evidente, prescrivendosi dal Concilio di Trento che «se vi sia chi  sostenga che nei ministri, nell'atto di conferire il sacramento, non  sia necessaria l'intenzione di fare almeno ciò che la Chiesa intende di  fare, sia anatema». Quindi  l'intenzione è importantissima e gli stessi anglicani lo ammettono. La  Chiesa poi la suppone senz'altro implicitamente nel ministro che faccia  atti sacramentali, anche se egli ne è indegno e non si trovi in stato di  grazia; donde la validità degli atti sacramentali nei ministri  scismatici delle varie Chiese separate, che però abbiano conservata la  successione apostolica.
Ma l'«Ordinale»  edoardiano, scostandosi deliberatamente dal rito cattolico, fa uso di  una forma incompleta e insolita, escludente la significazione cattolica,  per cui il celebrante non può non essere conscio di non operare «almeno  ciò che la Chiesa intende di fare».
Tutto ciò è poi aggravato dalle circostanze che accompagnarono la redazione dell'«Ordinale» e che precisano veramente quale fosse la mens dei riformatori: infatti i famosi «39 Articoli di Religione»,  carta fondamentale delle credenze della Chiesa stabilita, e che ogni  ministro giura prima di accedere agli Ordini, sono espliciti. Dei  sacramenti soltanto due sono ammessi: il Battesimo e la Cena; degli  altri, la Confermazione seguitò ad essere praticata come una  consuetudine ed un modo di immettere in un grado distinto del laicismo,  il Matrimonio fu considerato come una benedizione nuziale, la Penitenza  abolita del tutto e l'Estrema Unzione non altro che una pratica  devozionale; e ciò col pretesto che gli uni originavano da una cattiva  imitazione di atti compiuti dagli Apostoli, gli altri erano da  considerarsi piuttosto stati di vita approvati nella Sacra Scrittura che  sacramenti, onde in nessun modo potevano dirsi «istituiti da Dio», come il Battesimo e la Cena.
In quanto alla Messa, nessun anglicano può negare che nei «39 Articoli» si dichiari esplicitamente: «I  sacrifici delle Messe, che si dicevano offerti dal sacerdote in  remissione della pena o della colpa per i vivi o per i morti, sono  finzioni blasfeme e perniciose imposture».
Quindi, fedele a tali premesse, l'«Ordinale» edoardiano aveva soppresso tutto ciò che potesse far supporre la realtà di tali «blasfeme imposture», come la consacrazione con i sacri olii, la consegna degli strumenti, e financo evitando i vocaboli di «sacerdozio,  sacerdote, altare, sacrificio». Perciò è evidente che nella mente del  riformatore non vi era affatto l'idea di fare dei veri sacerdoti  mediante l'ordinazione, ridotta a mera cerimonia simbolica.
Gli anglicani di tutto ciò non potevano non essere convinti e consapevoli. Il vicario di Exton, infatti, nell'«Echo»  scriveva proprio in quei giorni di così accese discussioni: «Noi non  crediamo vi siano Ordini nel senso cattolico e consideriamo  l'imposizione delle mani come una semplice e formale ammissione nel  ministero di una denominazione qualunque. Nella Chiesa episcopale  (anglicana) noi riceviamo l'ufficio di ministrare al popolo  dall'ufficiale capo, il vescovo... Nella nostra Chiesa non esistono né  vescovi, né sacerdoti, né sacrifici... Noi siamo soltanto ministri, come  i nostri fratelli delle Chiese dissidenti (i protestanti)».
«Con la riforma - scrive un altro «clergyman» sul «The  Rock» - i capi della Chiesa d'Inghilterra si separarono deliberatamente  ed effettivamente dalla Chiesa di Roma, ripudiando il suo insegnamento  sul sacerdozio e sull'episcopato, e perciò non ebbero mai,  nell'ordinare, alcuna intenzione di conferire il sacerdozio,  considerando il sacerdotalismo come ingiuria al sacerdozio di  Cristo...».
E il vescovo anglicano di Liverpool, Dr. Ryle:  «L'ecclesiastico della Chiesa romana è un vero prete, il cui principale  ufficio è di offrire il sacrificio della Messa; per contro,  l'ecclesiastico anglicano in nessun modo è prete: sebbene sia così  chiamato, egli è soltanto un presbytero» (cioè un anziano).
L'arcidiacono di Liverpool, Dr. Taylor, aggiungeva: «È un fatto storico che dall'"Ordinale" del 1550 non solo fu esclusa per l'ordinazione la formula sacrificante "accipe potestatem offerre sacrificium",  ma altresì ogni traccia dell'idea di sacrificio e di sacerdozio; è vero  che vi è conservata la parola "prete", ma le funzioni e le  manifestazioni proprie del prete sono svanite».
E tante altre  ragioni profondamente liturgiche e sostanzialmente teologiche sarebbero  da aggiungersi, se non esulassero dai limiti che ci siamo imposti e che  del resto il lettore sollecito può facilmente trovare nella notissima lettera leoniana.Non  sono però da omettersi i giudizi e la pratica della Santa Sede  all'epoca della Riforma, quando tanti elementi ora mal noti erano nel  dominio di tutti e quindi facilmente sindacabili.
Tra le varie  facoltà del Card. Polo, Legato di Giulio III, vi era quella di  «riabilitare» o semplicemente di «abilitare» al sacro ministero gli  ecclesiastici che lo avevano esercitato al tempo dello scisma di Enrico e  dell'eresia di Edoardo; la riabilitazione riguardava soltanto coloro  che, caduti nell'errore, erano però stati validamente ordinati;  l'abilitazione invece serviva a quelli che non lo erano stati «per non  essere stata osservata la consueta forma della Chiesa». Costoro, «se  degni ed idonei», dovevano dai propri vescovi «essere promossi agli  Ordini sacri e al presbiterato», cioè dovevano essere riordinati, perché  considerati tuttora laici.
Un altro dato di fatto conferma tale  modo di procedere. La regina Maria, nel 1555, aveva spedito a Paolo V  un'ambasciata composta dal vescovo di Thirbly e da due gentiluomini per  appianare tutte le divergenze in corso e domandare la «conferma della  dispensa per le ordinazioni e le promozioni di ecclesiastici, sia  secolari che regolari, i quali, durante lo scisma, le avevano ottenute  con nullità (cioè invalidamente)». Segno, essere notoria in quel tempo  la posizione di tali presunti ecclesiastici. Difatti nell'Archivio  Vaticano esistono tuttora le relazioni comprovanti che in  quell'occasione l'ambasciatore aveva sottoposto l'«Ordinale» all'esame  della Santa Sede, appunto a prova della necessità di tale dispensa.
Fu  infatti in base alle concessioni romane che la regina dispose  testualmente: «In quanto a coloro che già furono promossi a qualche  Ordine secondo il modo di ordinare novellamente fabbricato, considerando  che veramente e di fatto non furono ordinati, il vescovo diocesano, se  idonei e capaci, può sopperire a ciò che ad essi è mancato prima». Alla  sua volta il Cardinale Polo, appena giunto in Inghilterra, aveva  decretato che coloro i quali «male Ordines susceperunt» venissero riordinati, perché «non servata forma et intentione Ecclesiae», e Paolo IV alla sua volta conferma tutte le decisioni del suo Legato, facendo propri gli stessi decreti del grande Cardinale.
Senonché,  giunta la bolla di Paolo IV e pubblicatala in Inghilterra il 22  settembre 1555, sorse ancora un dubbio sui vescovi scismatici, e quindi  se costoro dovessero ritenersi «rite et recte ordinati».  Ma a tale dubbio il Papa stesso, con suo breve del 20 ottobre, rispose  nettamente che «soltanto quei vescovi e arcivescovi ordinati e  consacrati non secondo la forma della Chiesa, non possono essere  considerati rettamente e validamente ordinati».
Inoltre,  dell'attività del Card. Polo in quel senso la documentazione è  amplissima, anche in una sua lettera ai sovrani inglesi del 24 dicembre  1557, in cui egli annunzia di aver già dispensato e di essere disposto a  dispensare ancora coloro i quali per difetto di giurisdizione (cioè per  causa della supremazia regale, come origine di potere) avevano ottenuti  Ordini e benefici con nullità; in altra lettera al vescovo di Norwich  del 29 gennaio 1555, insieme con altre facoltà, elargisce a quel vescovo  anche quella di accettare le ordinazioni degli ecclesiastici già  ordinati da vescovi scismatici, purché avvenute secondo il rito  cattolico, cioè «Ecclesiae forma et intentione servata»;  che invece gli ordinati secondo l'«Ordinale» dovessero considerarsi  nulli e quindi gli ecclesiastici in parola doversi riordinare.
Ma  quale fosse la mente della Santa Sede in quei frangenti e in quegli  anni appare non meno esplicita dalle domande alle quali gli  ecclesiastici erano tenuti a rispondere, tra le altre, per essere  riabilitati o abilitati, se cioè fossero stati ordinati otto anni prima,  in quanto avanti il 1547, vigendo il Pontificale Romano, nessun dubbio  potea esservi sulla validità delle ordinazioni.
La regina Maria  seguì fedelmente le disposizioni apostoliche, dimettendo dalle loro sedi  tutti i vescovi ordinati col rituale edoardiano e ciò con regolare  processo di cui esistono tuttora gli atti. Del Dr. Taylor per esempio si  legge «privato per nullità di consacrazione», e di Harley «deposto per  matrimonio, eresia e nullità di consacrazione», ecc.
A tutte  coteste prove della continuità di indirizzo seguita dalla corte romana  si può aggiungere che fin dal principio furono riordinati ex novo,  quasi fossero laici, quei vescovi e sacerdoti che tornavano  dall'anglicanesimo alla fede romana e desideravano entrare negli Ordini  sacri. Di tali casi soltanto dal 1555 al 1558 ben 14 vengono ricordati  dai registri episcopali inglesi di quel tempo, senza calcolare quelli  numerosi avvenuti fuori, in Francia, nelle Fiandre e in Roma stessa.
Quindi  la Lettera leoniana non lasciava nessun punto controverso, e la  documentazione ne era amplissima; ed infatti l'eco da essa suscitata in  Inghilterra fu enorme." 
***
Non si riesce a comprendere perchè nel sito dedicato agli Insegnanti della Religione Cattolica della Curia Arcivescovile di Palermo siano state scritte delle cose che, per la loro stessa natura, sono facilmente confutabili sia dal punto di vista storico che teologico.
In particolar modo questa frase è completamente contrasta con le verità di fede della Santa Chiesa Cattolica :  
"Solo perché la Chiesa Anglicana  nel 1533 cessò di obbedire al Papa in Roma questo non implicava che  l’autorità dei vescovi scomparisse. Così negli anni che seguirono,  questi uomini scelsero nuovi uomini e li ordinarono quali vescovi allo  stesso modo di sempre.
La successione apostolica continua anche oggi.  
Ogni vescovo nella Comunione Anglicana in ogni parte del mondo è stato  ordinato da altri vescovi, ed ha ricevuto il dono speciale dell’autorità  dallo Spirito Santo.
Anche altre Chiese continuano la successione  apostolica, quali la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse in  Grecia, Europa orientale e Russia. (Sottolineatura nostra N.d.R)
 
 "Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofano: dal Dizionario di Teologia Dogmatica". 
ORDINAZIONI ANGLICANE: si dicono quelle ordinazioni fatte nella chiesa 
scismatica inglese secondo il rito edoardiano, ossia a norma 
dell'«Ordinale» promulgato, dietro istigazione di Cranmer, da Edoardo 
VI, l'anno 1550, nel quale, ritenuta l'imposizione delle mani, la forma 
fu ridotta a queste parole: «Ricevi lo Spirito Santo. I peccati che 
rimetterai saranno rimessi, quelli che riterrai saranno ritenuti. Sii 
fedele dispensatore della parola di Dio e dei suoi santi sacramenti». 
  Dopo maturo esame storico e teologico Leone XIII nel 1896 con la Bolla «Apostolicae Curae»
 dichiarò solennemente che tali ordinazioni sono invalide «irritae 
prorsus omninoque nullae» (DB. 1866). Le ragioni cui si appoggia il 
Pontefice sono tanto la mancanza della debita forma e dell'intenzione da
 parte del ministro come la dichiarazione di Paolo IV.
  La forma infatti omette studiosamente ogni parola che indichi facoltà 
di offrire il sacrificio, che è il principale potere conferito dal 
sacramento dell'ordine (vedi Ordine e Materia e Forma). Da tale 
illegittimo mutamento della forma logicamente si deduce la mancanza 
d'intenzione da parte del ministro, perché chiunque muta volontariamente
 un rito stabilito da Cristo nella collazione di un sacramento, mostra 
di non voler fare quanto Cristo stesso ha istituito e la Chiesa 
fedelmente ripete (vedi Intenzione).
  D'altronde è storicamente accertato che gli autori del rito edoardiano
 volevano escludere assolutamente tutto ciò che si riferiva alla Messa; 
dunque avevano un'intenzione diametralmente opposta a quella di Cristo 
che istituì l'ordine allo scopo principale di rinnovare il sacrificio 
eucaristico.
  Onde Paolo IV fin dal 1555, con la Bolla «Praeclara carissimi» e con 
il Breve «Regimini universalis», dichiarò nulli gli ordini conferiti 
secondo l'ordinale edoardiano; dichiarazione che tracciò la norma 
costantemente seguita dai suoi successori.
  Ora, discendendo tutta la gerarchia anglicana da Matteo Parker, che fu
 consacrato vescovo secondo il rito edoardiano, è assolutamente priva 
dell'ordine sacro e del carattere annesso.
 
 
la Professoressa che scrive sull'IRC di Palermo ne sarà a conoscenza?
* Cos'è l'IRC? ( QUI tutta la scheda )
L'Insegnamento  della Religione Cattolica è una disciplina scolastica a tutti gli   effetti. Non è mossa da finalità catechistiche, ma si qualifica come  proposta  culturale offerta a tutti, credenti e non.In tal  senso, pur essendo  indirizzata in particolare ai credenti, si propone  come insegnamento che va  oltre le personali scelte di fede, essendo  prioritaria la sua vocazione  culturale: decidere di avvalersi  dell'Insegnamento della Religione Cattolica per  un ragazzo non  significa dichiararsi cattolico, ma piuttosto scegliere una  disciplina  scolastica che si ritiene abbia un valore per la crescita della  persona  e la comprensione della realtà in cui siamo inseriti.