martedì 30 giugno 2015

« Unirsi alla mia preghiera per don Salvatore, accettando il misterioso disegno di Dio a noi non sempre comprensibile»

E’ deceduto oggi don Salvatore Mellone, lo ricordate? 
Era il seminarista di Trani, malato terminale, che desiderava essere prete anche solo per un giorno.
Era stato ordinato dopo la telefonata di Papa Francesco
E’ deceduto oggi, malato terminale e sacerdote novello. Fonti molto vicine alla famiglia del giovane sacerdote pugliese ne comunicano la notizia.
Il 16 aprile scorso, Salvatore, 38 anni, era stato ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di Trani Mons. Giovan Battista Pichierri che ha deciso di abbreviare l’iter. L’ordinazione è avvenuta presso la casa del seminarista, che non si poteva muovere a causa della sua salute.

Appena ordinato sacerdote, don Salvatore aveva mantenuto fede ad un impegno: benedire Papa Francesco.   

Infatti, proprio Papa Francesco nel corso di una telefonata, gli aveva raccomandato: “La prima benedizione che darai da sacerdote la impartirai a me!“.
Salvatore, che era entrato nel Seminario regionale di Molfetta nel 2011, si è ammalato durante il secondo anno, ma non ha mai pensato di lasciare i suoi studi. Anzi. Aveva manifestato al Vescovo la sua intenzione di concludere il suo cammino vocazionale con l’ordinazione presbiterale: «Anche un solo giorno da presbitero sarebbe per lui la realizzazione del progetto di Dio sulla sua persona», si legge in una lettera di mons. Pichierri. 

«Col cuore profondamente commosso e lancinato comunico che il seminarista Salvatore Mellone, della Parrocchia del SS. Crocifisso di Barletta, alunno del Seminario regionale di Molfetta, per una grave malattia è in uno stadio terminale», prosegue il Vescovo. 
«Salvatore mi ha manifestato il suo vivissimo desiderio di poter coronare il suo cammino vocazionale con l’ordinazione presbiterale; anche un solo giorno da presbitero sarebbe per lui la realizzazione del progetto di Dio sulla sua persona. 
Salvatore, anche nella malattia, ha vissuto intensamente la sua preparazione al sacerdozio, per cui ritengo opportuno, nell’esercizio dei miei diritti e doveri di arcivescovo, di ordinarlo presbitero, per dare gloria alla SS. Trinità e per l’edificazione del nostro presbiterio e del popolo di Dio».
Mons. Pichierri ha anche chiarito l’iter che ha portato all’ordinazione accelerata: «Ho consultato previamente la Congregazione del Clero che ha confermato il mio proposito di procedere all’ordinazione presbiterale; anche il Rettore del Seminario Regionale di Molfetta ha dato il suo parere favorevole in merito; e i presbiteri diocesani che ho potuto sentire mi hanno confortato con il loro beneplacito. 
Salvatore riceverà i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato il 14 aprile. ore 16,00, l’ordine sacro del Diaconato il giorno successivo e il 16 aprile il Presbiterato sempre alle ore 16,00, nel corso di celebrazioni eucaristiche nella propria abitazione».

L’arcivescovo conclude la sua lettera con un invito « unirsi alla mia preghiera per don Salvatore, accettando il misterioso disegno di Dio a noi non sempre comprensibile».

 
Fonte : Aleteia  

domenica 28 giugno 2015

Festa dei Santi Pietro e Paolo "La fede e la sua pratica ci provengono dal Signore attraverso la Chiesa" (J.Ratzinger)

Oggi è la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, occasione moralmente obbligatoria per riaffermare a voce alta nelle piazze e nelle strade della vita la nostra filiale e totale identificazione nella Santa Romana Chiesa, nostra Madre,  e nel Papa, nostro Padre, che ne è il fondamento visibile nell'amore e nella carità.

L’apostolo Pietro è stato posto da Gesù Cristo a capo e fondamento della Sua unica Chiesa con queste esplicite parole: « Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. 
Et tibi dabo claves Regni coelorum. 
Quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in coelis. Et quodcumque solveris super terram erit solutum et in coelis » (Matteo 16, 18-19)

Gesù preannunciò a Pietro anche quale sorte gli sarebbe toccata, per testimoniare la fede; il martirio in croce, come il Maestro:

Gesù gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (Giovanni 21, 17-19).

Il martirio di Pietro avvenne nella persecuzione di Nerone, scatenata dopo l’incendio di Roma voluto dallo stesso imperatore, nell’anno 64, ma della quale furono incolpati ingiustamente i cristiani. (Tacito, Annales, XV, 44).

Il capo degli apostoli venne crocifisso nel colle Vaticano, dove oggi sorge la Basilica di S. Pietro.

"Lasciamo però da parte adesso la figura di Pietro e concentriamoci su quella di Paolo
Il suo martirio viene raccontato per la prima volta dagli Atti di Paolo, scritti verso la fine del II secolo. 
Essi riferiscono che Nerone lo condannò a morte per decapitazione, eseguita subito dopo (cfr 9,5). 
La data della morte varia già nelle fonti antiche, che la pongono tra la persecuzione scatenata da Nerone stesso dopo l’incendio di Roma nel luglio del 64 e l’ultimo anno del suo regno, cioè il 68 (cfr Gerolamo, De viris ill. 5,8). 
Il calcolo dipende molto dalla cronologia dell’arrivo di Paolo a Roma, una discussione nella quale non possiamo qui entrare. Tradizioni successive preciseranno due altri elementi. 
L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Aquae Salviae, sulla Via Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l'uscita di un fiotto d'acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi “Tre Fontane” (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello, del secolo V)
L’altro, in consonanza con l'antica testimonianza, già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo “fuori della città... al secondo miglio sulla Via Ostiense”, ma più precisamente “nel podere di Lucina”, che era una matrona cristiana (Passione di Paolo dello Pseudo Abdia, del secolo VI)
Qui, nel secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente ampliata tra il secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio. 
Dopo l’incendio del luglio 1823, fu qui eretta l’attuale basilica di San Paolo fuori le Mura.

In ogni caso, la figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. 
Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. 
Mentre tra i cosiddetti “ebioniti” – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. 
Vorrei prescindere ora dalla letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. 
Così, grazie a questa “presenza” nelle celebrazioni liturgiche della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.

E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si siano nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. 
Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. 
Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. 
Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto di lui sette Panegirici memorabili. 
Sant'Agostino dovrà a lui il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. 
Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia della grazia, che è rimasta fondamentale per la teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. 
San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell'esegesi medioevale. 
Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. 
Il momento decisivo nella vita di Lutero, fu il cosiddetto «Turmerlebnis» (forse 1517), nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. 
Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. 
Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo-cristiano, condannato dall'Apostolo, con l'ordine di vita della Chiesa cattolica. 
E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. 
Il Concilio di Trento (1545 - 1563) interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la vera sintesi tra Legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità." Benedetto XVI, Udienza Generale 4 febbraio 2009

Immagine : Scuola Ecclesia Mater

venerdì 26 giugno 2015

Teramo : i nostri Fratelli che "si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare"

Domenica 28 giugno i cari fratelli teramani, auto-concentrati nel piccolo paese montano di Faieto , celebreranno l'ultima Messa nell'antico rito romano ( la cosiddetta forma extraordinaria della Liturgia Cattolica) perchè anche il sacerdote, supplente da due anni dei commissariati Francescani dell'Immacolata che nel frattempo hanno   dovuto lasciare la bella Teramo, è stato esonerato da ogni incarico in Diocesi.
L'Antifona d'Introito della Messa della quinta domenica dopo la Pentecoste , che coincide appunto con il 28 giugno, inizia con uno dei versetti biblici più conosciuti dal popolo “Exaudi Domine, vocem meam(Ps 26,7.9.1).
Per fede noi sappiamo che “Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini” .
Prima o poi Egli rivolgerà il Suo sguardo misericordioso anche sui quei bravi fedeli teramani che hanno commesso, e forse lo stanno ancora facendo , errori su errori sia pur in buonissima fede.
Messainlatino ha proposto  un collage di post dedicati alla "questione" teramana.
Il nostro affetto (ed ammirazione) nei confronti dei "capi" del gruppo teramano non ci esonera tuttavia dalla critica per la gestione fallimentare e infruttuosa della loro vicenda "missa antiqua".
Come dei bambinetti essi si sono lasciati sedurre da alcune chimere volgendosi alle fiabe piuttosto che fissare lo sguardo sulla bella realtà del Magistero della Chiesa che  ai gruppi legati all'antica Liturgia dona   tre diamanti preziosi  : Summorum Pontificum- Universae Ecclesiae-Parrocchia .
Abbiamo più volte notato un'  abitudine tipica dei Francescani dell'Immacolata, prima del commissariamento :  cullare i loro fedeli più fedeli in una specie di limbo permanentemente fanciullesco senza farli crescere come uomini e donne liberi e responsabili " per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male" (Mt 5,38-42)
Ecco alcuni "risultati" di quell'impostazione:
- si bada più alla persona del Consacrato piuttosto che all'Ideale liturgico; 
- c'è un evidente incapacità di muoversi come adulti nell'ambito ecclesiastico con quella dignità di membri maturi della medesima ecclesia
- persiste un pre-adolescenziale disorientamento nell'impugnare d'istinto le armi della fede e del Magistero per la necessaria "praesidia militiae christianae".
Di quà l'errore più vistoso commesso dai fedeli/bambini teramani ( immessi, lo ripetiamo, dagli educatori  francescani dell'Immacolata nell' illogica condizione fanciullesca ) :  essi non hanno confidato appieno della forza del Magistero che si chiama Summorum Pontificum- Universae Ecclesiae-Parrocchia preferendo  i loro chimerici balletti.
Adunque prima ancora di augurarci che il Signore Onnipotente ascolti la voce di quei bravi fedeli ( “Exaudi Domine, vocem meam” ) vogliamo con  cuore di amici e di fratelli supplicare la Divina Provvidenza affinchè "illumini i loro cuori".
Il Papa ci esorta ci uscire dalla "cultura del provvisorio" scappando dalla " sabbia dei sentimenti che vanno e vengono" per ancorarci "sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio".
Confidiamo tutti nella materna protezione della Madonna Santissima, Madre della Chiesa, che ci indica sempre l'unica via da seguire : il Magistero con i suoi insegnamenti e i suoi decreti. Perchè " i precetti del Signore danno gioia" e " la legge del Signore è perfetta rinfranca l'anima" !
Buona maturazione a tutti : in primis a coloro che scrivono ed anche a coloro che leggono.

Andrea Carradori

giovedì 25 giugno 2015

Il Papa "In Europa, bisognosa di svegliarsi"

Papa: Chiesa costruisce ponti, ma non si lascia colonizzare da pensieri forti

 La Chiesa costruisce ponti ma non si lascia colonizzare dai pensieri forti di turno: è quanto ha detto il Papa alla Comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica che prepara i sacerdoti al servizio diplomatico della Santa Sede. 

Ce ne parla Sergio Centofanti:
La Santa Sede – ha ricordato il Papa ai sacerdoti che la rappresenteranno nel mondo – “è la sede del Vescovo di Roma, la Chiesa che presiede nella carità, che non si siede sul vano orgoglio di sé” ma “sul coraggio quotidiano dell’abbassamento del suo Maestro. La vera autorità della Chiesa di Roma è la carità di Cristo”:
Questa è la sola forza che la rende universale e credibile per gli uomini e il mondo; questa è il cuore della sua verità, che non erige muri di divisione e di esclusione, ma si fa ponte che costruisce la comunione e richiama all’unità del genere umano; questa è la sua segreta potenza, che alimenta la sua tenace speranza, invincibile nonostante le momentanee sconfitte”.
Papa Francesco invita i sacerdoti futuri diplomatici a “non lasciarsi inaridire” o “svuotare dal cinismo” ma a coltivare la memoria di Gesù:
Non siete chiamati ad essere alti funzionari di uno Stato, una casta superiore auto-preservante e gradita ai salotti mondani, ma ad essere custodi di una verità che sostiene dal profondo coloro che la propongono, e non il contrario”.
La missione dei rappresentanti della Santa Sede è dunque quella di diventare “ponti”, sconfiggendo “la presunta superiorità dello sguardo che impedisce l’accesso alla sostanza della realtà, la pretesa di sapere già abbastanza” e superando “i propri schemi di comprensione, i propri parametri culturali, i propri retroterra ecclesiali”. 

Quindi il Papa aggiunge:Il servizio al quale sarete chiamati, richiede di tutelare la libertà della Sede Apostolica, che per non tradire la sua missione davanti a Dio e per il vero bene degli uomini non può lasciarsi imprigionare dalle logiche delle cordate, farsi ostaggio della contabile spartizione delle consorterie, accontentarsi della spartizione tra consoli, assoggettarsi ai poteri politici e lasciarsi colonizzare dai pensieri forti di turno o dall’illusoria egemonia del mainstream.
I rappresentanti pontifici svolgeranno questa missione in tutti i continenti:
In Europa, bisognosa di svegliarsi; in Africa, assetata di riconciliazione; in America Latina, affamata di nutrimento e interiorità; in America del Nord, intenta a riscoprire le radici di un’identità che non si definisce a partire dalla esclusione; in Asia e Oceania, sfidate dalla capacità di fermentare in diaspora e dialogare con la vastità di culture ancestrali”.
Infine il Papa invita i futuri diplomatici ad essere “pastori autentici” e ad avere il coraggio di scostarsi “dai margini di sicurezza di quanto già si conosce e gettare le reti e le canne da pesca in zone meno scontate, senza adattarsi a mangiare pesci preconfezionati da altri”. 

 

Fonte : Radio Vaticana

martedì 23 giugno 2015

Rusconi "SAN GIOVANNI/20 GIUGNO: CE N'EST QU'UN DEBUT, CONTINUONS LE COMBAT"

SAN GIOVANNI/20 GIUGNO: CE N’EST QU’UN DEBUT, CONTINUONS LE COMBAT - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 21 giugno 2015

Sabato 20 giugno un popol s’è desto. Da una folla immensa e colorata un grande sì alla famiglia e un inequivocabile ‘No pasaran’ all’indottrinamento gender e ai disegni di legge Cirinnà, Scalfarotto e Fedeli. Sarà ascoltata? Un duro richiamo alla realtà per il segretario generale della Cei Galantino, per i vertici di CL, per l’associazionismo cattolico collaterale al potere e per il governo del ‘cattolico’ Renzi.


Dagli atri muscosi, dai fori cadenti (…) un volgo disperso repente si desta/intende l’orecchio/solleva la testa/percosso da novo crescente romor…  E’ il coro del III atto dell’ ‘Adelchi’, tragedia di Alessandro Manzoni sul crollo del dominio longobardo in Italia e il conseguente ‘risveglio’ popolare, appena giunta notizia della sconfitta del re Desiderio ad opera del futuro Carlo Magno presso Susa. Fatte le debite distinzioni storiche, sabato 20 giugno piazza san Giovanni ha visto il risveglio inatteso di un popolo fin qui ufficialmente irrilevante per i grandi massmedia e per i Palazzi del potere, un po’ come è accaduto in Francia con gli esordi clamorosi della ‘Manif  pour tous’. Un popolo di tutte le età convenuto dalle Alpi alla Sicilia con la precisa volontà di sfidare l’avanzata della truce macchina da guerra del pensiero unico in materia di famiglia, vita ed educazione. Che s’è trovato a sfidare anche quel po’ po’ di acqua che il cielo (con la c minuscola) ha scaricato su piazza San Giovanni per quaranta minuti prima dell’inizio dell’incontro: quale altra manifestazione non si sarebbe dispersa? Invece le decine di migliaia già presenti in piazza hanno steso teli impermeabili sui passeggini, hanno stretto a sé i bimbi, si sono protetti alla bell’e meglio con ombrelli improvvisati e hanno avuto perfino la forza di cantare: anche il nubifragio s’è dovuto arrendere alla volontà di chi c’era.
Ce n’est qu’un début, continuons le combat (non è che un inizio, la battaglia continua): il celebre slogan del ’68 francese (poi ripreso anche dalla Manif pour tous transalpina), è una realtà: non sarà facile smobilitare la folla di piazza san Giovanni, cosciente di aver dato il primo, grande avvio a una stagione che si preannuncia lunga e combattuta. Le prime reazioni della nota lobby e dei suoi conniventi parlano un linguaggio violento, totalitario: manifestazione inutile e odiosa, piazzata omofoba, un salto nella preistoria. Anche: Ho visto un’Italia medievale (Cirinnà, prima firmataria del disegno di legge per il ‘matrimonio gay’), Una manifestazione inaccettabile (Il sottosegretario Scalfarotto, primo firmatario del disegno di legge liberticida ‘contro l’omofobia’). Non è finita: c’è chi vaneggia (Franco Grillini) del complotto gender completamente inventato nelle stanze vaticane. La piazza piena brucia e dunque le reazioni sono di una arroganza pari alla dolorosa sorpresa. Accresciuta, tale sorpresa, dal fatto che il nubifragio aveva fatto ben sperare la nota lobby e i suoi conniventi in un flop clamoroso della manifestazione. Insomma: dall’esultanza allo scoramento condito di una rabbia direttamente proporzionale alle illusioni maturate nel primo pomeriggio.

L’IRA FUNESTA DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, IL CASO DI “AVVENIRE”. SI INCOMINCIA A PARLARE DI DIMISSIONI 
Molto stizzita anche la reazione del segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, che ha lavorato tanto (ma proprio tanto) perché la manifestazione neppure nascesse e ha poi tentato di soffocarla in culla. Galantino si è sentito preso di mira da un passo dell’intervento di Kiko Arguello: “Sembra che il segretario generale della Cei (Galantino, già citato in precedenza da Arguello) abbia detto altro, ma il Santo Padre sta con noi”. Subito il nuovo portavoce della Cei, il mite don Ivan Maffeis, è stato ‘precettato’ e ha dovuto rilasciare una dichiarazione molto dura verso Arguello: “Kiko Arguello si è reso protagonista di una caduta di stile gratuita e grave. Contrapporre il Papa alla Cei, e in particolare al suo segretario generale, è strumentale e non veritiero”. C’è dell’altro. Il quotidiano ufficiale della Cei, ormai marcato a uomo da Galantino, non solo ha pressoché ignorato la manifestazione fino all’altro giorno. E sabato 20 ha pubblicato un commento del direttore, in cui – già nel titolo a tutta pagina e nel sommato – si esprimeva “qualche paura”. Quale? Che la manifestazione brandisse a mo’ di “battaglia” (termine odiatissimo dai cultori della ‘bandiera bianca’) termini come padre e madre. Stamattina, domenica 21, “Avvenire” ha fatto ancora di meglio. In prima pagina l’articolo principale è dedicato alla lotta all’azzardo, con commento. L’editoriale alla strage di Charleston, negli Stati Uniti. A centro pagina una grande foto per la visita del Papa a Torino. Sulla destra un richiamo con foto più piccola alla manifestazione: già nelle poche righe in prima pagina si è voluto inserire la frase: “Unica nota stonata la polemica pretestuosa di Kiko Arguello”. Dentro, a pagina 9 (!) l’articolo di cronaca, un altro articolo dal titolo “La festa felice di chi non è contro” (NdR: dev’essere un’ossessione quel ‘non essere contro) e un commento siglato “Avvenire” dal titolo “Grande, bella e pacifica (con un po’ di zizzania)”, in cui si legge: “Peccato solo per la pretestuosa e presuntuosa polemica di un oratore, uno solo: Kiko Arguello. Ha ceduto al vizio di emulare e assecondare chi cerca di seminare zizzania nella Chiesa. Peccato, davvero”. “Avvenire”, meritevole di tante lodi su battaglie antropologiche fondamentali per la dignità umana, sul 20 giugno è stato oggettivamente penoso e sta suscitando una forte indignazione in molti cattolici. Quanto scritto da “Avvenire” è il ringraziamento di Galantino a chi ha voluto caparbiamente (e c’è pienamente riuscito) portare in piazza centinaia di migliaia di cattolici per difendere la famiglia e contrastare il pensiero unico del gender. Forse il segretario generale della Cei, un vescovo-pilota perdipiù perdente, non sa che un pastore deve avere addosso l’odore delle pecore (ma allora legga meglio papa Francesco!). Galantino distingue palesemente tra le pecore di serie A, quelle docili e pronte a ogni compromesso sui valori fondamentali dell’uomo (pur di non guastare i rapporti con il governo di cattolici à la carte e poltronisti) e quelle che invece restano con forte volontà fedeli alla dottrina sociale della Chiesa, manifestandolo pubblicamente e dunque visibilmente davanti all’intera comunità. Più d’uno sabato pomeriggio si chiedeva se non sia ormai il caso che il segretario generale incominci a pensare alle dimissioni (o venga consigliato in tal senso) per ripetuta e manifesta incapacità di comprendere una parte consistente del suo popolo.

UN DURO RICHIAMO AI VERTICI DI CL E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE DI MASSA 
La manifestazione del 20 giugno si è rivelata un avvertimento molto doloroso anche per i vertici odierni di CL (ivi compreso lo stesso don Carron). La non adesione - motivata dalla curiosa opinione che le adunate di piazza non sarebbero mai servite e non servirebbero a niente - è stata letteralmente ignorata da decine di migliaia di ciellini. Quando dal palco Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, ha detto che “se fosse ancora vivo, oggi don Giussani sarebbe qui insieme con noi”, dalla piazza si è levato un vero boato di approvazione. C’è materia dunque per riflettere ai piani alti di CL.
Duro il richiamo anche per le altre associazioni e movimenti cattolici di massa assenti a piazza San Giovanni, dall’Azione cattolica a Rinnovamento nello Spirito, dai Focolarini agli scout dell’Agesci (che, come è noto, in alcune centinaia dopo aver sentito il Papa a San Pietro sono andati ad applaudire il Gay pride con tanto di cartelli politicamente corretti), dalle Acli a tutte quelle aggregazioni meno numerose ma molto influenti, a partire dalla Comunità di Sant’Egidio. Forse i vertici di tali associazioni avranno incominciato a capire che c’è un mondo cattolico, numericamente molto rilevante, che non è disposto ad alzare bandiera bianca per presunte convenienze ecclesiali o politiche.

LE DIFFERENZE CON IL ‘FAMILY DAY’ del 2007
La piazza di ieri era diversa da quella del ‘Family Day’ del 2007. Che è stato un grande successo, ma fondato su premesse differenti. Nel 2007 è la Cei, grazie all’azione intelligente e tempestiva del cardinale Ruini, che ha stimolato (oltre che finanziato) la partecipazione della gran parte del mondo associazionistico. In quell’occasione “Avvenire”, diretto da Dino Boffo, aveva preparato con continuità, ricchezza di contributi e incisività l’appuntamento del 12 maggio. Erano stati coinvolti direttamente anche il mondo politico e quello sindacale di area cattolica.
Sabato 20 giugno 2015 invece la manifestazione è stata convocata da un Comitato di laici temerari (razionalmente c’erano molti dubbi sulla riuscita dell’evento), nato il 2 giugno precedente, dunque diciotto giorni prima. In tale lasso di tempo, i promotori -ignorati dai grandi massmedia fin quasi all’ultimo, sostanzialmente osteggiati dalla segreteria generale della Cei e da “Avvenire”, disdegnati dai vertici delle grandi associazioni cattoliche salvo il movimento neocatecumenale, avendo l’appoggio solo di qualche cardinale e vescovo coraggiosi -  sono riusciti a portare in piazza una folla enorme di cattolici. Un vero ‘miracolo laico’, preparato attraverso centinaia di incontri svoltisi in tutta Italia sul tema del gender e dei disegni di legge in corso di esame parlamentare e organizzati in particolare da Massimo Gandolfini (portavoce della manifestazione), dalla ‘Croce’ di Mario Adinolfi, da “Notizie pro-vita”, dai Giuristi per la Vita di Gianfranco Amato, da Alleanza cattolica. E’ giusto aggiungere che il Comitato non è stato sponsorizzato da nessuno: anche la richiesta a Tremitalia di poter usufruire di un biglietto scontato sui treni, come l’azienda ha sempre fatto in casi analoghi, è stata respinta. Ognuno ha dunque pagato di tasca propria e si è sobbarcato in diversi casi viaggi notturni, lunghi e faticosi per poter raggiungere quella Roma in cui si è dovuto confrontare poi anche con i torrenti d’acqua che scendevano dal cielo. Qui una grande lode va anche a chi ha curato con successo i non facili aspetti tecnici dell’organizzazione, come Nicola Di Matteo e Maria Rachele Ruiu.

ANALOGIE E DIFFERENZE CON LA ‘MANIF POUR TOUS’ FRANCESE
Dapprima diverse analogie. La Manif pour tous è sbocciata in Francia in poco tempo. A novembre 2012 le prime manifestazioni con decine di migliaia di persone, a gennaio 2013 la prima adunata di massa a Parigi con oltre un milione di persone. La Manif pour tous è stata ignorata per mesi dai poteri massmediatici, fino a quando non è stato più possibile nascondere il fenomeno. Che allora è stato, bon gré mal gré, evidenziato, ma nel contempo accusato di “omofobia”, di “arretratezza culturale” proprio come hanno fedelmente testimoniato le prime reazioni italiane della nota lobby e dei suoi conniventi alla grande testimonianza di piazza San Giovanni. Non solo: si è cercato nel contempo di togliere credibilità alla Manif francese, irridendone i promotori. Il che sta accadendo puntualmente pure in Italia. Ancora: si è tentato di minimizzarne l’impatto sull’opinione pubblica (e però le foto e i video parlano da sé…), sostenendone l’inutilità. Altra analogia: la Manifè stata organizzata da laici, in buona parte cattolici. Ma nella Manif erano presenti anche persone di altre confessioni e religioni, oltre a non credenti. Proprio come sabato a San Giovanni: dal palco hanno parlato (suscitando grandi applausi) anche l’imam Mohamed di Centocelle (in nome della comunità islamica di Roma), l’evangelico Giacomo Ciccone (in nome della grande maggioranza del protestantesimo italiano), il rappresentante di varie etnie presenti a Roma. Molto gradito il messaggio del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, letto dal palco (data l’impossibilità di partecipare fisicamente essendo sabbath), sulla necessità di non lasciarsi travolgere dalle nuove ideologie antropologicamente sovversive. Un’ulteriore analogia: la presenza di persone omosessuali. Dal palco è stato letto il messaggio (anch’esso applaudito più volte a scena aperta) inviato dall’associazione Genitori e amici di persone omosessuali (Agapo), in cui si sostiene con forza che il disegno di legge Cirinnà “non fa il bene degli omosessuali” in genere e in particolare “dei nostri figli”, che sarebbero spinti alla “confusione”. Nel testo si sostiene che “il ‘matrimonio gay’ non ha senso sul piano antropologico” e costituirebbe “una grave ingiustizia sul piano sociale”. Altro messaggio letto: quello del presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Un’ultima analogia: la Chiesa di Francia, se ha stimolato con il cardinale Ving-Trois alla riflessione sull’argomento e con il cardinale Barbarin è voluta essere sempre presente agli appuntamenti della Manif, in genere non l’ha appoggiata, tenendosene assai distante nella maggioranza dei vescovi e delle associazioni cattoliche tradizionali.
Una differenza – enorme – però c’è: la Maniffrancese è sbocciata troppo tardi, quando alcune leggi liberticide erano già in vigore. La Manif italiana invece è ancora in tempo per bloccare i disegni di legge frutto dell’ideologia totalitaria del gender. Ora naturalmente, se al Comitato “Difendiamo i nostri figli” spetta di prefigurare rapidamente nuovi modi di intervento, per i parlamentari cattolici il compito è quello di agire immediatamente e incisivamente a Palazzo Madama e a Palazzo Montecitorio. Si deve dire che i segnali dai ‘cattolici’ del Pd, quelli delle continue mediazioni a basso prezzo, non sono incoraggianti. E neppure quelle dei ‘cattolici à la carte’ di Palazzo Chigi. Occorre insistere, come ha chiesto più volte coralmente la piazza, sul ‘no’ chiaro e inequivocabile ai disegni di legge Cirinnà e Scalfarotto e a quello Fedeli sulle ‘pari opportunità’, a meno che da quest’ultimo non venga tolto l’emendamento che prescrive l’indottrinamento gender nelle scuole. E’ interessante notare che la piazza ha accompagnato con un boato di disapprovazione la citazione delle “autorità istituzionali” che non hanno accettato l’invito a essere presenti. E con un boato di disapprovazione ancora maggiore la citazione  (da parte di Mario Adinolfi) del sottosegretario Scalfarotto, che in tempo reale ha definito “inaccettabile” la manifestazione.
Altra differenza: la presenza massiccia in particolare di un movimento cattolico, il Cammino neocatecumenale. In Francia invece i gruppi aderenti erano tanti e in genere minuscoli, poi naturalmente molto cresciuti. A Piazza San Giovanni si è levato un altro boato quando alle 15.20 – dieci muniti prima dell’inizio della manifestazione - si è affacciato sul palco Kiko Arguello, che si è presentato con poche parole: “Buonasera a tutti! Alla battaglia! Coraggio!”. Ancora una volta: complimenti al Cammino neocatecumenale che ha ritenuto fondamentale scendere in piazza hic et nunc, qui e ora, per cercare di impedire che il pensiero unico entri nella città di soppiatto, grazie ai conniventi e ci metta tutti con le spalle al muro.

SUL PALCO L’ICONA DELLA ‘SALUS POPULI ROMANI’ 
Oltre al logo della manifestazione sulla destra del palco, in alto, è stata affissa la copia di una icona particolarmente cara ai romani (e molto cara anche al Papa): quella della Salus populi romani, conservata in Santa Maria Maggiore: “E’ il saluto di Roma a tutti quelli che vengono da fuori”, ha detto Massimo Gandolfini.

QUALCHE SPUNTO DALLA MANIFESTAZIONE 
Da Cagliari. Usciamo verso le 12.30 da casa a Piazza Bologna e vediamo una colonna di persone con la bandiera dei Quattro Mori. Da dove venite? Da Cagliari. In quanti siete? Almeno in duecento. Come raggiungete piazza San Giovanni? A piedi, sono quasi cinque chilometri. Una signora in carrozzella: Io sono su gomma. E se dovesse piovere forte come previsto? Fa bene una rinfrescata. Questo lo spirito della manifestazione. 
Metropolitana. Scendiamo alla metropolitana: vagoni già pieni. Tante chitarre. Siete neocatecumenali? Come fa a saperlo? Si ride. Da dove? Da Palermo. Quanti siete? Trecento. Giungiamo a Termini e si cambia. La banchina della metro A è già piena di bresciani, anche di cremonesi (siamo ciellini). Arriva il convoglio, un vagone straripa  di marchigiani, da Macerata. Un buon inizio, no? 
Striscioni e cartelli. Sulla piazza, prima che scoppi il nubifragio, facciamo in tempo ad annotare i contenuti di alcuni striscioni e cartelli, intanto che risuonano i canti dei gruppi neocatecumenali. Centinaia di bandiere della Manif rosa e azzurre su modello francese. ‘Manif’ da Empoli (oltre cento). Difendiamo i nostri figli, no al gender nelle scuole. Maschio e femmina Dio li creò. Tutti nascono da mamma e papà. Nella famiglia il futuro dell’Italia. Citazioni dell’articolo 26 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (quello sul diritto prioritario dei genitori per l’istruzione dei figli) e degli articoli 29 e 30 della Costituzione italiana (famiglia naturale, educazione dei figli). Mamma e papà, aiuto! No al disegno di legge Cirinnà (grande striscione della Manif pour tous). L’ideologia gender è più pericolosa dell’Isis. Teoria gender?No grazie. Sulle unioni omosessuali, Renzi, chi siamo noi per arrogarci il diritto di procreare in modo artificiale bambini orfani? Dalla sana educazione dipende la felicità di una Nazione (frase di san Giovanni Bosco).
Dal palco. La folla si estende a perdita d’occhio, non si riesce a intravvederne la fine. Grappoli umani si abbarbicano alla grande statua di san Francesco.
Oratori 1. Massimo Gandolfini introduce e spiega l’ideologia gender e un video che presenta il Papa mentre parla di ‘colonizzazione ideologica’ e chiede di “agire contro”. La famiglia Aquino racconta in breve la sua esperienza di educazione dei figli (11). La giornalista e scrittrice Costanza Miriano illustra con linguaggio colloquiale la differenza tra maschio e femmina nella quotidianità: “I figli sono generati, non comprati!”
Oratori 2. Dopo un bel video della Manif pour tous, parla l’avvocato umbro Simone Pillon: “E’ da tanto tempo che aspettavamo questa piazza! Il combattimento gigantesco che stiamo conducendo non è contro le persone, ma contro le ideologie! Noi ci siamo alzati in piedi! L’Italia ha un compito insostituibile, è l’ultimo baluardo di un’antropologia scritta nell’uomo” (boato della piazza). La famiglia Sergio Angori racconta poi l’esperienza della figlia che, in seconda media, ha avuto una docente che ha propagandato per tutto l’anno l’ideologia del gender.
Oratori 3. Subito un boato per il presidente dei Giuristi per la Vita Gianfranco Amato: “Non è vero che in questa piazza non ci sono le istituzioni, perché – secondo la Costituzione – la sovranità appartiene al popolo”. E “il popolo è qui per dire: Basta!”. Purtroppo “oggi viviamo in una democrazia totalitaria che sta tentando per legge di imporre l’ideologia gender. Occorre opporsi a ogni tentativo in tal senso” (boato). Amato cita ancora il Papa (“colonizzazione ideologica”, paragone con la “gioventù hitleriana”). Poi definisce la manifestazione “il primo grande atto collettivo di resistenza contro l’imposizione della dittatura del pensiero unico da parte di una lobby che non ha niente a che vedere con il popolo” (boato). Ricorda un passo del discorso di Winston Churchill del giugno 1940 per la resistenza al nemico nazista. E aggiunge: “Noi combatteremo nelle scuole, nelle piazze, nelle cabine elettorali” (boato). “Non ci arrenderemo mai! Mai mai!” (boato)
Oratori 4. Tocca poi all’ex-sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, presidente dei Comitati “Sì alla famiglia” tener vive le emozioni della folla. Mantovano ricorda le “tante bombe sulla famiglia”, buttate sul popolo italiano in poco tempo: dal divorzio breve a quello facile (“Si impiega più tempo a disdire l’abbonamento telefonico che non a divorziare”), la fecondazione eterologa, la selezione genetica degli embrioni, il disegno di legge Cirinnà (travolto da un doppio, possente coro di ‘no!’). “Forza, coraggio e speranza!” conclude Mantovano (boato).
Oratori 5. Dopo un video molto chiaro sulla relazione tra madre e figlio, tocca a Mario Adinolfi , direttore de “La Croce”. Già abbiamo detto dell’accenno a Scalfarotto, sepolto dalla disapprovazione corale della piazza. Adinolfi fa capire che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà introduce de facto (pur se scritto naturalmente in un burocratese incomprensibile ai più) la possibilità di adozione per i gay. Citando a tale proposito Elton John, ne ripercorre i tentativi fatti – dopo essersi “sposato” con un uomo – per comperare un figlio (“i soldi possono tutto”), ma il figlio – generato con l’utero in affitto e portato in grembo da un’altra donna - piange continuamente perché cerca inutilmente il seno della madre. Un vero capitolo di disumanità, dovuto al fatto che Elton John “vuol essere come Dio e non conosce il senso del limite naturale: l’uomo non può essere Dio!”. Per Adinolfi il disegno di legge Cirinnà “è il coronamento dell’ideologia gender”: “Perciò noi dobbiamo batterci per i veri diritti civili e senza vescovi-pilota!” (boato).
Oratori 6: Tocca a Kiko Arguello: la testimonianza pubblica “è indispensabile per essere coerenti con la propria condotta di vita”. In un momento in cui “l’Europa sta commettendo un grave peccato contro la Luce”. Il fondatore del Cammino neocatecumenale introduce un brano famoso dall’ “Apocalisse” di san Giovanni sulla donna vestita di luce, coronata di dodici stelle, cui un enorme drago rosso con sette teste e dieci corna cerca inutilmente di strappare il figlio appena partorito. L’arcangelo Michele con i suoi angeli sconfiggerà il drago, pure sostenuto da altri angeli, precipitandolo sulla terra. La folla neocatecumenale canta con forza il brano, accompagnando la voce di Arguello, in spagnolo e in italiano.
Si giunge alla fine con i ringraziamenti e l’ “arrivederci” di Massimo Gandolfini, mentre le nubi gonfie di altra pioggia si avvicinano e incominciano a scaricarsi di nuovo. La folla sciama rapidamente, anche perché le strade in un batter d’occhio si trasformano in torrenti. Per caso reincontriamo Adinolfi, che sta attendendo un bus che non arriva. Tanti (veramente tanti) che passano lo ringraziano ad alta voce, gli stringono la mano, perfino lo salutano dai finestrini abbassati delle auto che hanno incominciato a ripopolare la strada. Il bus non arriva, la metropolitana è lontana (chiusa la fermata di san Giovanni), non resta che sospirare un tassì. Che giunge e ci porta a Largo Argentina: intanto il tassista, spontaneamente parla della manifestazione e dice che “è stata una cosa buona, ci voleva, il matrimonio è solo tra uomo e donna”. Il popol s’è desto.

Fonte : Rossoporpora

lunedì 22 giugno 2015

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore.

Dopo la Professione di Fede nel Rito del Battesimo e della Confermazione il Vescovo o il Sacerdote celebrante "dà il suo assenso insieme con la comunità presente, dicendo:


" Questa è la nostra fede.
Questa è la fede della Chiesa.
E noi ci gloriamo di professarla,
in Cristo Gesù nostro Signore.  Amen. "

Ma, secondo una parte della Chiesa Cattolica di oggi smaniosa di essere applaudita dal mondo,  "parafrasando la parabola del figliol prodigo si direbbe che non è il figlio a dover chiedere perdono al padre, ma bensì è quest'ultimo a chiederlo al figlio: aberrante".

"Da quando è venuto Cristo sulla terra ci hanno ammazzati, torturati, bruciati vivi, dati in pasto alle belve, decapitati, crocifissi, umiliati, perseguitati. Proprio oggi si ricordano due santi giustiziati dagli anglicani: San Tommaso Moro e San Giovanni Fischer. Che voi sappiate, a memoria d'uomo, qualcuno ci ha mai chiesto perdono?"
Nel documento vaticano
MEMORIA E RICONCILIAZIONE: LA CHIESA E LE COLPE DEL PASSATO , redatto per l'Anno Santo 2000 dalla Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal Cardinale Joseph Ratzinger  prendiamo spunto per una più attenta riflessione sul tema della richiesta di perdono per le colpe degli uomini di Chiesa che avrebbero commesso nel corso della storia bimillenaria della Civiltà Cattolica, giustamente definita la Civiltà dell'amore, ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità :

"Non è fin troppo facile giudicare i protagonisti del passato con la coscienza attuale (come fanno Scribi e Farisei secondo Mt 23,29-32), quasi che la coscienza morale non sia situata nel tempo? E, d'altra parte, si può forse negare che il giudizio etico è sempre in gioco, per il semplice fatto che la verità di Dio e le sue esigenze morali hanno sempre valore? 
Quale che sia l'atteggiamento da adottare, esso dovrà fare i conti con queste domande, e cercare risposte che siano fondate nella rivelazione e nella sua vivente trasmissione nella fede della Chiesa. La questione prioritaria è dunque quella di chiarire in che misura le domande di perdono per le colpe del passato, soprattutto se indirizzate a gruppi umani attuali, entrino nell'orizzonte biblico e teologico della riconciliazione con Dio e con il prossimo."
...
"Già Paolo VI aveva solennemente affermato che " la Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia. [...] 
Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo ".(47) 
La Chiesa è insomma nel suo 'mistero' incontro di santità e di debolezza continuamente redenta e sempre di nuovo bisognosa della forza della redenzione. 
Come insegna la liturgia, vera 'lex credendi', il singolo fedele e il popolo dei santi invocano da Dio che il Suo sguardo si posi sulla fede della Sua Chiesa e non sui peccati dei singoli, che di questa fede vissuta sono la negazione: " Ne respicias peccata nostra, sed fidem Ecclesiae tuae! ". 
Nell'unità del mistero ecclesiale attraverso il tempo e lo spazio è possibile allora considerare l'aspetto della santità, il bisogno di pentimento e di riforma, e la loro articolazione nell'agire della Chiesa Madre."
...
"4. GIUDIZIO STORICO E GIUDIZIO TEOLOGICO

L'individuazione delle colpe del passato di cui fare ammenda implica anzitutto un corretto giudizio storico, che sia alla base anche della valutazione teologica. 
Ci si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? che cosa è stato propriamente detto e fatto? 
Solo quando a questi interrogativi sarà stata data una risposta adeguata, frutto di un rigoroso giudizio storico, ci si potrà anche chiedere se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto può essere interpretato come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo fosse, se i figli della Chiesa che hanno agito così avrebbero potuto rendersene conto a partire dal contesto in cui operavano. 
Unicamente quando si perviene alla certezza morale che quanto è stato fatto contro il Vangelo da alcuni figli della Chiesa ed a suo nome avrebbe potuto essere compreso da essi come tale ed evitato, può aver significato per la Chiesa di oggi fare ammenda di colpe del passato.

Il rapporto tra 'giudizio storico' e 'giudizio teologico' risulta dunque tanto complesso, quanto necessario e determinante. 
Perciò, occorre metterlo in atto senza prevaricazioni da una parte o dall'altra: ciò che bisogna evitare è tanto un'apologetica che voglia tutto giustificare, quanto un'indebita colpevolizzazione, fondata sull'attribuzione di responsabilità storicamente insostenibili."
... ( conclusione dello Studio )
"...la Chiesa testimonia anche la sua fiducia nella forza della Verità, che rende liberi (cf. Gv 8,32): la sua " domanda di perdono non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità."

domenica 21 giugno 2015

"Difendiamo i nostri figli" : la bella piazza San Giovanni ( 20 giugno 2015)

"Noi non siamo contro nessuno e rispettiamo tutte le persone. Ma siamo venuti qui in piazza a Roma per difendere il diritto delle famiglie formate da un uomo e una donna, tutelate dalla Costituzione, e quello dei bambini a essere educati da una mamma e da un papà... ". 
Rosaria arriva dalla Parrocchia Beata Maria Vergine di Foggia. 
È insieme ad altri componenti della sua comunità parrocchiale, raccolta sotto uno striscione che insieme a mille altri colora piazza San Giovanni, stracolma di adulti e bambini venuti qui per partecipare alla manifestazione indetta dal Comitato "Difendiamo I nostri figli" , iniziata oggi - 20 giugno -alle 15.30.
"Siamo un milione" afferma il portavoce del comitato "Difendiamo i nostri figli!" Massimo Gandolfini. 
"Con questo evento - spiega - chiediamo che si tuteli e si rispetti la famiglia fondata sul matrimonio e si ribadisca il ruolo centrale dei genitori. 
Rigettiamo con forza il tentativo di infiltrare nelle scuole progetti educativi che mirano alla destrutturazione dell'identità sessuale dei bambini. Sono teorie senza basi scientifiche".
Avvenire di ieri 20 giugno

Ringraziando la Divina Provvidenza che governa tutte le cose, affidiamo il nostro ricordo ad alcune  foto soprattutto ad un filmato realizzato dagli organizzatori dell'indimenticabile manifestazione di ieri a Piazza san Giovanni di Roma.



Foto : Panorama

"E non è nostro diritto privare i bambini di un padre maschio e di una madre femmina, perché questo non permetterebbe loro di trovare il loro posto nel mondo. I genitori possono sbagliare, e anche moltissimo, e si possono anzi si devono mettere in discussione, infine anche rifiutare, ma prima sono l’unica chiave che i bambini hanno per aprire le porte della realtà. Non possiamo privarli delle chiavi. Non possiamo derubarli. Per questo ci siamo alzati in piedi, perché la vita umana è minacciata, e ancora ci alzeremo in piedi ogni volta che un bambino viene visto solo come un mezzo per soddisfare un’emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile. Ma non è per noi, e i suoi diritti vengono prima". ( Costanza Miriano BLOG )




mercoledì 17 giugno 2015

FAMILY DAY: MOBILITAZIONE NAZIONALE IL 20 GIUGNO A ROMA, NON ASCOLTIAMO LE SIRENE CONTRARIE !

FRATELLI LEGATI ALLA TRADIZIONE : TUTTI ALLA MOBILITAZIONE NAZIONALE IL 20 GIUGNO A ROMA, tutti in piazza per difendere la Famiglia !‏
NON ASCOLTIAMO LE RINSECCHITE SIRENE , SEMPRE IN AGGUATO DENTRO PUTRIDE GROTTE : NON ASCOLTIAMO I PROFESSIONISTI della LORO TRADIZIONE  CHE HANNO TENTATO GIA' ALTRE VOLTE DI FARCI SCHIANTARE SUGLI SCOGLI DELLA LORO VUOTA DEMAGOGIA.


QUELLE SIRENE NON HANNO NIENTE A CHE SPARTIRE CON I NOSTRI PELLEGRINAGGI, CON I NOSTRI IDEALI, CON LE NOSTRE ORGANIZZIONI CATTOLICAMENTE, ECCLESIALMENTE E VERAMENTE TRADIZIONALI !

 
SABATO PROSSIMO TUTTI ALLA MOBILITAZIONE NAZIONALE A ROMA a piazza San Giovanni su gender nelle scuole e ddl Cirinnà :
Per promuovere il diritto del bambino a crescere con mamma e papà, vogliamo difendere la famiglia naturale dall’assalto a cui è costantemente sottoposta da questo Parlamento, vogliamo difendere i nostri figli dalla propaganda delle teorie gender che sta avanzando surrettiziamente e in maniera sempre più preoccupante nelle scuole”.

Il comitato “Difendiamo i nostri figli”, spiega così la convocazione a Roma per il prossimo 20 giugno di una manifestazione che si annuncia imponente a difesa dell’istituto del matrimonio, della famiglia composta da un uomo e da una donna, del diritto del bambino ad avere una figura materna e una paterna, senza dover subire già dalla scuola dell’infanzia la propaganda dell’ideologia gender definita da Papa Francesco “un errore della mente umana”. 

Spiegano i promotori: “Chiamiamo alla mobilitazione nazionale tutte le persone di buona volontà, cattolici e laici, credenti e non credenti, per dire no all’avanzata di progetti di legge come il ddl Cirinnà che dell’ideologia gender sono il coronamento e arrivano fino alla legittimazione della pratica dell’utero in affitto.

Ci troveremo tutti in piazza a Roma, schierati a difesa della famiglia e dei soggetti più deboli, a partire dai bambini”. 
La manifestazione, che si terrà a piazza San Giovanni dalle 15.30, è promossa dal comitato “Difendiamo i nostri figli” a cui aderiscono personalità provenienti da diverse associazioni e soprattutto diverse PARROCCHIE CON I LORO PARROCI .





Il Papa : Meditazione su ricchezza e povertà

PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Ricchezza e povertà

Martedì, 16 giugno 2015



(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.135, 17/06/2015)

È la «teologia della povertà» il nodo centrale dell’omelia di Papa Francesco nella messa celebrata martedì 16 giugno a Santa Marta. 
La riflessione del Pontefice è partita dal brano della seconda lettera ai Corinzi (8, 1-9), nel quale san Paolo «sta organizzando nella Chiesa di Corinto una colletta per la Chiesa di Gerusalemme, che vive momenti difficili di povertà». 
Per evitare che la raccolta venisse fatta in modo sbagliato, l’apostolo «fa alcune considerazioni», una sorta di «teologia della povertà», appunto.

Precisazioni necessarie perché, ha spiegato Francesco, “povertà” è una parola «che sempre mette in imbarazzo». 
Quante volte, infatti, abbiamo sentito dire: «Ma questo sacerdote parla troppo di povertà, questo vescovo parla di povertà, questo cristiano, questa suora parlano di povertà... 
Ma sono un po’ comunisti, no?». 
E invece, ha sottolineato il Papa, «la povertà è proprio al centro del Vangelo», tanto che «se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù».

Ecco allora spiegata la catechesi di Paolo «sull’elemosina e sulla povertà e le ricchezze» che comincia con un esempio preso dall’esperienza della Chiesa della Macedonia. 
Lì, «nella grande prova della tribolazione — perché soffrivano tanto per le persecuzioni — e la loro estrema povertà, la loro gioia ha sovrabbondato e hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità». Cioè, «nel dare, nel sopportare le tribolazioni si sono arricchiti, sono diventati gioiosi». 
È, ha aggiunto Francesco, quello che si ritrova in una delle beatitudini: «Beati voi, quando vi insulteranno, quando vi perseguiteranno...».

Dopo aver fatto questo esempio, Paolo si rivolge di nuovo alla Chiesa di Corinto: «E come voi siete ricchi, pensate a loro, alla Chiesa di Gerusalemme». 
Ma, ha chiesto il Papa, di quale ricchezza parla Paolo? La risposta si legge immediatamente dopo: «Siete ricchi in ogni cosa: nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato». Ed è seguita da un’esortazione: «Così, come siete ricchi, siate larghi anche in questa opera generosa». Fate, cioè, ha spiegato Francesco, «che questa ricchezza tanto grande — lo zelo, la carità la parola di Dio, la conoscenza di Dio — arrivi alle tasche». 
Perché, ha aggiunto, «quando la fede non arriva alle tasche, non è una fede genuina»; e questa è «una regola d’oro» da ricordare.

Dal brano paolino emerge, quindi, una «contrapposizione fra ricchezza e povertà. 
La Chiesa di Gerusalemme è povera, è in difficoltà economica, ma è ricca, perché ha il tesoro dell’annuncio evangelico». Ed è proprio «questa Chiesa di Gerusalemme, povera», ad avere arricchito la Chiesa di Corinto «con l’annuncio evangelico: gli ha dato la ricchezza del Vangelo». 
Chi era ricco economicamente era in realtà povero «senza l’annuncio del Vangelo». 
C’è, ha detto il Pontefice, «uno scambio mutuo» e così «dalla povertà viene la ricchezza».

È a questo punto, ha spiegato il Papa, che «Paolo, col suo pensiero, arriva al fondamento di quello che noi possiamo chiamare “la teologia della povertà” e perché la povertà è al centro del Vangelo». Si legge nell’epistola: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». 
Dunque «è stato proprio il Verbo di Dio fattosi carne, il Verbo di Dio in questa condiscendenza, in questo abbassarsi, in questo impoverirsi, a farci, a noi, ricchi nei doni della salvezza, della parola, della grazia». 
Questo «è il nocciolo proprio della teologia della povertà», che, del resto, si ritrova, nella prima beatitudine: «Beati i poveri di spirito». Ha puntualizzato Francesco: «Essere povero è lasciarsi arricchire dalla povertà di Cristo e non volere essere ricco con altre ricchezze che non siano quelle di Cristo, è fare quello che ha fatto Cristo». Non è solo il farsi poveri, ma è «un passo in più ancora», perché, ha detto, «il povero mi arricchisce».

Calandosi nella concretezza della vita quotidiana, il Papa ha spiegato che «quando noi diamo aiuto ai poveri, non facciamo cristianamente opere di beneficenza». 
Siamo di fronte a un atto «buono», un atto «umano», ma «questa non è la povertà cristiana, che vuole Paolo, che predica Paolo». Perché povertà cristiana significa «che io do del mio e non del superfluo, anche del necessario, al povero, perché so che lui mi arricchisce». 
E perché mi arricchisce il povero? «Perché Gesù ha detto che lui stesso è nel povero».

Lo stesso concetto è ribadito da Paolo quando scrive: «Nostro Signore Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». 
Questo accade «ogni volta che io mi spoglio di qualcosa, ma non solo del superfluo, per dare a un povero, a una comunità povera, a tanta gente povera che manca di tutto», perché «il povero mi arricchisce» in quanto «è Gesù che agisce in lui».

Ecco perché, ha concluso Francesco, la povertà «non è un’ideologia». La povertà «è al centro del Vangelo». 
Nella «teologia della povertà» troviamo «il mistero di Cristo che si è abbassato, si è umiliato, si è impoverito per arricchirci». Così si capisce «perché la prima delle beatitudini sia: “Beati i poveri di spirito”». 
Ed «essere povero di spirito, — ha precisato il Pontefice — è andare su questa strada del Signore», il quale «si abbassa tanto» da farsi «pane per noi» nel sacrificio eucaristico. Gesù, cioè, «continua ad abbassarsi nella storia della Chiesa, nel memoriale della sua passione, nel memoriale della sua umiliazione, nel memoriale del suo abbassamento, nel memoriale della sua povertà, e di questo “pane” lui ci arricchisce».

Da qui il suggerimento finale per la preghiera: «Che il Signore ci faccia capire la strada della povertà cristiana e l’atteggiamento che noi dobbiamo avere quando aiutiamo i poveri».