venerdì 30 settembre 2011

Don Luigi Parrone. Il ricordo di un autentico prete romano


Tu es Sacérdos in aetérnum
Don Luigi Parrone
nato a Roma, il 16 agosto 1960
ordinato Sacerdote dal Beato Giovanni Paolo II
il 13 maggio 2001 in San Pietro in Vaticano per la Diocesi di ROMA

Il Signore ha donato a questo Sacerdote anche una particolare fedeltà alla Santa Tradizione.

Nel 2007 era Vicario Parrocchiale in Santa Maria del Carmine e San Giuseppe al Casaletto, a Roma.
Fu trasferito nella Parrocchia di S. Romano (Tiburtino) dove svolse in modo ammirevole il suo Apostolato sacerdotale aiutando i poveri, avvicinando le persone che non frequentavano la chiesa.

E' morto il 9 agosto 2011, vigilia di S. Lorenzo a Collevalenza dove si trovava per ordine del Card.Vicario di Roma Agostino Vallini.
Riposa nella Cappella del Preziosissimo Sangue al Campo Verano, Roma

Questo l'articolo che il sito http://www.presbiterioromano.org/2011/08/11/il-funerale-di-don-luigi-parrone/ ha scritto in occasione del funerale di don Luigi.

" Oggi alle 9.30 ci siamo ritrovati nella Cripta del Santuario della "Divina Misericordia" di Collevalenza per celebrare le esequie del nostro confratello d. Luigi.
La S. Messa è stata presieduta dal Cardinale Vicario e hanno concelebrato, oltre a diversi sacerdoti del Santuario e delle parrocchie limitrofe, 18 sacerdoti del clero romano.
Nell'omelia il Cardinale si è soffermato sul Mistero della morte, fondamento della nostra Fede, e sulla vita eterna. Ha ricordato la passione d. Luigi ad "essere" prete e la sua "romanicità". Ha infine invitato a pregare per d. Luigi e per nuove vocazioni al Sacerdozio.
La salma è stata poi riportata a Roma per essere sepolta al Cimitero Verano nel Campo del Clero Romano.
La presenza di tanti sacerdoti è stata una bella testimonianza dell'essere un "unico presbiterio" nei momenti importanti: aspetto questo sottolineato dallo stesso Cardinale Vicario".

Voglio onorare la memoria di questo Prete esemplare, di puro stampo romano, postando per intero la Prefazione dell'ultimo libro del grande intellettuale, nonchè strenuo difensore della Tradizione nei terribili tempi dei cambiamenti post conciliari, CARLO BELLI che io ho avuto il privilegio di frequentare assieme alla Sezione Romana di Una Voce, mi donò generosamente anche l'ultimo suo libro : ALTARE DESERTO
( Breve storia di un grande sfacelo)
- Giovanni Volpe Editore, Roma, 1983 - dedicato
" alla cara memoria di Emilia Marini Pediconi che ha combattuto fino all'ultimo suo respiro contro i pericoli della Chiesa post-conciliare".
La Vedova del compianto Dott. Belli mi  raccontò che da oltre Tevere sconsigliarono vivamente la pubblicazione del libro perchè il nuovo Papa Giovanni Paolo II avrebbe certamente sanato le dolorose vecchie ferite.
L'allora Cardinale Joseph Ratzinger volle celebrare in San Pietro, nel nuovo rito, una  Santa Messa in latino alla presenza di molti fedeli legati all'antica liturgia.
La vedova del Dott. Belli, commentando quell'iniziativa, mia pare nel 1984, mi disse che era rimasta favorevolmente colpita dal modo in cui il Cardinale aveva celebrato e che una fiammata di speranza si era accesa nel suo cuore.
Ecco dunque la Prefazione del citato libro di Carlo Belli : ALTARE DESERTO ( Breve storia di un grande sfacelo) Roma, 1983.

PREFAZIONE
Le pagine che seguono raccolgono e commentano alcuni momenti del cataclisma che si è abbattuto sulla Chiesa negli anni Sessanta, sotto il pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI.
Di questo uragano che nel giro di pochi anni annientò le più venerate tradizioni della Cattolicità, oggi più nessuno sì ricorda, né può accorgersi dei risultati deleteri che ha portato, mancando ormai un termine dì paragone fra il passato prossimo e il presente; dico tra gli splendori della più che millenaria liturgia dì prima e le squallide funzioni odierne.
Il soffice tappeto dell'oblio ha coperto eventi che parevano (e lo erano) catastrofici, e la generazione nata in questo tornado ne è stata coinvolta al punto dì ritenere normale ciò che è uscito dallo sconvolgimento pressoché totale del fasto precedente.
Coloro che sono sulla trentina non hanno ormai che un pallido ricordo della cosiddetta « Messa Tridentina », la Messa di sempre, quella codificata da San Pio V, conosciuta con termine equivoco « Messa in latino ».
Non si trattava soltanto di latino, ma dì princìpi liturgici ritenuti intoccabili; proprio quelli che furono cancellati, a sfida dei numerosi e terribili anathema sit lanciati contro chi avrebbe osato toccare la Santa Tradizione, elencati nella famosa Bolla cinquecentesca del Papa santificato. Formule, prescrizioni, dogmi intoccabili — basterebbe quello della Divina Presenza nella particolata consacrata — tutto fu travolto dalla cosiddetta « ala marciante » di un clero progressista e populista, deciso a togliere di mezzo il sentimento soprannaturale della Religione per adeguare questa alla cosiddetta « realtà del mondo ».
Ciò era stato possibile anzitutto per le « aperture » politiche e mondane praticate da Giovanni XXIII, poi rinsaldate, smentite e riaffermate non si sa quante volte da Paolo VI in un gioco di dubbi amletici che finì per dilaniare la compagine della Cattolicità; il che fece scendere per prima cosa le vocazioni a una scarsità impressionante, portando il deserto nei seminari e nei conventi.
Invano Cristo aveva detto: Il mio regno non è di questo mondo.
Una turba di preti scalmanati, protetti da qualche cardinale straniero e da una torma di vescovi dissennati, riuscì a capovolgere l'ammonimento divino, facendo della Chiesa non un porto di salvezza, ma soltanto uno strumento mondano.
Le conseguenze furono immediate.
La Messa come spettacolo in vernacolo, sulle prime attirò le folle, poi, fase prevista, vi fu stanchezza, infine sazietà.
Oggi, si segue la Messa come una cerimonia profana in piazza. Oppure non si segue addirittura.
A tanto sfacelo non mancò una reazione vigorosa.
Si costituirono in tutto il mondo gruppi di cattolici dissidenti, raccolti in varie associazioni — la più nota Una Voce — operanti in ogni Stato d'Europa e d'America (ma anche in India!), e si eres¬sero a barriera della tradizione.
Erano schiere di laici cattolici ferventi, bersagliate dalla Curia, la quale, con disegno a dir poco demoniaco, indicò come eretiche le difese della Tradizione.
E ciò veniva proprio dagli eretici della stessa Curia!
Si possono ricordare a questo proposito i diciannove splendi¬di articoli di mons. Domenico Celada, veri fari illuminanti su ciò che stava per accadere nella Chiesa: argomentazioni iperacute sostenute da una eccezionale sapienza teologica.
Questi scritti. che andrebbero ripubblicati come prezioso contributo alla verità storica, ancor oggi vivissimi dopo circa vent'anni, apparvero sul quotidiano II Tempo, allora diretto da Renato Angiolillo che li pubblicò coraggiosamente, sfidando l'avversione della Curia. la quale si sfogò, togliendo ogni incarico al sacerdote-scrittore (insegnava musica e storia del gregoriano all'Università latera-nense), riducendolo alla più nera indigenza, avendo ì genitori a carico. Si ridusse a vivere con la madre in una casetta di Ostia: dopo poco più di un anno, si ammalò e morì giovane tra il compianto di tutti quelli che lo avevano conosciuto e, negli ultimi tempi, aiutato.
Altra figura di alto rilievo, non meno vìttima dì assurde persecuzioni, Padre Cornelio Fabro della Congregazione dei Padri Stìmmatini, uno dei teologi più acuti d'Europa.
Le sue ricerche, le sue pubblicazioni si rivolgono soprattutto alla fenomenologia dell'essere. Insegnava alla Cattolica di Milano e aveva cattedra anche nella Lateranense romana. Autore di alcuni libri dì pro¬fondo interesse, tra i quali non sì possono dimenticare  L'avventura della teologia progressista, e La svolta antropologica di Karl Rahner, tutti e due editi da Rusconi a Milano, nel 1974. Padre Fabro ebbe a svolgere memorabili conferenze per « Una Voce - Italia », finché non fu ridotto al silenzio dalla persecuzione post-conciliare. ,
E non furono i soli pilastri di Una Voce - Italia. Ricordo il giovane Tangheroni, brillante e coltissimo professore all'Università dì Sassari, in alcune conferenze pronunciate con una forza di argomenti capace di travolgere anche le più accanite resistenze. Né possiamo tacere di mons. Vaudagnotti valoroso defensor fidei sul diffuso periodico « Notizie » di Torino, e i fervorosi compilatori di « Chiesa viva » di Brescia, nonché il temerario don Putti che da otto anni sfida ogni quindici giorni la Curia dalle colonne del suo « sì sì, no no ».
Le pagine che seguono, dunque, da me scrìtte, e pubblicate su un coraggioso quotidiano di Roma tra il 1966 e il 1976, vogliono dare un panorama del cataclisma che in quegli anni si abbatté sulla Chiesa.
Queste note ebbero un séguito certo superiore al merito, ma valsero a ridare un po' la fiducia a molti che l'avevano perduta.
In una seconda parte del libro sono raccolti alcuni testi di discorsi, o conferenze, o conversazioni, tenuti da chi scrive ai soci di « Una Voce » distribuiti nelle varie sezioni italiane, da Napoli a Torino, da Venezia a Firenze, a Roma, a Macerata e altrove, a contestazione di quanto si andava attuando. Non sarebbe corretto considerare tutto ciò come accaldata polemica contro l'Autorità della Chiesa.
Si tratta piuttosto di un blocco di argomentazioni dirette contro quei nuclei (purtroppo diventati esercito) di un clero demonizzato che agirono sotto l'egida di due papi, producendo un male che parve irreparabile.
Non vi è dubbio tuttavia che questa nobile resistenza alle follie dei falsi novatori qualche cosa abbia prodótto.
Già nel 1980, l'attuale pontefice Giovanni Paolo II indirizzava a tutti i presuli e sacerdoti una lettera apostolica per ricordare il ca-rattere sacro della Messa e porre un freno alle innovazioni liturgiche non autorizzate e alla persecuzione contro i cosiddetti « tradizionalisti ».
Una vera e propria condanna contro gli abusi del cosiddet¬to rinnovamento selvaggio.
L'errore più grave, ammoniva il Pontefice, deriva dall'aver voluto mettere in risalto nella Messa soprattutto l'aspetto conviviale, trasformando in un « banchetto », inteso come rito di fratellanza da interpretare in termini esclusivamente sociali, quello che invece è « celebrazione santa e sacra », un « vero sacrificio », ripetizione dell'olocausto sulla croce in cui il sacerdote impersona Cristo.
Certe sperimentazioni, affermava la lettera apostolica, « possono suscitare disagio e anche scandalo tra i fedeli ».
Ebbene, qualche tempo dopo la promulgazione di questo importante documento contro le deviazioni mondane dell'attuale liturgia, accadeva a chi scrive di entrare in una piccola Chiesa parrocchiale di Roma, precisamente nel quartiere di Monteverde nuovo, e di assistere esterrefatto a una scena incredibile: finita la Messa, un lungo, caloroso applauso scoppiava sui banchi della Chiesa.
Che era accaduto? Nulla. Lo spettacolo era finito.
Mancava che calasse un sipario.
A quando un bell' applauso anche al momento dell'Elevazione ?
( Carlo Belli )