Dobbiamo proprio rassegnarci: ogni parola che il Santo Padre pronuncia, è sottoposta ad esame minuzioso, è piegata alle proprie esigenze, è guardata con sospetto oppure esaltata contro ogni norma di buon senso teologico ed ecclesiale.
Fin quando si agisce in buona fede, con il desiderio sincero di crescere nella fede e di aggrapparsi alla Roccia, tutto finisce per trasformarsi in grazia.
Quando però si veicolano le parole, fino a renderle armi improprie contro pontefici precedenti o fratelli di fede, allora bisogna fermarsi un attimo e chiedersi quale sia l’uso corretto dei termini.
Una di queste parole magiche è “trionfalismo”.
Lo scorso 12 aprile, nell’ormai consueta, piacevole omelia quotidiana, il Papa ha detto che il trionfalismo rappresenta una tentazione per i cristiani e per la Chiesa: “È una tentazione che anche gli apostoli hanno avuto.
Per esempio, quando Pietro dice al Signore: ma, Signore, io mai ti rinnegherò, sicuro!
Il Signore gli dice: «stai tranquillo, prima che il gallo canti, prima che ci sia il canto del gallo, per tre volte dirai contro di me".
Il Signore gli dice: «stai tranquillo, prima che il gallo canti, prima che ci sia il canto del gallo, per tre volte dirai contro di me".
Questa è appunto la tentazione del «trionfalismo: credere che in un momento sia stato fatto tutto!
No, in un momento incomincia: c’è una grazia grande, ma dobbiamo andare nel cammino della vita”.
E ancora: "Il trionfalismo non e’ del Signore".
Il Signore e’ entrato sulla Terra umilmente: ha fatto la sua vita per 30 anni, e’ cresciuto come un bambino normale, ha avuto la prova del lavoro, anche la prova della Croce.
Poi, alla fine, e’ risorto” (…)
Chiediamo la grazia della perseveranza.
E che il Signore ci salvi dalle fantasie trionfalistiche.
Il trionfalismo non è cristiano, non è del Signore.
Il trionfalismo non è cristiano, non è del Signore.
Il cammino di tutti i giorni, nella presenza di Dio, quella è la strada del Signore. Andiamo per quella”.
Non riesco a comprendere come è potuto accadere che queste parole siano state riferite da alcuni analisti ad un presunto trionfalismo della fede.
Si avrebbe, in altri termini, la contrapposizione tra una fede semplice, quotidiana, ordinaria, ed una visione di fede magniloquente, barocca, straordinaria, tutta fatta di manifestazioni ridondanti, di paramenti dorati, di turiboli fumanti.
E’ inutile nascondersi dietro un dito: si è tirata in ballo la visione liturgica di Papa Benedetto.
Il quale, giova ricordarlo, ci è stato donato non come dottore privato o consulente teologico, bensì come legittimo Vicario di Cristo e maestro della fede.
Il quale, giova ricordarlo, ci è stato donato non come dottore privato o consulente teologico, bensì come legittimo Vicario di Cristo e maestro della fede.
Benedetto ha lasciato, ma il pontificato di Benedetto rimane.
Tanto quanto quello di Paolo o di Giovanni Paolo. ( sottolineature nostre n.d.r. )
Tanto quanto quello di Paolo o di Giovanni Paolo. ( sottolineature nostre n.d.r. )
Ora, Papa Francesco non si riferisce a questa pretestuosa e sterile contrapposizione.
Se intendesse questo, pur mettendo da parte lo stile pastorale scelto, egli accuserebbe se stesso di trionfalismo.
Non avrebbe senso neppure la presunta diversità di approccio con la folla, non avrebbe senso la giornata Mondiale della Gioventù, non avrebbe senso nulla del suo proporsi per quello che egli è, comunque ami definirsi.
Nel contesto dell’omelia, il termine sembra riferirsi all’appagamento dell’esperienza di fede, alla tentazione di considerarsi arrivati, indenni al peccato e alla fragilità, degni di poter obbligare Dio ad intervenire nella propria vita sulla base delle proprie attese.
Anche il più sprovveduto degli studenti liceali saprebbe individuare il senso del termine nell’omelia del Papa.
Come se non bastasse, qualsiasi dizionario è là a rammentare il significato esatto del termine.
Il trionfalismo è l’eccessivo rilievo dato ai propri successi.
Il trionfalismo è l’eccessivo rilievo dato ai propri successi.
Infatti il Papa allude a chi diventa presuntuoso nella fede, a chi dimentica che la volontà di Dio impegna giorno dopo giorno, anche nella dimensione della croce.
La fede, semmai, è trionfante, cioè splendidamente vittoriosa.
Se le cose stanno così, è veramente da stolti riferire il trionfalismo alle manifestazioni della fede. Il singolo cristiano o gruppi di cristiani possono fare esperienza del trionfalismo.
Non la Chiesa in se stessa, soprattutto quando celebra il mistero della vittoria di Cristo.
E’ così straordinario il Suo trionfo, che non dovremmo esitare ad affermarlo, ad esaltarlo, a celebrarlo nell’autenticità, così da renderne plasmata la nostra disposizione davanti a Dio.
Torna alla mente quel che Benedetto XVI disse nella sua visita all’Abbazia di Heligenkreuz, il 9 settembre 2007: “La bellezza di una tale disposizione interiore si esprimerà nella bellezza della liturgia al punto che là dove insieme cantiamo, lodiamo, esaltiamo ed adoriamo Dio, si rende presente sulla terra un pezzetto di cielo.
Non è davvero temerario se in una liturgia totalmente centrata su Dio, nei riti e nei canti, si vede un’immagine dell’eternità.
Altrimenti, come avrebbero potuto i nostri antenati centinaia di anni fa costruire un edificio sacro così solenne come questo?
Già la sola architettura qui attrae in alto i nostri sensi verso “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano”.
Non è davvero temerario se in una liturgia totalmente centrata su Dio, nei riti e nei canti, si vede un’immagine dell’eternità.
Altrimenti, come avrebbero potuto i nostri antenati centinaia di anni fa costruire un edificio sacro così solenne come questo?
Già la sola architettura qui attrae in alto i nostri sensi verso “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano”.
Sbaglia pertanto chi considera opposto al trionfalismo lo stile povero e semplice del Papa.
Francesco è il primo dei trionfalisti, se trionfalismo significa tutto questo.
Solo che non significa questo.
Trionfalismo significa pensare di poter trovare un pezzetto di cielo nella propria esperienza di chiesa e non in tutta la Chiesa.
Il mio gruppo fa questo e quest’altro!
Il mio gruppo fa questo e quest’altro!
Mi basta.
Il mio catechista mi dice questo!
Chi sono io per dubitare della sua parola?
Il Papa dice questo e quest’ altro! Sì,ma sta parlando ai Congolesi.
Le norme prescrivono questo?
Ma Cristo ci ha liberati dalla legge!
Trionfalismo è l’essere persuasi del proprio pensiero e non di quello della Chiesa.
Trionfalismo è dipendere da idee varie e peregrine piuttosto che dal pensiero definito o espresso dal Magistero.
Trionfalismo è l’aver elevato a sistema di comprensione della fede l’archeologismo liturgico. Trionfalismo è il far finta che la Chiesa non parli.
Trionfalismo è dare ai fedeli le ultime trovate di qualche illuminato teologo. Trionfalismo è sostituire se stessi allo Spirito Santo, quando non si ha l’umiltà di sottoporre ogni ispirazione al giudizio della Chiesa.
Trionfalismo è inventarsi metodi pastorali per canonizzare le proprie idee. Trionfalismo è strumentalizzare le parole della fede.
Trionfalismo, insomma, è rendere trionfanti le proprie idee e non la croce di Cristo.
Trionfalismo è -per usare il pensiero di Léon Bloy ripreso da Papa Francesco- pregare il diavolo perché non si prega più Cristo, perché non si confessa più Cristo.
Oppure, per restare con il Papa, non camminare, non edificare, non confessare; non annunciare, non testimoniare,non adorare.
Se si preferisce, resta valido l’ammonimento di Papa Benedetto nei riguardi di quei cattolici che non mancano di esaltare il loro modo di pensare la fede: “La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso.
Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.
E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso.
Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo” (28 giugno 2009).
Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo” (28 giugno 2009).
Trionfalismo è cercare l’applauso del mondo.
A cominciare, assai spesso, da quel piccolo mondo che è rappresentato dalla parrocchia, dal movimento, dall’associazione, dalla facoltà, dalla rivista.
A cominciare da ciò che ci rende cristiani: la celebrazione del trionfo di Cristo.
Applaudiamo noi stessi, ma pensiamo che siano malati di trionfalismo coloro che si inginocchiano ancora davanti a Colui che ha vinto il mondo.
don Antonio Ucciardo