“E’ stata pubblicata dalla Santa Sede una lettera del Santo Padre Francesco – datata 19 novembre 2013, quindi qualche giorno fa – in cui il Papa nomina il cardinal Walter Brandmüller quale suo inviato speciale per le celebrazioni che si tengono a Trento per il 450° anniversario dalla conclusione del Concilio di Trento. Infatti, il Tridentino si concluse il 4 dicembre 1563.
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In essa, infatti, il Sommo Pontefice non solo loda il Concilio di Trento – che invece alcuni novatori vorrebbero relegare nella pattumiera della storia – ma richiama anche in maniera esplicita l’ermeneutica della riforma nella continuità (dopo l’ormai celebre lettera a mons. Marchetto di qualche giorno fa).
E – afferma sempre il Papa – essa si applica non solo al Vaticano II, ma anche al Concilio di Trento.
E, nel proporre la centralità di quest’ermeneutica, il Pontefice richiama esplicitamente Benedetto XVI.
Insomma, Papa Bergoglio qui loda il Concilio di Trento, riafferma la centralità dell’ermeneutica della continuità e fa anche esplicito richiamo del Magistero del suo predecessore.
Niente male per un uomo che – stando ad alcuni – doveva rivoluzionare la Chiesa…
Mentre incomincia il quattrocentocinquantesimo anniversario dal giorno in cui il Concilio Tridentino fu condotto ad una felice conclusione, conviene che la Chiesa rifletta con cura più pronta ed attenta sulla fecondissima dottrina che ci giunge da quel Concilio tenutosi nella regione tirolese.
Anzi, non senza motivo la Chiesa attribuì per molto tempo tanta cura nel commemorare e osservare i decreti e le deliberazioni di quel Concilio, dal momento che, poiché erano sorte in quel tempo liti e interrogativi veramente gravissimi, i Padri conciliari adoperarono ogni diligenza affinché la fede cattolica si manifestasse più chiaramente e venisse compresa meglio.
Certo per ispirazione e suggerimento dello Spirito Santo, interessò loro moltissimo che il sacro deposito della dottrina cristiana non fosse solo custodito, ma risplendesse più chiaramente, affinché l’opera salvifica del Signore venisse diffusa in tutto il mondo e venisse esteso il Vangelo in tutta la terra.
Esaudendo senza dubbio lo stesso Spirito, la Santa Chiesa di questo tempo ripete e medita anche oggi la ricchissima dottrina tridentina.
Infatti “l’ermeneutica della riforma” che il Nostro Predecessore Benedetto XVI descrisse nell’anno 2005 alla Curia Romana si riferisce al Concilio Vaticano non meno che al Tridentino.
Certamente questo modo di interpretare pone sotto una luce più nitida l’unica natura luminosa della Chiesa che il Signore stesso attribuì ad essa: “è un soggetto che, nel scorrere dei secoli, cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.” (Discorso alla Curia Romana nel tempo natalizio del Signore)".
Nell’Omelia di Domenica 24 novembre, festa di Cristo Re ( che nel calendario liturgico riformato introdotto dal Servo di Dio Papa Paolo VI conclude l’anno liturgico ) Papa Francesco ha detto :
“ … Le Letture bibliche che sono state proclamate hanno come filo conduttore la centralità di Cristo. Cristo è al centro, Cristo è il centro. Cristo centro della creazione, Cristo centro del popolo, Cristo centro della storia.
1. L’Apostolo Paolo ci offre una visione molto profonda della centralità di Gesù. Ce lo presenta come il Primogenito di tutta la creazione: in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui furono create tutte le cose. Egli è il centro di tutte le cose, è il principio: Gesù Cristo, il Signore. Dio ha dato a Lui la pienezza, la totalità, perché in Lui siano riconciliate tutte le cose (cfr 1,12-20). Signore della creazione, Signore della riconciliazione.
Questa immagine ci fa capire che Gesù è il centro della creazione; e pertanto l’atteggiamento richiesto al credente, se vuole essere tale, è quello di riconoscere e di accogliere nella vita questa centralità di Gesù Cristo, nei pensieri, nelle parole e nelle opere.
E così i nostri pensieri saranno pensieri cristiani, pensieri di Cristo.
Le nostre opere saranno opere cristiane, opere di Cristo, le nostre parole saranno parole cristiane, parole di Cristo. Invece, quando si perde questo centro, perché lo si sostituisce con qualcosa d’altro, ne derivano soltanto dei danni, per l’ambiente attorno a noi e per l’uomo stesso.
2. Oltre ad essere centro della creazione e centro della riconciliazione, Cristo è centro del popolo di Dio. E proprio oggi è qui, al centro di noi.
Adesso è qui nella Parola, e sarà qui sull’altare, vivo, presente, in mezzo a noi, il suo popolo.
E’ quanto ci viene mostrato nella prima Lettura, dove si racconta del giorno in cui le tribù d’Israele vennero a cercare Davide e davanti al Signore lo unsero re sopra Israele (cfr 2 Sam 5,1-3).
Attraverso la ricerca della figura ideale del re, quegli uomini cercavano Dio stesso: un Dio che si facesse vicino, che accettasse di accompagnarsi al cammino dell’uomo, che si facesse loro fratello.
Cristo, discendente del re Davide, è proprio il “fratello” intorno al quale si costituisce il popolo, che si prende cura del suo popolo, di tutti noi, a costo della sua vita.
In Lui noi siamo uno; un solo popolo uniti a Lui, condividiamo un solo cammino, un solo destino. Solamente in Lui, in Lui come centro, abbiamo l’identità come popolo.
3. E, infine, Cristo è il centro della storia dell’umanità, e anche il centro della storia di ogni uomo.
A Lui possiamo riferire le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di cui è intessuta la nostra vita. Quando Gesù è al centro, anche i momenti più bui della nostra esistenza si illuminano, e ci dà speranza, come avviene per il buon ladrone nel Vangelo di oggi.
Mentre tutti gli altri si rivolgono a Gesù con disprezzo – “Se tu sei il Cristo, il Re Messia, salva te stesso scendendo dal patibolo!” – quell’uomo, che ha sbagliato nella vita, alla fine si aggrappa pentito a Gesù crocifisso implorando: «Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). E Gesù gli promette: «Oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43): il suo Regno. Gesù pronuncia solo la parola del perdono, non quella della condanna; e quando l’uomo trova il coraggio di chiedere questo perdono, il Signore non lascia mai cadere una simile richiesta.
Oggi tutti noi possiamo pensare alla nostra storia, al nostro cammino.
Ognuno di noi ha la sua storia; ognuno di noi ha anche i suoi sbagli, i suoi peccati, i suoi momenti felici e i suoi momenti bui.
Ci farà bene, in questa giornata, pensare alla nostra storia, e guardare Gesù, e dal cuore ripetergli tante volte, ma con il cuore, in silenzio, ognuno di noi: “Ricordati di me, Signore, adesso che sei nel tuo Regno!
Gesù, ricordati di me, perché io ho voglia di diventare buono, ho voglia di diventare buona, ma non ho forza, non posso: sono peccatore, sono peccatore.
Ma ricordati di me, Gesù! Tu puoi ricordarti di me, perché Tu sei al centro, Tu sei proprio nel tuo Regno!”. Che bello! Facciamolo oggi tutti, ognuno nel suo cuore, tante volte. “Ricordati di me, Signore, Tu che sei al centro, Tu che sei nel tuo Regno!”.
La promessa di Gesù al buon ladrone ci dà una grande speranza: ci dice che la grazia di Dio è sempre più abbondante della preghiera che l’ha domandata. Il Signore dona sempre di più, è tanto generoso, dona sempre di più di quanto gli si domanda: gli chiedi di ricordarsi di te, e ti porta nel suo Regno! Gesù è proprio il centro dei nostri desideri di gioia e di salvezza.
Andiamo tutti insieme su questa strada!”
Pietro, che ha come compito primario quello di confermare i suoi fratelli nella fede, sembra ridonarci specie in questi giorni quella speranza che avevamo un po'accantonato per colpa dei potentati mass mediatici che avevano soffocato l’autenticità dei messaggi del Papa.
Nel post dedicato da MiL all’ “ ermeneutica della continuita' in un atto Magisteriale di Papa Francesco” uno studioso difatti ha notato che quel signore : “sembra terrorizzato dall'idea che l'ermeneutica della "riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa" così definita da Benedetto XVI quale principio cattolico da applicare ai Concilii e particolarmente al Vaticano II, sia vera. Per lui, alla scuola di Gherardini e conforme nella sostanza alla dottrina lefebvrista, non si deve parlare di continuità ma almeno in alcuni punti di rottura. Nè di riforma perché è un concetto protestante.
Per questo non gli piace come Papa Francesco parla del Tridentino e del Vaticano (senza specificare Secondo il che significa che si riferisce al Primo e al Secondo). E per questo chiede che il Papa si pronunci "infallibilmente". Lui vede il Papa come una specie di oracolo tra le nuvole.
Ma questo è già Magistero ordinario dei Pontefici: l'hanno già ribadito in cinque uno dopo l'altro dalle intenzioni all'attuazione che ora Francesco rilancia. E tanto basta. Non c'é un altro modo di intendere da cattolici i 21 Concilii della storia ecclesiastica.
E' inutile che continui ad "aspettare" chissà che cosa…
Libertà religiosa, ecumenismo, dialogo interreligioso, collegialità sono quello che sta scritto negli atti dell'ultimo Concilio e quello che dicono e vivono i successori degli Apostoli con a Capo il Vescovo di Roma: " i n t e r p r e t a t i o r e n o v a t i o n i s ".
Rinnovamento, riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa. Tradizione v i v e n t e”.
Sull’Osservatore Romano del 29 novembre 2012 l’attuale Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede aveva tralaltro scritto :
"Nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 che suscitò notevole interesse, Benedetto XVI mette in evidenza “l’ermeneutica della riforma nella continuità” a fronte di una “ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Joseph Ratzinger si pone così nel solco delle sue affermazioni del 1966.
Questa interpretazione è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica, vale a dire considerando l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il Concilio presieduto dal Successore di San Pietro come Capo della Chiesa visibile. Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo una interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista.
Entrambi sono accomunati dal rifiuto del Concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro sé, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare ad un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica.
Questa interpretazione è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica, vale a dire considerando l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il Concilio presieduto dal Successore di San Pietro come Capo della Chiesa visibile. Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo una interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista.
Entrambi sono accomunati dal rifiuto del Concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro sé, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare ad un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica.
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Lo stesso Concilio ha dichiarato che, “seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami” (Costituzione dogmatica Dei Verbum 1). Il Concilio non vuole annunciare alcun’altra fede bensì, in continuità con i precedenti Concili, intende renderla presente"
( Cfr. Gerhard Ludwig Müller, “Un’immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”, L’Osservatore Romano, 29 novembre 2012).
Nell’imminenza della canonizzazione “equipollente” del gesuita Pierre Favre, che Papa Francesco ritiene un modello e di cui aveva parlato nel corso dell’intervista con «La Civiltà Cattolica» notiamo un’assonanza della figura del Santo con questo Pontificato : « Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce ».
Andrea Carradori