lunedì 7 maggio 2018

Viri Galilaei: Introito per l'Ascensione di Nostro Signore

INTROITO PER L'ASCENSIONE Viri Galilaei  COMMENTO DI Bruder Jakob.

Ascensione Viri Galilaei


Il testo degli Atti degli apostoli (1, 11) fissa il dialogo chiarificatore e rassicurante tra l’angelo e gli apostoli ancora storditi dall’evento pasquale. 
Le parole scuotono sin dall’inizio, grazie allo slancio dirompente della formula d’intonazione del sol autentico (VII modo). 
Dal torculus initio debilis e il successivo fluido porrectus resupino (Galilaei) scaturisce una tensione che s’innalza verso la corda di recita sul re acuto. 
La seconda frase, da quemadmodum, si posiziona sulla dominante secondaria do, nota privilegiata in un’ampia sezione recitativa Il triplice grido alleluiatico della terza e ultima frase si muove su tre gradini: dall’acuto re-fa-re scende al do-sol conclusivo dopo il passaggio intermedio la-fa-la
Da non esagerare lo spessore sonoro della tonica sol che conclude tutte e tre le frasi dell’introito. 
Nel problematico Graduale Novum, incuriosisce il ricupero di un si (caelum). 
Il si avrebbe potuto essere esteso anche alle due sillabe successive (i-ta) su indicazione della recensione ambrosiana dove il nostro Viri Galilaei si canta quale antifona ad crucem.

Il porrectus resupino re-do-mi-re, collocato su sillaba tonica (Galilaei), è presente in due altri due introiti di VII modo: Iudicant sancti gentes e, in particolare, Puer natus est nobis ... humerum
Questo richiamo sposta l’attenzione del cantore sull’arco della peripezia terrena del Verbo incarnato, il periodo compreso tra Natale e l’Ascensione.

Tra la discesa sulla terra e la successiva ascesa al cielo scorrono 33 anni che cambiano il destino dell’uomo e dell’universo intero. 
Chi ha accolto Gesù puer ora è costretto a congedarsi da Cristo risorto. 
Ci si sente smarriti dopo l’evento pasquale che atterrisce con la morte del profeta di Nazareth - vero uomo e vero Dio - e insieme acceca con la luce della risurrezione. 
Non sempre le parole di Gesù sono comprese per quello che dicono realmente. 
Spesso con i discepoli diciamo anche noi che abbiamo capito tutto: atteggiamento di un’ingenua furbizia con cui si vogliono evitare altre domande, le provocazioni del Maestro che finiscono sempre per mettere in imbarazzo denudandoci dalle tante maschere che coprono il nostro vero essere.

La vita di fede è un seguire Cristo tra gli alti e bassi degli umori: l’esuberanza della sequela sincera s’intreccia con le poche o tante perplessità che coprono con la loro fredda ombra i momenti della prova. 
I discepoli hanno avvertito il distacco, hanno vissuto l’essere orfani con l’acuta sofferenza di Eliseo. 
Il canto nella liturgia non può evitare il dramma delle lotte interiori, ma nelle notti oscure ci accompagna nell’ascesa verso il Tabor illuminato dalla speranza. 
Il monte in cui si rincorrono gli echi della Parola con cui il Risorto e Asceso alla destra del Padre si fa presente e si dona a ciascun credente quale instancabile e sollecito compagno di viaggio.

Alla Parola siamo chiamati oggi ad elevare attoniti lo sguardo per imparare ad ascoltare la sua voce e a vedere le sue orme nella storia quotidiana. 
Camminare soli con noi stessi, sulla promessa del Salvatore, nella luce dello Spirito, senza appoggi inconsistenti e illusori: è la condizione per riprendere il cammino verso il punto Ω dell’incontro finale e senza fine. 
Allora vedremo di nuovo Cristo - Lui che è disceso agli inferi per liberare i progenitori - scendere verso di noi per dare inizio alla nostra assunzione al cielo.

Bruder Jakob

Fonte: Facebook, pagina di Messainlatino MiL ( QUI )