Puniti gli stranieri (infedeli N.d.R.) e il governo di Dacca.
La prova di forza dell'«emiro» del Bangladesh
Lo Stato Islamico fa strage di italiani in Bangladesh (9 i
connazionali uccisi) come aveva già fatto 15 mesi or sono nell’attacco
al museo del Bardo a Tunisi dove morirono 4 italiani e 11 restarono
feriti.
Inutile attendersi reazioni muscolari da Roma. Al di
là dello sdegno e del cordoglio che solitamente accompagnano questi
tragici eventi non ci saranno reazioni militari da Roma né tantomeno
rappresaglie.
Del resto gli obiettivi del commando dell’Isis che si è
fatto strada con un kamikaze nell'Holey Artisan Bakery Cafè, locale
frequentato da imprenditori, turisti e diplomatici stranieri a Dacca,
non erano probabilmente gli italiani ma solo gli stranieri e gli
infedeli in generale.
Lo si evince dal fatto che nell'ottobre scorso
venne ucciso il cooperante italiano Cesare Tavella, veterinario la cui
esecuzione venne rivendicata dallo Stato islamico anche se uno dei
killer confessò alla polizia di “essere stato pagato per uccidere
qualunque straniero con la pelle bianca”.
Lo si evince anche dal tragico quiz sulle shure del
Corano inscenato dai terroristi per testare la vera fede islamica di
molti ostaggi: una sorta di roulette russa in cui chi sbagliava la
risposta veniva freddato a colpi di kalashnikov.
Nulla di nuovo
purtroppo, scene simili si erano già viste al centro commerciale
Westgate di Nairobi preso d’assalto da commando jihadisti degli Shabab
somali nel settembre 2013.
L’obiettivo di simili raid è evidente: dare
l’impressione che l’Isis costituisca una rete globale in grado di
colpire ovunque.
Per questo vengono presi di mira “soft target”
impossibili da presidiare in toto e dove non si può garantire con
certezza la sicurezza a passeggeri, turisti e avventori.
L’attacco rappresenta inoltre l’affermazione del
leader del gruppo bengalese affiliato all'Isis responsabile della strage
compiuta nella notte a Dacca.
Il suo nome è Tamim Chowdhury e, secondo
quanto riportato dal quotidiano The Daily Star, il suo nome di
battaglia sarebbe Shaykh Abu Ibrahim al-Hanif. Si tratta di un cittadino
canadese nato a Windsor, nell'Ontario, "E' di Windsor. Ho parlato con
alcune persone che lo conoscevano ma non si sa molto di più ", ha
dichiarato Amarnath Amarasingam, docente alla al Resilience Research
Centre della Dalhousie University ed esperto di terrorismo
internazionale.
L'associazione islamica di Windsor ha confermato che
Chowdhury è originario di quella cittadina e il numero di aprile di Dabiq, il mensile dello Stato islamico, lo ha celebrato come nuovo 'emiro' del Bangladesh.
Il raid ha colpito gli occidentali ma puntava con
ogni probabilità a mettere anche in luce l’incapacità del governo
bengalese di proteggere gli stranieri e i propri interessi. Una sorta di
punizione per le retate compiute dalle forze di polizia negli ultimi
giorni che hanno portato in carcere oltre 5 mila jihadisti tra i quali,
secondo il governo, più di 200 terroristi.
Di certo le autorità di Dacca
si sono svegliate tardi contro un fondamentalismo islamico che ha
alzato la testa negli ultimi anni grazie al solito meccanismo che vede
robusti finanziamenti provenienti direttamente o meno, dalle monarchie
del Golfo Persico per aprire scuole coraniche che diventano poi le culle
dell’estremismo e del terrorismo.
Negli ultimi mesi in Bangladesh si sono moltiplicati gli attacchi
alle minoranze cristiane e indù, sono stati uccisi blogger,
intellettuali, laici, cristiani e monaci indù.
Alcuni analisti valutano
che il governo sia più impegnato a consolidare il suo potere e a
reprimere il dissenso degli oppositori che a combattere la diffusione
della violenza islamista nel Paese.
L'International Crisis Group (Icg), organizzazione
non governativa impegnata nella prevenzione e risoluzione dei conflitti,
è molto severo con il governo bengalese guidato da Sheikh Hasina Wazed.
Un recente rapporto evidenzia che un sistema giudiziario "distorto" e
la mano pesante contro l'opposizione del partito al potere, l'Awami
League Party, tradizionalmente laico e di centro-sinistra, stanno
ponendo le basi in Bangladesh per ulteriori violenze e disordini. "Non
c'è tempo da perdere - è scritto nelle conclusioni del rapporto - Se le
voci principali del dissenso continueranno a dover tacere, sempre più
oppositori del governo potrebbero guardare alla violenza e ai gruppi
violenti come loro unica risorsa".
Il primo ministro "ha accusato l'opposizione, ovvero
Jamaat-e-Islaami e il Bangladesh National Party , per gran parte della
violenza estremista nel Paese" - ha scritto Michael Kugelman, esperto
di Asia del Sud al Woodrow Wilson Center. "Queste accuse potrebbero non
essere del tutto false - secondo l'esperto - Eppure, escludere che
gruppi diversi dai nemici politici di Dacca stiano intensificando la
violenza estremista in Bangladesh è ingenuo nel migliore dei casi e
pericoloso nel peggiore".
Sul piano dell’analisi del blitz non c’è nulla di
nuovo nelle tattiche utilizzate a Dacca dal commando dell’Isis.
Nell'ottobre 2002 Jemaa Islamiyah, branca indonesiana di al-Qaeda, colpì
con un kamikaze e un'autobomba l’isola di Bali uccidendo 202 persone e
ferendone 209, in gran parte australiani in vacanza.
La tattica di impiegare kamikaze per aprire la
strada ai gruppi di fuoco che prendono ostaggi o fanno strage di civili
in un luogo affollato venne sviluppata dai talebani del Waziristan
appartenenti alla Rete Haqqani e da allora è dilagata presso tutti
gruppi jihadisti con l’obiettivo di ottenere il massimo della visibilità
mediatica per massacrare il maggior numero di persone tra quelle
considerate bersagli da abbattere a vista.
Cioè tutti noi.