Sul GIUDIZIO e sulla COSCIENZA.
Si sa, repetita iuvant!
Don Antonio Ucciardo
“Ricevo questo messaggio:
"Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi".
Ringrazio la persona che ha voluto mettermi di fronte alla parola del Signore, valida per ogni cristiano e tremendamente seria.
Essa mi consente di rispondere per chiarire, ancora una volta, il pensiero mio e di tanti sacerdoti.Il giudizio della singola coscienza spetta a Dio.
Su questo siamo tutti d'accordo, mi auguro.
Le parole e le azioni che si propongono in maniera pubblica, esulano dal campo dell'intimità e richiedono un giudizio.
Anche Gesù ha parlato espressamente di giudizio nei riguardi della sua generazione, oltre che di giudizio per chi non crede nella sua parola e nella verità che Egli è.
Giudicare significa emettere una sentenza, ma anche valutare.
Nelle parole sopra riportate, sembra avere questo senso, poiché si pensa di potersi sostituire a Dio.
Bisogna considerare, tuttavia, il senso più ampio che il termine ha nel linguaggio della Scrittura e nel greco dei vangeli.
Giudicare significa, in senso più ampio, discernere, mettere assieme, esaminare.
Per un cristiano comporta la capacità di leggere le parole e gli eventi alla luce della Rivelazione e quindi della volontà salvifica di Dio.
Se così non fosse, non avremmo i Comandamenti, le Beatitudini, gli insegnamenti di Cristo, le ammonizioni delle Lettere, il Magistero della Chiesa. Ciascuno sarebbe giudice di se stesso in assenza di una verità oggettiva.
La coscienza del singolo è insindacabile, non infallibile.
Diviene infallibile soltanto quando è in accordo con la volontà di Dio.
E poiché nessuno può presumere di conoscere questa volontà, se Dio stesso non provvede a farla conoscere e a renderla attuale, ne consegue che il Magistero della Chiesa è vincolante per ogni coscienza che voglia dirsi cattolica.
Chi dunque si oppone a quanto Dio ha rivelato e la Chiesa trasmette, può essere giudicato.
Non nel senso del giudizio che spetta soltanto a Dio in ordine alla salvezza, ma nel senso di quel giudizio che deve preservare la verità che Dio ha voluto affidare alla Chiesa tutta, fedeli e pastori.
La sospensione di questo giudizio si chiama buonismo, che è la svalutazione della misericordia.
Siamo tutti peccatori. Tutti!
Ma se la consapevolezza della propria miseria diventasse il pretesto per non alzare la voce, come si diffonderebbe il Vangelo?
Noi non dobbiamo trasmettere una parola che è vera perché ci fa vivere da perfetti, ma che è vera perché è la Verità. In quanto tale può e deve rendere perfetti noi, poveri peccatori.
Se riconosciamo che può rendere perfetti, non possiamo tacerla.
Quindi la coerenza personale c'entra fino ad un certo punto. la Chiesa diventerebbe una setta, un circolo privato, un salotto di buone maniere.
E' solo la grazia che ci permette di corrispondere alla volontà di Dio.
Da qui derivano la conversione e le opere che dobbiamo fare per vivere secondo la grazia.
Ogni uomo deve realizzarsi secondo la volontà di Dio manifestata in Cristo.
Devo essere contento se uno riesce meglio di me a farsi santo.
Per lo stesso principio, come non devo disperare della possibilità che è data anche a me, devo fare di tutto perché l'altro possa vivere secondo quella volontà.
E questo comporta necessariamente un giudizio.
Probabilmente sfugge a tanti che la battaglia di questo momento della storia richiede la difesa dei valori non negoziabili.
E' una battaglia di fede. S. Paolo usa questo linguaggio.
C'è una battaglia che riguarda la mia povera vita, una battaglia che riguarda la Chiesa, sempre provata da errori e da divisioni, e una battaglia che riguarda la nostra presenza nel mondo.
Conformarsi al mondo significa non solo aver perso in partenza, ma pure non aver provato nemmeno a combattere.
E questo, secondo l'Apocalisse, comporta l'essere vomitati.
Invece di preoccuparci del fatto che stiamo giudicando dei fratelli, pensiamo più seriamente a quel giudizio che ci attende e nel quale dovremo rispondere anche delle omissioni”.
Don Antonio Ucciardo