L'Ungheria ha finanziato in toto  il difficile restauro "a fundamentis" della Chiesa del Sacro Cuore di Tolentino  e anche il ripristino della Chiesa di San Martino di Petriolo (MC): sono stati gli unici cantieri che hanno lavorato, grazie ai soldi del Governo Ungherese, nella vasta area colpita dal terremoto del 2016 dando lavoro alle maestranze locali, quindi alle famiglie del posto.
Ora la cristiana Nazione Magiara ha meritato  anche il plauso del Patriarca di Baghdad perchègli Ungheresi stanno da tempo aiutando i cristiani martoriati dalla sanguinosa guerra civile.
Dovremmo riflettere... 
«Solo la Chiesa e l’Ungheria 
aiutano i cristiani dell’Iraq e della Siria»
di Rodolfo Casadei
Il patriarca di Baghdad Louis Raphael Sako ci racconta la situazione in Iraq. «I cristiani non devono lamentarsi e piangere, ma essere uniti fra loro»
I 19 vescovi caldei di tutto il mondo, guidati dal loro patriarca Louis Raphael Sako,  hanno incontrato papa Francesco in visita ad limina il 5 febbraio  scorso, subito dopo che il pontefice aveva dato udienza al presidente  turco Recep Tayyip Erdogan. 
La curiosa coincidenza sembra non avere  turbato gli animi. 
Come ha detto Sako a Vatican News: «Siamo colpiti  dalla preoccupazione del Papa per la situazione in questa parte del  mondo. 
È a conoscenza della situazione in Turchia ma anche di quella in  Iraq, Iran e Siria. 
Come cristiani, abbiamo sentito in maniera molto  forte la sua vicinanza. 
Ci ha anche detto, qualora avessimo una qualche  iniziativa o proposta da presentare, di venire a comunicargliela, e che  sono pronti a fare tutto ciò che è possibile per noi». 
Due giorni dopo  il patriarca ha partecipato alla conferenza stampa con cui Aiuto alla Chiesa che soffre  ha presentato la sua iniziativa prevista per il 24 febbraio per  sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul dramma dei cristiani  mediorientali vittime della guerra e della persecuzione: sarà illuminato  con fasci di luce rossa il Colosseo, simbolo del sangue dei martiri. 
In  contemporanea la stessa cosa sarà fatta con la cattedrale maronita di  Sant’Elia ad Aleppo e con la chiesa di San Paolo a Mosul, nella quale il  24 dicembre scorso è stata celebrata la prima Messa dopo la liberazione  dell’Isis. 
Ha trovato anche il tempo di un’intervista con noi sui più  recenti sviluppi della situazione che vivono i cristiani in Iraq.
Patriarca  Sako, si rincorrono voci e notizie contrastanti sulla situazione nella  piana di Ninive: secondo alcuni sarebbe in corso un’occupazione di  proprietà di cristiani da parte di gruppi che arrivano da altre regioni  del paese. Cosa c’è di vero? Cosa si sta facendo per riportare i  cristiani e gli yazidi nelle loro località della piana di Ninive  occupate e devastate dall’Isis?
Prima di tutto i cristiani non devono lamentarsi e piangere, ma essere  uniti fra loro per potere dialogare con gli altri. Prima di tutto devono  essere loro a non vendere le case che gli appartengono: devono tornare e  ricostruire i rapporti di fiducia con la gente dei villaggi vicini,  compresi quelli di religione shabak (una minoranza presente nella piana  di Ninive, affine all’islam sciita – ndr). Bisogna ristabilire la  convivenza, senza perdere tempo a gridare che si sta compiendo un  cambiamento della composizione demografica della popolazione della piana  di Ninive. 
Non c’è nessun piano ufficiale per modificare la demografia  della regione. Però ci sono due problemi: le condizioni di sicurezza,  che non sono ancora perfette, e il fatto che oggi il controllo militare  della piana di Ninive è parcellizzato. Ci sono zone sotto il controllo  delle forze armate del governo centrale, altre sotto il controllo dei  peshmerga curdi; a seconda del villaggio, si trovano forze  dell’esercito, peshmerga, forze di mobilitazione popolare, milizie  cristiane. Se succede qualcosa di grave, i cristiani devono creare  delegazioni unitarie e andare a negoziare coi curdi o con il governo  centrale, a seconda della zona. 
Fare chiasso sui media non giova a  nulla. 
I cristiani hanno il diritto di difendere le proprie case e  proprietà da tentativi di sottrazione, ma devono loro per primi averne  cura: ci sono casi di cristiani che in segreto vendono le loro proprietà  a gente di fuori.
Nel prossimo mese di maggio si svolgeranno elezioni politiche  generali in Iraq. Cosa auspica la Chiesa in vista di queste elezioni?  Cosa chiede ai cristiani e a tutti gli iracheni? Possono queste elezioni  essere un’occasione per progressi politici veri?
Abbiamo rilasciato una dichiarazione nella quale auspichiamo che gli  iracheni si rechino numerosi alle urne e votino per persone all’altezza  della responsabilità politica. 
Cioè persone oneste favorevoli al  cambiamento, indipendenti, contrarie allo scontro settario, che non  diano la precedenza agli interessi confessionali, etnici, partitici o ai  loro interessi personali. Ma che mettano al primo posto i diritti di  cittadinanza e l’interesse nazionale. 
Ci sarà certamente un grande  ricambio, perché 72 degli attuali deputati non possono ripresentarsi per  varie ragioni. 
Per quanto riguarda i cristiani, li abbiamo invitati a  presentare una sola lista e a tentare anche singole candidature in altri  partiti. 
Per legge i cristiani hanno diritto a 5 rappresentanti nel  parlamento, ma possono essere di più se riescono a farsi eleggere  presentandosi in liste diverse da quelle dei partiti che si presentano  come cristiani. Attualmente non c’è unità politica fra noi: c’è una  coalizione caldea, due coalizioni assire, un partito filo-curdo che è il  Consiglio popolare cristiano di Erbil e una coalizione siriaca.
Sto per  tornare in Iraq, e lì vedremo cosa si può fare per riunificare le forze  o per arrivare a un compromesso.
Che valutazione dà della cooperazione internazionale per il  restauro e la rinascita della piana di Ninive? 
Chi sta facendo bene e  chi si sta impegnando troppo poco?
La Chiesa universale ha aiutato molto, e il cardinale segretario di  Stato Pietro Parolin ci ha assicurato di avere rivolto appelli a tutte  le conferenze episcopali occidentali perché aiutino i cristiani  dell’Iraq e della Siria, e infatti molti ci hanno soccorso. 
Ma per  quanto riguarda i governi, solo l’Ungheria, che non è un paese ricco, ci  ha aiutati. 
Se ogni paese occidentale desse 1 milione o 2 di euro,  potremmo restaurare tutto: le case e le scuole bruciate verrebbero  ricostruite e la gente tornerebbe. 
Questa storica presenza cristiana ha  un senso, ha una missione: aiutare la maggioranza musulmana ad aprirsi, a  promuovere la pace, a riconoscere i diritti di cittadinanza, ad  apprezzare la stabilità e la coesistenza nell’armonia.
Dai giorni della riconquista militare della piana di Ninive  nell’ottobre 2016 il numero dei cristiani in Iraq è aumentato o  diminuito? È continuato l’esodo o avete registrato rientri?
L’esodo continua perché le famiglie sono divise e vogliono riunirsi. È  diminuito di intensità, ma prosegue. 
C’è qualche caso di famiglia che è  rientrata, soprattutto a Baghdad dove le condizioni di sicurezza sono  migliorate. 
Ora tutto dipende dalla stabilità nella piana di Ninive e  dalla ripresa dell’economia, cioè dalla possibilità di trovare lavoro. 
Se riusciamo in questo, le famiglie che si sono trasferite in Turchia,  in Giordania e in Libano potrebbero rientrare e recuperare le loro case e  proprietà.
Comincia la Quaresima, che è un tempo forte per fare attenzione ai  fratelli e alle sorelle che si trovano nel bisogno e nella difficoltà.  Ovunque in Iraq, in Siria, in Egitto i cristiani hanno perso molto o  tutto a motivo della loro fede, e questo è il tempo opportuno per  aiutarli e infondere in loro la speranza di un futuro migliore. 
Tanti lo  stanno già facendo: tanta gente comune manda i suoi risparmi personali,  e questa cosa mi commuove. 
Ricevo donazioni di 100, 500 euro da privati  di tutto il mondo, e so quanto sono preziose, perché sono come  l’elemosina della vedova al tesoro del tempio. 
Le uso tutte per  assistere il rientro delle famiglie negli insediamenti della piana di  Ninive: delle 20 mila famiglie costrette a fuggire nell’estate del 2014,  7 mila finora sono tornate. 
Purtroppo a Telkeff sono rientrate solo 20  famiglie, e a Batnaya nessuna, perché l’80 per cento delle abitazioni  sono distrutte e il controllo della località è conteso fra le forze  armate governative e i peshmerga. 
Noi avevamo restaurato 50 case, ma poi  sono cominciate le tensioni fra governativi e curdi. 
Dobbiamo trovare  il modo di tenere unita la piana di Ninive.
Fonte: Tempi QUI 
Immagine: Maria Santissima Regina d'Ungheria QUI 
