PROTESTANTESIMO STORICO EUROPEO: CIFRE ALLARMANTI - di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org 
15 gennaio 2015
Alcuni dati statistici costringono (purtroppo) a chiedersi se il 
protestantesimo storico europeo (in particolare luterani e calvinisti) 
non rischi di diventare minoranza irrilevante.  
Analogo il caso 
anglicano. Eppure c’è chi nel mondo cattolico propone con più o meno 
santa ingenuità le ricette ‘aperturiste’ non certo estranee a tale 
situazione, sempre più preoccupante. ( Sottolineatura nostra N.d.R.)
Premessa: quando si cerca di quantificare il numero dei ‘protestanti’
 in Europa (e anche nel resto del mondo), si presentano subito 
difficoltà non minime, derivate prima di tutto dal fatto che nel mondo 
originato dalla Riforma protestante del XVI secolo si muovono – oltre 
alle ‘sigle’ storiche connotate dal nome del loro fondatore (luterani, 
calvinisti) – le tante altre denominazioni nate in secoli successivi, 
come ad esempio i battisti, i metodisti, i mormoni.
Non solo: più recente è il diffondersi dei pentecostali e di tutta una miriade di sigle che si rifanno a un protestantesimo ‘libero’,‘evangelico’, di risveglio’.
Non solo: più recente è il diffondersi dei pentecostali e di tutta una miriade di sigle che si rifanno a un protestantesimo ‘libero’,‘evangelico’, di risveglio’.
Sono del resto queste ultime che stanno dilagando in America
 latina, strappando milioni di fedeli al cattolicesimo. 
Ciò detto, i 
numeri che troverete nel prosieguo dell’articolo e che riguardano il 
protestantesimo europeo, sono riferiti sostanzialmente a luterani e 
calvinisti, con l’aggiunta – per l’Inghilterra – degli anglicani.
Negli ultimi anni (e negli ultimi mesi in particolare) si sono levate
 dall’area cattolica (o che tale si definisce) voci che – in riferimento
 soprattutto ai grandi temi antropologici dell’attualità – auspicano che
 la Chiesa di Roma si adegui al cosiddetto progresso internazionale in 
materia proprio come ha fatto buona parte del mondo protestante. 
E’ noto
 che la maggioranza dei luterani dell’Europa settentrionale (raggiunti 
negli ultimi mesi anche dagli anglicani della Chiesa d’Inghilterra) si è
 schierata in favore del riconoscimento dei cosiddetti “matrimoni 
omosessuali”.  
Del sacerdozio ed episcopato femminile. 
Dell’ordinazione 
di sacerdoti e vescovi omosessuali.  
Di tanti tra i ‘nuovi diritti’ in 
materia di inizio e fine vita. 
Ha subito senza fiatare l’imposizione 
dell’ideologia del gender  nelle scuole. 
Ma tale adeguarsi, 
tale piegarsi alle ‘esigenze’ della secolarizzazione più spinta ha forse
 comportato effetti positivi sulla vitalità del protestantesimo europeo?
Per rispondere ci serviamo dei numeri, attingendo ai dati statistici 
fornita in larga parte dalle stesse Chiese nazionali protestanti. 
Incominciamo dalla Germania, patria di Lutero. 
Dopo la 
riunificazione, nel 1990, i protestanti erano 29,4 milioni (il 36,9%) 
della popolazione; nel 2004 erano scesi a 26,2 milioni (31, 5%) e nel 
2013 a 23,3 milioni (29%). 
Nel 1990 i cattolici erano 28,5 milioni 
(35,4%), nel 2013 24, 2 milioni (30%). 
Dal 2004 al 2013 i battesimi 
protestanti sono passati da 236mila a 187mila, le confirmazioni da 
272mila a 227mila, i matrimoni da 59mila a 49mila. 
Nello stesso lasso di
 tempo la partecipazione al culto domenicale è scesa dal 4 al 3,5%.
Veniamo alla Svizzera di Zwingli, Calvino e Forel  
(artefici della Riforma rispettivamente a Zurigo, Ginevra e Neuchatel). 
Nel 1970 i protestanti erano il 48,8 % della popolazione e superavano di
 un paio di punti i cattolici. 
Nel 2000 erano scesi al 33,9%, nel 2013 
al 26,9%. 
Calo anche per i cattolici – ma in percentuale minore, pur se 
preoccupante -  passati dal 46,7% del 1970, al 42,3% nel 2000, al 38,2% 
del 2013. 
E’ anche interessante notare che ormai i protestanti non sono 
più al primo posto né a Zurigo né a Ginevra né a Basilea né a Losanna né
 a Neuchatel, sorpassati dai cattolici e/o dai non credenti. 
Altra 
constatazione statistica: nel 2012 il protestantesimo in Svizzera ha 
registrato più abbandoni del cattolicesimo (come del resto in Germania):
 un dato che si ritrova in tutta la Confederazione, ad eccezione del 
territorio corrispondente alla diocesi di Coira (che comprende Zurigo), 
dove la situazione in campo cattolico è assai conflittuale.
Un  caso molto significativo è quello dell’Olanda: 
lì i protestanti, che nel 1971 erano il 35,9% della popolazione, nel 
2010 erano scesi al 15,6% (i cattolici dal 40,4 al 24,5%). 
Quando nel 
2004 le tre principali denominazioni protestanti si unirono (calvinisti 
ortodossi, calvinisti moderati, luterani), il gregge comprendeva oltre 
2.400.000 pecorelle. Oggi ne restano meno di 1.800.000. 
Da notare che 
l’Olanda è stata la prima nazione al mondo a riconoscere i cosiddetti 
“matrimoni gay”; ed è tristemente pure alla cosiddetta avanguardia in 
materia di fine vita, insieme con il Belgio, Paese ex-cattolico.
Andiamo adesso in Scandinavia. 
Lì troviamo altri avanguardisti in materia dei cosiddetti “nuovi diritti”. 
Come l’Olanda (però calvinista) anche Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia
 sono storicamente Paesi protestanti (perlopiù luterani). Formalmente 
sono tutti Paesi in cui il protestantesimo è ben radicato, con 
maggioranze ancora massicce, oltre l’80%. 
Tuttavia da inchieste 
demoscopiche recenti si scopre poi che in Svezia i non credenti 
raggiungono il 45% e in Norvegia il 33%. In Svezia e Norvegia già nel 
2008/2009  il Parlamento ha riconosciuto i cosiddetti ‘matrimoni gay’, 
in Danimarca nel 2012, in Finlandia (il Paese scandinavo più 
‘conservatore’) in questi mesi. 
E proprio in Finlandia la decisione 
parlamentare di riconoscere tali “matrimoni”, presa lo scorso 28 
novembre con 102 voti contro 95, ha provocato una forte spaccatura 
all’interno del mondo luterano, il cui responsabile si è felicitato per 
il risultato. 
In pochi giorni oltre 13mila protestanti hanno abbandonato
 la loro comunità ecclesiale, senza contare che l’appoggio ufficiale del
 vertice luterano alla decisione ha complicato di molto il dialogo 
ecumenico con cattolici e ortodossi.
E gli anglicani? 
Partiamo dai numeri, crudi. In Gran Bretagna
 nel 1983 gli anglicani rappresentavano il 40% della popolazione 
britannica, nel 2012 il 20% (cattolici dal 10% al 9%). 
Piccolo ripasso 
di storia: nel 1993 viene introdotto il sacerdozio femminile, nel 2006 
si decide che l’episcopato femminile è teologicamente giustificato. 
Come
 reazione, 3 vescovi e una cinquantina di sacerdoti anglicani, oltre a 
centinaia di fedeli, chiedono di aderire alla Chiesa cattolica, ciò che 
si concretizza nel 2011. 
E’ del luglio 2014 il ‘sì’ definitivo alle 
donne-vescovo da parte del Sinodo della Chiesa d’Inghilterra (confermato
 dai due rami del Parlamento britannico). 
Da anni poi nella Chiesa 
anglicana si discute dell’ordinazione di preti e vescovi omosessuali e 
della benedizione di coppie dello stesso sesso. 
Nel gennaio 2013 si 
annuncia la disponibilità a consacrare vescovi anche preti omosessuali. 
In un discorso del luglio seguente a York l’ arcivescovo anglicano di 
Canterbury, Justin Welby, evidenzia poi che “sarebbe assurdo e 
impossibile” ignorare i cambiamenti nella società. 
Perciò “bisogna 
aprirsi agli omosessuali”. 
Ciò non significa automaticamente essere 
favorevoli ai cosiddetti “matrimoni gay” (Welby si è sempre dichiarato 
piuttosto contrario) e tuttavia è doveroso che anche nelle cinquemila 
scuole cattoliche del Regno si introducano programmi “contro 
l’omofobia”. 
Nel novembre 2013 la Chiesa d’Inghilterra permette la 
benedizione di coppie omosessuali in chiesa. 
Intanto la partecipazione 
al culto domenicale è scesa  negli ultimi vent’anni da 1,2 milioni di 
fedeli a 800 mila, meno dei cattolici che abitualmente assistono alla 
santa messa.  
Dalla lettura delle cifre che abbiamo dato sorge prepotente una 
domanda: è proprio il caso di assecondare – come hanno fatto molte 
comunità ecclesiali del mondo protestante – il relativismo imperante di 
tipo ideologico-economico, snaturando la propria identità nel tentativo 
di recuperare i fedeli smarriti?  
Al di là di ogni altra considerazione 
ci sembra che le cifre parlino. 
Inequivocabilmente.
P.S. L’articolo appare in versione cartacea sul mensile 
cattolico “Il Timone” di gennaio 2015, sotto il titolo: “Inseguire il 
mondo non paga”. .
 

