Per la verità diversi rappresentanti delle Chiese Ortodosse in Italia sempre più spesso assistono assai volentieri alle celebrazioni della Messa celebrata con il rito antichissimo della Chiesa dopo la promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum  sentendola "così simile alla Divina Liturgia" delle loro Comunità.
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Qualche domanda sui riti per l'unità dei cristiani
La nuova Bussola Quotidiana 18-01-2016 
In Europa si dà sempre di più la contiguità di tradizioni e riti  cristiani sullo stesso territorio, oggi aumentata per l’immigrazione  dall’Est e dunque con ortodossi.
Spesso i nuovi arrivati sono in  difficoltà a reperire un luogo di culto e sempre più spesso è la  comunità cristiana già esistente che mette a disposizione edifici di  preghiera un po’ periferici e per lo più non parrocchiali.
Così in un  territorio della vecchia Europa e che non è l’Italia, un gruppo di  fedeli cattolici con un loro statuto speciale gestisce una piccola  chiesa non parrocchiale e nei giorni festivi la mette a disposizione di  una comunità di cristiani orientali che ivi si è costituita.
Ora, in occasione di una festa patronale fu celebrata la Messa secondo  il Messale di Paolo VI, ma con il canto dell’ordinario e di altre parti  in latino, con vesti riccamente ornate (ricamate), senza altare verso  il popolo e dunque con la liturgia eucaristica verso l’abside cioè verso  un “Oriente teologico”, con profusione di incensi e di chitarristi  strimpellanti neppure l’ombra.
Poiché il prete della comunità dei  cristiani orientali, canonicamente e felicemente sposato, era presente  non fosse altro per via delle buone relazioni da mantenere, alla fine  commentò il tutto con due esclamazioni: «Ma allora anche i latini hanno  una “divina” liturgia!», «Meglio questa celebrazione che tutto quello  che si mette in piedi nella Settimana di preghiera per l’Unità dei  cristiani!».
Ovviamente non si tratta di sminuire la preghiera di Gesù «perché tutti siano una cosa sola» (Gv  17,21), né la preghiera nell’ottavario per l’Unità iniziata nel 1908  dal reverendo Paul Wattson, ma si tratta di riflettere sul qualcosa di  serio che è veicolato soprattutto dall’ultima esclamazione. 
Sembra,  infatti, che sia più fruttuosa una liturgia o preghiera che esprima in  pienezza una confessione cristiana e alla quale fedeli e ministri di  altre confessioni prendono parte come possono, invece di mettere in  piedi elaboratissime liturgie della parola che, a parte il suggerimento  di segni più o meno spettacolari, si basano sul minimo comune  denominatore, cioè restano alla soglia... protestante. 
È veramente  questa la preghiera che Gesù vuole dai suoi?
Sembra poi che la ricchezza tradizionale della Chiesa latina tutto considerato e alla lunga risulti più  autorevole delle ultime novità. 
Questo è tante volte il sentore della base.
Chi invece dai vertici è incaricato di organizzare, cerca di tenersi lontano da tale ricchezza tradizionale (il discorso si potrebbe ampliare alle vocazioni, ma fermiamoci qui).
Questo è tante volte il sentore della base.
Chi invece dai vertici è incaricato di organizzare, cerca di tenersi lontano da tale ricchezza tradizionale (il discorso si potrebbe ampliare alle vocazioni, ma fermiamoci qui).
Ammessa la piena  legittimità cattolica di una autonoma liturgia della parola, prevista  tra l’altro nientemeno che dal Cerimoniale dei vescovi ai nn. 221-226,  viene da domandarsi: non ha più fascino ecumenico coinvolgente un  sacramento, anche se non tutti vi possono partecipare in pienezza?
E  perché cattolicamente non proporre anche l’adorazione eucaristica?
Una  liturgia della parola a se stante è veramente “tradizionale” o non è un  poco una elaborazione dei nostri tempi?
La tradizione ha usato la  Scrittura come elemento che da solo sostiene una celebrazione, oppure  come elemento trasversale per la celebrazione di sacramenti e  sacramentali?
Ecco quante domande - per ora senza risposta - possono  sorgere da una (vera) barzelletta ecumenica. 
Comunque, in questi casi,  «purché si preghi»...

