sabato 9 luglio 2016

" Avevamo promesso al Signore che il primo figlio l’avremmo donato a Lui" 45° di Sacerdozio di P.Aldo Trento

Una testimonianza di Fede di santi Genitori . 
Commovente: "con tuo padre avevamo promesso al Signore che il primo figlio, non importa se maschio o femmina, l’avremmo donato a Lui".
Auguri P.Aldo  ci benedica! 

Cosa mi permette, dopo 45 anni, di festeggiare ancora la mia ordinazione

 di Padre Aldo Trento, 8 luglio 2016


Era il 20 giugno 1971 quando, nella cattedrale della bellissima cittadella “dai cento orizzonti”, come la chiamò Giosuè Carducci, venivo ordinato sacerdote insieme a sei compagni di seminario. 

Una commozione e gioia profonda in quel tardo pomeriggio invadeva il mio cuore quando il vescovo, dopo avermi unto le mani con il Santo Crisma, mi pose le sue sulla testa consacrandomi sacerdote “in aeternum”. 
In quel momento, accadeva in me un cambio ontologico, come quello del battesimo. 
Se con il battesimo ero diventato una nuova creatura, un figlio di Dio, con il sacerdozio ero diventato un “Alter Christus”, con il potere di perdonare i peccati e di trasformare il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo.
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Ma chi ero io per essere stato scelto fin dall’età di 11 anni non solo ad essere tutto suo ma a farmi partecipe del suo sacerdozio, dandomi il potere più grande che ci sia perché è esclusività di Dio il potere di perdonare i peccati? 
Un potere che neanche alla Madonna o agli angeli è concesso. Quante volte ho guardato queste mie mani, spesso usate male, le mani di un povero peccatore, eppure nello stesso tempo le mani di Gesù chiamate a perdonare i peccati. 
Mani chiamate ad accarezzare, consolare, asciugare lacrime di quanti soffrono.
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Quel giorno, nella romanica cattedrale di Asolo, dove san Pio X aveva ricevuto la cresima, i primi a baciare le mie mani consacrate erano stati mio padre e mia madre. 
Erano tesi per la commozione di aver visto il loro primo figlio che li aveva abbandonati in tenera età per entrare in seminario. Avevano sofferto molto per quella scelta.
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Avevo 11 anni e le idee molto chiare sulla mia vocazione. 
Una chiarezza che veniva da lontano, come mi disse mia madre il giorno della mia ordinazione: «Figlio, già quando ero fidanzata con tuo padre avevamo promesso al Signore che il primo figlio, non importa se maschio o femmina, l’avremmo donato a Lui. 
Così, quando sei nato tu, tutti gli anni nella notte fra il 24 e il 25 di marzo, giorno dell’Annunciazione dell’Angelo alla Vergine Maria, ci alzavamo e ci mettevamo in ginocchio ai piedi del letto per recitare il santo rosario, perché la Madonna ci desse la grazia che tu fossi un giorno sacerdote. 
La Madonna ci ha ascoltato e ora continueremo con lo stesso gesto finché avremo vita perché tu sia fedele a questa vocazione».
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Sono passati 45 anni da quel giorno e mentre sto scrivendo un nodo mi chiude la gola mentre gli occhi sono umidi perché senza quel gesto, fra il 24 e il 25 di marzo, senza quel proposito che li ha visti decisi a offrire a Gesù il loro primo figlio, oggi, 20 giugno 2016, non festeggerei l’anniversario della mia ordinazione.
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Guardando il cammino percorso, ciò che domina “come una torre in un deserto” è la misericordia di Dio e l’amore della Madonna che non solo hanno impedito che la mia fragilità affettiva e l’ideologia mi travolgessero, ma il fatto che dovunque cercavo di scappare la Grande Presenza mi precedeva aiutando la mia libertà ad arrendersi davanti a questa infinita misericordia.

Strumento di misericordia
Sono caduto spesso e volentieri, ma con la grazia della Madonna, a differenza di tanti, non ho mai gettato la spugna. Posso dire con san Paolo «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia». Per moltissima gente sono stato motivo di speranza, per altri di sofferenza. Però una cosa è certa: tutte le mie fragilità sono state il frutto di una grande passione per l’altro.

Certamente non sono ancora arrivato alla meta, non sono ancora giunto alle cime più alte delle Dolomiti, ma pian piano che scalo queste vette vivo una gioia e pace profonde, piene di gratitudine alla Madonna che mi sostiene in quest’ultima fatica che mi rimane prima di toccare il Cielo ed entrarvi per sempre.


Quel 20 giugno 1971 non potevo immaginare ciò che Dio avrebbe fatto di me lasciandomi conoscere ogni tipo di fragilità umana fino a precipitare nell’abisso della disperazione. 
L’unica cosa che non ho mai conosciuto è stato il borghesismo, il politicamente corretto, la tranquillità, i veri peccati che uccidono l’anima. 
Ora, finalmente, mi rendo conto di cosa Dio ha fatto di me: uno strumento della sua misericordia, e le opere di carità ne sono l’evidenza.

Fonte : Tempi