Un Sacerdote oggi ha scritto :
“ Cosa accadeva nell'Inghilterra anglicana?
Che i cattolici fossero perseguiti per tradimento. Normalmente venivano impiccati, tirati giù prima che morissero e dilaniati da una lama perché le viscere fossero sparse. Alcuni spirarono prima del barbaro rito, pochissimi ebbero l'onore di una morte rapida (tra questi S. Tommaso Moro), altri ancora furono sottoposti a incredibili torture.
A qualche alto prelato non farebbe male rileggere un po' di storia per preparasi meglio al Sinodo.
Tutto quello che la Chiesa, madre misericordiosa, potrà fare, sarà sicuramente fatto.
Il resto significherebbe una somma ingiustizia per i molti, laici coniugati compresi, che preferirono la morte all'ammissione del divorzio, che di fatto rappresentava la ragione della separazione da Roma e il pretesto del potere che la Corona aveva rivendicato.
La Chiesa non è fatta soltanto di cristiani che soffrono nell'animo oggi.
E' fatta anche dei cristiani che hanno sofferto nel corpo in passato.
Tirare in ballo il Successore di Pietro non rende più accettabile questo gioco di conformazione al mondo”.
I Martiri Cattolici Inglesi al tempo della riforma anglicana di Cranmer prima di spargere il loro sangue innocente per Cristo e la Sua unica Chiesa non hanno pensato che “ La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie…” perché hanno avuto la certezza che le schiere degli Angeli , dei Martiri dei Santi e delle Sante hanno sostenuto la loro causa e la loro crociata sorreggendo i loro deboli corpi fino alla vittoria finale del Calvario .
Un anziano intellettuale tradizionale ha messo su MiL un commento, che faccio mio :
“ Il “derby” ( inventato N.d.R. ) Francesco-Benedetto o la vedovanza benedettiana non m'appartengono, e quindi mi soffermo solo su un’ affermazione: il Calvario. Certo Benedetto ha molto sofferto: ma quanti papi prima di lui han sofferto e son morti senza scender dal Calvario?
Anche in situazioni storiche più drammatiche.
…
Il Papa è Francesco.
Non so a quali esiti sfocerà il suo pontificato …
Non so a quali esiti sfocerà il suo pontificato …
Il cattolico tutti i giorni prega per lui, se è cattolico.”
In questo momento di fitta nebbia mediatica pre-sinodale, la parola di Pietro ha risuonato anche oggi :
“La Chiesa ha bisogno di Pastori autentici” che abbiano cura del proprio gregge: è quanto sottolineato da Papa Francesco in un lungo e appassionato discorso alla Congregazione per i Vescovi. Il Pontefice ha indicato in modo dettagliato quali sono i criteri che dovrebbero animare la scelta dei presuli. “Non ci serve un manager”, ha avvertito, il vescovo sia un testimone del Risorto umile e coraggioso.
La Chiesa, ha aggiunto, non ha bisogno di apologeti o crociati ma di “seminatori umili e fiduciosi della verità”.
“Nel firmare la nomina di ogni Vescovo vorrei poter toccare l’autorevolezza del vostro discernimento”.
Papa Francesco ha usato quest’immagine per sottolineare quanto sia fondamentale il lavoro della Congregazione per i Vescovi. Questo dicastero, ha osservato, “esiste per assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal Signore”.
Quindi, ha come tracciato il modello ideale di un vescovo:
“…abbiamo bisogno di uno che ci sorvegli dall’alto; abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio; non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro per noi”.
Al tempo stesso, ha proseguito, bisogna riconoscere che “non esiste un Pastore standard per tutte le Chiese”. Cristo, ha soggiunto, “conosce la singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede”.
La “nostra sfida” è allora “entrare nella prospettiva di Cristo”, “tenendo conto di questa singolarità delle Chiese particolari”.
Per scegliere tali ministri, ha così spiegato, “abbiamo bisogno tutti noi di elevarci” al di sopra di “preferenze, simpatie, appartenenze o tendenze” ed “entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio”. Servono, ha ribadito, “Pastori dotati di parresia” non “condizionati dalla paura dal basso”.
Ed ha invitato quanti lavorano alla Congregazione di svolgere il loro compito con “professionalità, servizio e santità di vita” e con “santa inquietudine”.
Ma dove trovare dunque la luce per scegliere i pastori? “L’altezza della Chiesa – ha detto il Papa – si trova sempre negli abissi profondi delle sue fondamenta”, “il domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini”. E qui ha sottolineato quanto sia importante l’unità della Chiesa, la “Successione ininterrotta” dei vescovi.
“Le persone – ha constatato – già conoscono con sofferenza l’esperienza di tante rotture: hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio”.
Ha così affermato che il primo criterio per “tratteggiare il volto dei Vescovi” è che sia un testimone di Cristo:
“Chi è un testimone del Risorto? È chi ha seguito Gesù fin dagli inizi e viene costituito con gli Apostoli testimone della sua Risurrezione. Anche per noi questo è il criterio unificante: il Vescovo è colui che sa rendere attuale tutto quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la Chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione”.
Il Vescovo, ha proseguito, “è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa”. La sua vita come il suo ministero, ha avvertito, “devono rendere credibile la Risurrezione”:
“Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono inscritti nel ‘DNA’ dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. E questo voglio sottolinearlo: la rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”.
Per individuare un vescovo, ha detto, “non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali. Il profilo di un vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù”. E’ certo, ha ammesso, che “ci serve uno che eccelle” per integrità, solidità cristiana, fedeltà alla Verità, trasparenza, capacità di governare. E tuttavia, queste “imprescindibili doti” devono essere “una declinazione della centrale testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno”.
Due atteggiamenti, ha soggiunto, sono imprescindibili: “la coscienza davanti a Dio e l’impegno collegiale. Non l’arbitrio ma il discernimento insieme. Nessuno può avere in mano tutto”:
“È sempre imprescindibile assicurare la sovranità di Dio. Le scelte non possono essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali ‘scuderie’, consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità”.
I vescovi, è stata ancora la sua esortazione devono essere prima di tutto kerigmatici, “poiché la fede viene dall’annuncio”.
Servono, ha detto, “uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo” con “la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo”:
“La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza”.
I vescovi, ha soggiunto, siano “uomini pazienti” consapevoli che “la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il campo”. Bisogna sempre “agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che il raccolto dipenda solo da sé o l’atteggiamento degli scolari che, avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da fare”.
E i vescovi, ha detto ancora, devono essere uomini di preghiera:
“Un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere Vescovo, ma questo lo dico dal cuore, sono convinto e neppure colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che Lui, il Signore gli indica”.
La Chiesa, ha poi affermato, “ha bisogno di Pastori autentici”, “non padroni della Parola, ma consegnati a essa, servi della Parola”. Ed ha sottolineato che l’eredità di un Vescovo non è l’oro o l’argento, ma la santità. “La Chiesa – ha affermato – rimane quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri”. Riprendendo la Lumen Gentium, Papa Francesco ha infine messo l’accento su due aggettivi della cura del gregge: “Assidua e quotidiana”. E questo soprattutto perché nel nostro tempo queste due qualità vengono spesso “associate alla routine e alla noia” e dunque c’è la tentazione di “scappare verso un permanente altrove”:
“Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e quotidianità. Al gregge serve trovare spazio nel cuore del Pastore (...) Se questo non è saldamente ancorato in sé stesso, in Cristo e nella sua Chiesa, sarà continuamente sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al gregge alcun riparo”.
Il Papa ha così messo l’accento sull’attualità del “decreto di residenza” del Concilio di Trento sul quale ha invitato la Congregazione a scrivere qualcosa.
Forse, ha concluso il Papa, non cerchiamo abbastanza i pastori ma “sono certo che essi ci sono, perché il Signore non abbandona la sua Chiesa”.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/02/27/il_papa:_il_vescovo_sia_testimone_umile_e_coraggioso_del_risorto,_non/it1-776975
del sito Radio Vaticana