venerdì 11 agosto 2017

Cattolici "intransigenti e transigenti"

Un interessante articolo scritto da un Prelato castrense marchigiano. 
Secondo noi l'Articolo è un poco accomodante verso coloro che "in odium fidei" che dalla cd "rivoluzione francese" in poi hanno cercato con ogni tipo di violenza di distruggere secoli e secoli di feconda civiltà cristiana.
I danni e le conseguenze dell'  odio viscerale, che ha  radice nell'illuminismo, contro la Santa Madre Chiesa rimarranno per sempre come una ferita sanguinante. 

L'impoverimento ad esempio della povera gente specie nel centro-sud ( seguito dal triste fenomeno migratorio prima dell'unità d'Italia sconosciuto) e  la massiccia dispensione della ricchezza del sud significata dalle opere d'arte distrutte o vendute agli stranieri costituiscono il  vulnus che rimarrà sempre impresso nella memoria e nel cuore specie di quelle popolazioni conquistate.


Da Geremia Bonomelli a Pietro Gasparri

di Mons.Eraldo Pittori

Gli uomini del nostro risorgimento si erano proposti tre cose: unità, libertà e indipendenza d'Italia. 
L'indipendenza fu raggiunta con le guerre che estromisero l'Austria; l'unità con il raccogliere in un solo stato gli statarelli di prima; la libertà, con lo statuto del 1845.
Tra i sovrani spodestati uno era anche capo della chiesa cattolica e ciò creò un caso di coscienza per molti cattolici.
Questi inoltre ebbero a dolersi che fossero violati spesso due articoli dello statuto: quello che riconosceva la cattolica come religione dello stato e l'altro che dichiarava "inviolabili - senza alcuna eccezione- tutte le proprietà" ( * nota in fondo).
Vari governi dell'Italia infatti accantonarono man mano la religione tra gli affari puramente privati e soppressero enti ecclesiastici incamerandone i beni.
Il governo, causa il Papa isolato in Roma capitale, si trovava in una situazione internazionale imbarazzante; i cattolici di tutto il mondo infatti esigevano che il Papa non solo fosse ma apparisse libero; che non figurasse suddito italiano ma disponesse di un suo territorio sia pur piccolo.
Tra i cittadini per motivi religiosi veniva ritardato il consolidarsi della co-scienza nazionale; l'astensione - causa il non expedit - dalla vita politica dei cattolici aggravava la situazione.
Il governo italiano lanciò un primo ponte con la legge delle guarentigie (13.5.1871) dove si attribuiva al papa un trattamento da cittadino italiano con speciali prerogative, regolando così i rapporti tra stato e chiesa.
Pio IX credette di non poter accettare la legge perché unilaterale e indirettamente essa faceva apparire il Papa suddito d'Italia a scapito della libertà necessaria alla Santa Sede.
L'ostilità non d'animo ma giuridica tra Vaticano e Quirinale per lunghi anni impedì in qualche modo il bis di Avignone.
I mezzi moderni di comunicazione che ponevano il papa davanti agli occhi del mondo impedirono il bis di Fontaineblau.
Ma il disagio era grande.
Scalabrini, vescovo di Piacenza, mostrò a Leone XIII le bozze di un opuscolo: "Intransigenti e transigenti osservazioni di un vescovo italiano"; vi si proponeva la conciliazione e il Papa approvò e lo incoraggiò; ma quando nel 1888 l'opuscolo uscì, furono tali le reazioni specie dei cattolici intransigenti da far concludere a Leone XIII che i tempi non erano ancora maturi.
L'anno dopo comparve anonimo un articolo su "La Rassegna Nazionale": "Roma e l'Italia e la realtà delle cose".
Vi si suggeriva ancora la conciliazione.
L'articolo fu messo all'Indice.
A Pasqua dal pulpito della cattedrale di Cremona il vescovo Geremia Bonomelli confessò di esserne l'autore e dichiarò di sottomettersi alla condanna. 
Nel 1904 lo stesso vescovo indirizzò a Pio X un memoriale dove ricordava il monito del cardinal Mannig: "Voi italiani dovete riunirvi a casa Savoia non per il bene che vi ha fatto (che vi ha fatto molto male) ma per il male che essa solo può impedire.
Non parlate più di potere temporale; su ciò lasciate fare alla provvidenza e badate di non mettere la nazione al bivio di scegliere tra la religione e la patria; posta in questa alternativa la nazione abbandonerà la religione e sceglierà la patria, come fece la nostra Inghilterra".
Il memoriale di Bonomelli fu ascoltato da Pio X.
L'avvocato Bonomi, per incarico di Bonomelli e di Nicolò Rezzara, chiese una deroga al "non expedit".
Pio X rispose: "fate ciò che vi detterà la vostra coscienza e il Papa tacerà".
Con l'enciclica "Il fermo proposito" Pio X autorizzava ufficialmente i vescovi italiani a chiedere per i loro fedeli in vista delle elezioni politiche la dispensa del "non expedit".
Avendo questo mutamento di rotta provocato divisioni tra cattolici astensionisti, moderati e interventisti, Felice Cappello, in seguito illustre professore alla Gregoriana, scrisse "Le questioni dei cattolici alle urne" suscitando consensi da una parte e riserve dall'altra.
Ebbe tuttavia la sottoscrizione della Santa Sede. 
Portavoce di Pio X fu il conte Giuseppe Dalla Torre: nel 1913 ribadiva la necessità di risolvere la questione romana senza parlare di territorio e a guerra finita faceva includere nel programma del nuovo Partito popolare la soluzione della questione romana. Benedetto XV aveva come segretario di Stato il Card. Pietro Gasparri che, consacrato vescovo nel 1898 a Parigi, aveva scelto come stemma l'olivo, pensando alla conciliazione.
Gasparri si fece autorizzare dal Papa a preparare un progetto che prevedeva un minuscolo recinto vaticano con carattere di Stato ed accennava an-che ad un conseguente concordato. Inviò il progetto al nunzio di Francia Cerretti, perché lo discutesse a Parigi, dove allora si trovava il ministro Orlando per là pace di Versailles.
Orlando era molto disposto a concludere mentre sfavorevole era Vittorio Emanuele III.
L'arcivescovo di Pisa Card. Maffi, frequente ospite di casa Savoia a San Rossore, stava adoperandosi per la conciliazione presso il re, quando nel giugno del 1919 il ministro Orlando cadde.
Nel conclave sia Maffi che Gasparri fecero converger i voti sul card. Achille Ratti.
Salito al soglio pontificio col nome di Pio XI, volle impartire la sua prima benedizione dal balcone esterno di San Pietro a testimoniare il desiderio di pace con l'Italia.
Nella prima enciclica, Pio XI rassicurò che "L'Italia nulla ha e avrà da temere dalla Santa Sede".
Da quel giorno passarono sette anni prima che avvenisse la ratifica del concordato, firmato da Mussolini e da Gasparri.
Il testo preciso di Pio XI suonava allora così: "Un uomo, come quello che la provvidenza ci ha fatto incontrare"
E' un po' diverso dal definire Mussolini "l'uomo della provvidenza".

(*) Le Leggi Rattazzi Siccardi . Nel 1850 furono promulgate le leggi Siccardi (n. 1013 del 9 aprile 1850, n. 1037 del 5 giugno 1850), che abolirono tre grandi privilegi del clero, tipici degli stati di antico regime: il foro ecclesiastico, un tribunale che sottraeva alla giustizia dello Stato gli uomini di Chiesa oltre che per le cause civili anche per i reati comuni (compresi quelli di sangue), il diritto di asilo, ovvero l'impunità giuridica di chi si fosse macchiato di qualsiasi delitto e fosse poi andato a chiedere rifugio nelle chiese, nei conventi e nei monasteri, e la manomorta, ovvero la non assoggettabilità a tassazione delle proprietà immobiliari degli enti ecclesiastici (stante la loro inalienabilità, e quindi l'esenzione da qualsiasi imposta sui trasferimenti di proprietà). Inoltre, tali provvedimenti normativi disposero il divieto per gli enti morali (e quindi anche per la chiesa e gli enti ecclesiastici) di acquisire la proprietà di beni immobili senza l'autorizzazione governativa. Nonostante l'opposizione di principio della Santa Sede, fu accettata da una parte del mondo cattolico (i cosiddetti cattolici liberali). I cattolici intransigenti promossero invece una strenua resistenza a queste leggi, che continuò anche a seguito della loro promulgazione e sfociò con l'arresto dell'arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, che venne processato e condannato ad un mese di carcere dopo aver invitato il clero a disobbedire a tali provvedimenti.
Con l'avvento del Regno d'Italia, avvenuto nel 1861, e le difficoltà di bilancio provocate dalla seconda e terza guerra di indipendenza, il Governo adottò nei confronti della Chiesa una politica restrittiva, in particolare rispetto agli enti ecclesiastici, tramite i seguenti provvedimenti legislativi:

la Legge n. 3036 del 7 luglio 1866 con cui fu negato il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, e le congregazioni religiose regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico. I beni di proprietà di tali istituti soppressi furono incamerati dal demanio statale, e contemporaneamente venne sancito l'obbligo d'iscrizione nel libro del debito pubblico di una rendita del 5% a favore del fondo per il culto (in sostituzione della precedente cassa ecclesiastica del Regno di Sardegna). Venne inoltre sancita l'incapacità per ogni ente morale ecclesiastico di possedere immobili, fatte salve le parrocchie.
la Legge n. 3848 del 15 agosto 1867 previde la soppressione di tutti gli enti secolari ritenuti superflui dallo Stato per la vita religiosa del Paese. Da tale provvedimento restarono esclusi seminari, cattedrali, parrocchie, canonicati, fabbricerie ed ordinariati.

Con la legge del 19 giugno 1873 il presidente del Consiglio, Giovanni Lanza, estese l'esproprio dei beni ecclesiastici al territorio degli ex Stati Pontifici e, quindi, anche a Roma, la nuova capitale. (Wikipedia )

Fonte: L’Appennino Camerte, 20 luglio 2017

Immagine: Perugia, part. monumento al Risorgimento ( davanti l'Abbazia benedettina di San Pietro) il grifone che stritola la tiara " la vicenda di un monumento che ricorda una pagina oscura del Papato che la massoneria umbra non vuole far dimenticare....) ( QUI )