Pakistan. 
Si rifiuta di abiurare, cristiano morto in carcere. 
«È un martire»
 
In una prigione di Lahore, in Pakistan, un cristiano ha scelto di non 
abiurare la sua fede ed è morto in circostanze sospette. 
Indaryas 
Ghulam, 38 anni, è deceduto il 13 agosto, alla vigilia delle 
celebrazioni per i 70 anni di indipendenza del paese mentre era sotto la
 custodia della polizia carceraria. 
A darne la notizia è stata la British Pakistani Christian Association 
(Bpca). 
La moglie e la figlia, che hanno potuto vedere il corpo, hanno 
denunciato l’alto numero di bruciature e tagli, chiari segni delle 
torture a cui Indaryas era sottoposto dal personale della prigione. 
Tuttavia l’amministrazione carceraria sostiene che il decesso sia 
avvenuto a causa delle cattive condizioni di salute del detenuto, 
ammalatosi di tubercolosi 3 mesi prima del suo arresto nel 2015. 
In effetti, le due donne denunciano che nei due anni di prigionia, 
Indaryas non aveva mai ricevuto le cure necessarie. 
LA VICENDA. 
L’uomo era stato arrestato nel 2015 e condannato a morte 
insieme ad altri 42 cristiani con l’accusa di aver linciato due 
musulmani sospettati di terrorismo per l’attacco contro due chiese in un
 quartiere di Lahore (l’attentato provocò 19 morti e più di 70 feriti). 
I
 leader cristiani nel paese però sostengono che i due musulmani fossero 
rimasti coinvolti nell’esplosione. 
Come riporta il Pakistan Christian 
Post, in seguito all’attentato del 2015 erano stati arrestati e 
torturati in cella 500 cristiani. 
La maggior parte di questi è stata 
rilasciata dopo un anno e sei mesi di detenzione, 82 sono stati accusati
 di omicidio e alla fine 42, tra cui Indaryas, sono stati condannati a 
morte per impiccagione. 
Indaryas lavorava come pittore nella città di 
Bahawalpur, ma nel periodo dell’attacco si trovava a Lahore per far 
visita alla famiglia e celebrare insieme la festività della Pasqua e 
dopo l’arresto si era sempre dichiarato innocente. 
Il procuratore Syed 
Anees Shah aveva promesso ai 42 cristiani la scarcerazione se avessero 
rinnegato Cristo e si fossero convertiti all’islam, ma tutti, compreso 
Indaryas, hanno scelto di testimoniare la propria fede fino alla morte. 
«UN MARTIRE». 
Wilson Chodwdhry, presidente della Bpca, ha definito 
Indarayas «un martire cristiano, il cui sacrificio dovrebbe ricordare la
 necessità di sfidare la giustizia. 
Nonostante la sua innocenza e le 
attrici sofferenze, egli ha preferito la morte alla libertà offerta in 
cambio della conversione all’islam». 
Ha aggiunto che «il suo esempio 
coraggioso e quello di molti altri uomini innocenti ci sprona a 
resistere alla tirannia degli islamisti in Pakistan e a prestare 
attenzione a come vive questa minoranza nel paese». 
Gli attivisti scesi nelle strade per protesta, hanno dichiarato che «è 
difficile gioire dell’indipendenza, dal momento che essa ha creato una 
nazione con doppi standard in politica, davanti alla legge e nella vita 
di tutti i giorni, una nazione in cui i cristiani sono cittadini di 
seconda classe». 
Come ricorda l’agenzia Asianews, prima di Indaryas 
erano morti già quattro cristiani a causa delle torture subite dalla 
polizia: Robert Danish, ucciso nel settembre 2009; Qamar David, 
assassinato nel marzo 2011; Zubair Rashid, nel marzo 2015; Liaquat 
Masih, deceduto nel gennaio 2016. 
Fonte: Tempi
